Alessia Dulbecco: ecco perché la pedagogia di genere può eliminare gli stereotipi

Rosa o azzurro? Bambole o macchinine? Queste domande ci mettono di fronte agli stereotipi di genere che permeano la vita delle persone sin dall’infanzia. Immersi in questi pregiudizi, facciamo fatica a pensare fuori dagli schemi. Come fa notare Alessia Dulbecco, pedagogista, counselor e formatrice impegnata nell'ambito della crescita personale e l'educazione alla parità di genere, «abbattere secoli di storia patriarcale e di tradizioni che non abbiamo mai messo in discussione è un’operazione complessa». Le abbiamo fatto qualche domanda in occasione dell'uscita del suo libro Si è sempre fatto così! Spunti per una pedagogia di genere

Nel suo saggio Si è sempre fatto così! Spunti per una pedagogia di genere (edizioni Tlon), Alessia Dulbecco ragiona su questi temi e mostra, attraverso esempi concreti, come stereotipi e pregiudizi di genere incidano ancora oggi nel percorso di formazione e di vita di ciascuno di noi.

Partendo dalla genesi del suo libro e dalla definizione di pedagogia di genere, Dulbecco racconta a The Wom come si può intervenire concretamente per portare un cambiamento.

Da dove nasce Si è sempre fatto così e perché hai deciso di dare una struttura tripartita al saggio?

Il testo nasce come idea durante gli anni della pandemia. Ho iniziato a fare divulgazione online su temi che (erroneamente) credevo essere abbastanza risaputi e conosciuti: in realtà ho incontrato persone che vogliono saperne di più e che mi chiedono di approfondire. Spesso si tratta di persone che si stanno formando su questi temi oppure semplicemente interessate. Da qui nasce il libro. Di libri sulla pedagogia di genere per l'università, però, ce ne sono tanti, io volevo creare un testo che fosse accessibile.

La tripartizione del libro - infanzia, adolescenza ed età adulta - serve a seguire lo sviluppo e il percorso di crescita di una persona. È un testo che comincia parlando di bambini e bambine, ma in realtà il target sono i genitori, o comunque le persone adulte che si occupano di loro. Quindi diciamo che il punto finale, cioè l’età adulta, per me non è un punto finale, ma è proprio il punto da cui bisogna partire.

Che cos’è la pedagogia di genere e in che modo può fornire un contributo per comprendere e decostruire gli stereotipi di genere?

La pedagogia di genere è una disciplina nata dal basso una cinquantina di anni fa, attraverso una ricerca più intuitiva che teorica. Oggi facciamo coincidere la nascita della pedagogia di genere con un libro che è stato uno spartiacque: Dalla parte delle bambine, scritto 50 anni fa da Elena Gianini Belotti, ma sempre molto attuale.

La pedagogia di genere, quindi, cerca di mostrare e di intervenire a livello teorico su tutti quegli stereotipi che rendono il percorso educativo e di crescita fortemente diseguale

La pedagogia di genere è un impianto teorico che si radica poi a livello di prassi e di azioni dentro l'educazione di genere: se la pedagogia di genere si pensa, l'educazione di genere si fa nelle aule, ma anche in contesti informali. È un approccio che ci offre delle lenti che sono appunto poi una prospettiva da cui guardare e interrogarci rispetto alle cose che stiamo facendo come genitori, ma anche come persone che a vario titolo si muovono all'interno di spazi sociali.

Facciamo un esempio: se per la “festa della donna” - e non la chiamo a caso festa della donna - organizzo nel museo cittadino un percorso dedicato solo alle donne che esplora la questione dei gioielli e dei profumi nell'antichità, che cosa sto facendo? Apparentemente sto facendo qualcosa di buono, però in realtà si continua a promuovere l'idea che alle donne piacciano solo cose molto leziose.

Insomma, ci sono dei temi che vengono costantemente applicati a un genere e non all'altro, quindi l'educazione di genere ci dovrebbe aiutare a capire se certe operazioni fatte con le migliori intenzioni possibili, poi in realtà non vadano a promuovere continuamente quegli stereotipi che mantengono il divario tra uomini e donne.

Come si reagisce nella quotidianità davanti a delle situazioni di stereotipo e come si possono mettere in discussione?

Se per esempio, nel caso di un gioco, ci viene chiesto “È per un maschio o una femmina?”, proviamo a rispondere “È irrilevante”. Dal mio punto di vista è necessario fare allenamento su questo, perché tendiamo a rispondere di default. Bisogna aiutare la persona che si ha davanti spiegando che non è importante per chi sia un gioco.

Sempre più iniziative e progetti nelle scuole provano a contrastare gli stereotipi di genere. Secondo te in che modo lo possono fare?

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Innanzitutto è necessario che non si rivolgano solo al gruppo degli studenti e delle studentesse: deve essere un percorso che coinvolge non solo la classe, ma anche il corpo docente e il personale che ruota attorno alle classi. Penso agli assistenti, penso anche alle segreterie. Dovrebbe essere un percorso che ingloba tutta la classe intesa come tutti gli adulti che le ruotano attorno. Se non si fa questo, si finisce per produrre dei percorsi che poi non vengono portati avanti.

Entrare nelle scuole è fondamentale, anche perché la scuola è un ambiente in cui tutti e tutte entrano necessariamente: mentre la famiglia potrebbe non avere le risorse per fare tutto questo, è dentro la scuola che ci dovrebbero essere professionisti e professioniste che sanno aiutare i ragazzi e le ragazze a fare questo tipo di riflessioni.

Secondo me questi percorsi diventano efficaci nel momento in cui si diramano: partono dalla dirigenza e poi vengono diffusi in una modalità condivisa. In questo modo è più facile pensare che non si esauriscano in un totale di ore predefinite, ma che si ripropongano nuovamente e quindi si radichino sempre di più.

Lavorare sulla decostruzione degli stereotipi significa contrastare anche la violenza di genere…

Il fine ultimo di tutto questo lavoro su stereotipi e discriminazioni è prevenire la violenza di genere. La violenza di genere è un problema strutturale e sistemico; è un problema culturale che non nasce biologicamente, non è qualcosa di intrinseco alla persona, ma è qualcosa a cui ci abituiamo perché attivato in un contesto sociale che facilita la possibilità di agire queste forme di violenza. Quindi diamo noi il carburante affinché tutto questo si mantenga.

L'idea è riflettere sugli stereotipi e agire in prima persona, come persone adulte, e riconoscere questo legame tra stereotipi, discriminazione e violenza di genere. Non si può contrastare la violenza di genere rispondendo in maniera emergenziale: dovremmo cominciare ad agire su un impianto culturale e intrecciare varie prospettive, da quella pedagogica a quella sociologica, passando per l’antropologia e la filosofia.

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