Affettività e sessualità in carcere sono (finalmente) un diritto: la storica sentenza della Corte Costituzionale
Le persone detenute in carcere hanno diritto all’affettività e alla sessualità. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge sull'ordinamento penitenziario, che a oggi prevede che la persona detenuta non possa avere colloqui con il coniuge - la parte dell'unione civile o la persona con lei stabilmente convivente - senza il controllo a vista del personale di custodia.
La Corte Costituzionale era stata chiamata a esprimersi sulla possibilità per i detenuti «di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia» a novembre. A chiedere l’intervento della Consulta Fabio Gianfilippi, giudice della Sorveglianza di Spoleto, nell’ordinanza con cui ha accolto l’istanza di un uomo che lamentava «le conseguenze negative che l’assenza di intimità con la compagna sta avendo sul suo rapporto di coppia a cui tiene particolarmente e al quale considera legato il proprio reinserimento sociale».
La Consulta: «La detenzione non può annullare il diritto in radice»
Nella sentenza numero 10 del 2024, la Corte specifica ricorda che «l’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società”. L’articolo 18, dunque, nel prescrivere inderogabilmente il controllo a vista sui colloqui, impedisce di fatto di esprimere l’affettività con le persone a lui stabilmente legate, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza.
«Rammentato che una larga maggioranza degli ordinamenti europei riconosce ormai ai detenuti spazi di espressione dell’affettività intramuraria, inclusa la sessualità, la Corte ha ritenuto altresì violato l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, per il difetto di proporzionalità di un divieto radicale di manifestazione dell’affettività “entro le mura”», prosegue la Corte, che ha quindi raccomandato «un’azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze» per adottare provvedimenti in questo senso, così da garantire alle persone detenute spazi adeguati in cui esercitare il loro diritto all’affettività e alla sessualità.
L’associazione Antigone: «Sentenza storica»
Sulla pronuncia della Consulta è intervenuta l’associazione Antigone, che da tempo si batte per la tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario, che ha definito la sentenza «storica. La Corte ha ricordato che senza affettività, e quindi sessualità, è lesa la dignità delle persone detenute e si rischia di non rispettare la finalità rieducativa della pena. Una sessualità che la Corte, con una sentenza chiara ed esplicita, apre anche alle coppie di fatto e dunque anche alle coppie omosessuali. Seppur con alcuni limiti la Corte si rivolge all'amministrazione penitenziaria e alla magistratura di sorveglianza per rendere effettivo questo diritto».
Antigone era nel procedimento davanti alla Corte con un proprio atto di intervento: «Adesso - ha detto il presidente dell’associazione, Patrizio Gonnella - bisogna trasformare un diritto di carta in diritto effettivo. Finalmente, anche grazie alla determinazione e all'impegno di giudici di sorveglianza come chi ha rimesso gli atti alla Consulta, l'affettività e la sessualità non sono più un tabù. Così ci si avvicina ad altri Paesi che da tempo hanno previsto tale opportunità nei loro ordinamenti».
La proposta di legge Magi sul diritto all'affettività in carcere
Affettività e sessualità vengono dunque riconosciuti come diritti inviolabili, che vanno garantiti nelle condizioni adeguate. E l’individuazione di spazi privati è, dunque, uno dei nodi primari da sciogliere. Del tema si parla ormai da diversi anni, ed era anche stata lanciata una campagna per il riconoscimento del diritto all’affettività in carcere promossa dall’associazione la Società della Ragione insieme a Centro per la Riforma dello Stato e Associazione Luca Coscioni, con contestuale appello sottoscritto da oltre 200 fra giuristi, associazioni e altre personalità.
Il segretario di +Europa Riccardo Magi a novembre aveva inoltre presentato una proposta di legge in materia delle relazioni affettive intime delle persone detenute, una proposta di legge che riprende ampi passaggi delle proposte di legge d’iniziativa del Consiglio Regionale della Toscana e del Consiglio Regionale del Lazio approdate nella Commissione Giustizia del Senato durante la scorsa legislatura e prevede modifiche agli articoli 28 e 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni in materia di tutela delle relazioni affettive intime delle persone detenute.
I detenuti e gli internati, si legge nella proposta di legge Magi, hanno il diritto a una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di 24 ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in apposite unità abitative attrezzate all’interno degli istituti penitenziari, senza controlli visivi e auditivi.
«Sono 31 i Paesi europei che permettono ai detenuti di usufruire di spazi per le relazioni affettive al riparo dagli sguardi della polizia penitenziaria», aveva spiegato detto Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale all’università di Ferrara, rivolgendosi ai 14 giudici costituzionali: «Un appello e una proposta di legge per garantire il diritto alle relazioni affettive intime dei detenuti - ha detto Pugiotto - prevedendo dentro le carceri, se non esistono impedimenti legati a ragioni di sicurezza, spazi per gli incontri senza il controllo degli agenti penitenziari».