bar.lina, lo spazio espositivo queer che è un’isola di inclusione e libertà

23-05-2024
A Roma, bar.lina è uno spazio indipendente di arte e letteratura LGBTQIA+ nato nel 2021 - da un’idea di Andrea Acocella e Paolo Salvatori - come progetto culturale dell’associazione FLUIDA APS che pone la comunità queer italiana e internazionale al centro del proprio sviluppo. Abbiamo intervistato Andrea Acocella

Come sei arrivato a concepire bar.lina con i tuoi soci?

bar.Lina è uno spazio d'arte e letteratura indipendente nato nel dicembre del 2021 come progetto culturale della nostra associazione. Inizialmente, voleva essere un progetto editoriale digitale ma abbiamo sentito l'esigenza di farlo diventare qualcosa di fisico e muscolare. Attualmente siamo l'unico spazio che ha un ambito di ricerca incentrato sul mondo queer, cuore pulsante e motivazione profonda dietro la nascita di questo spazio. Nell’ultimo anno, sono nate tante iniziative diversificate ma si pone sempre al centro l'ambito queer.

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Com'è nato questo nome particolare?

Il nome è preso in prestito dalla letteratura. Riprende il pensiero di Pier Vittorio Tondelli, scrittore degli anni Ottanta Novanta, papà di Camere Separate e di Altri Libertini. Nello specifico, il nome è desunto da un passaggio del Tondelli giornalista. L'attività di cronaca di Tondelli è, per certi aspetti, ancora più interessante di quella narrativa. Alcuni dei suoi articoli appaiono come brevi trattati di sociologia e antropologia queer. In poche battute, aveva racchiuso l'essenza di quello che siamo.

Il Bar Lina era un chiosco della Riviera romagnola intorno al quale si riuniva la comunità lesbica, omosessuale e trans dell’epoca

Il termine-ombrello "queer" non era ancora stato coniato. Tondelli era un grande viaggiatore, e conosceva bene anche il mercato dell'intrattenimento capitalista della comunità di quegli anni ed erano tendenzialmente tutti locali totalmente dedicati, già dal nome: Men to Men, il Rainbow Bar ecc. In quegli anni, anche nella Penisola si stava costruendo una geografia in cui trovare delle isole felici di inclusione e inclusività, ma con una specificità tutta nostra. Il Bar Lina storico è stata la risposta italiana alla "froceria" internazionale. Noi, nel nostro piccolo, pensiamo di aver preso in mano quell’eredità. Parlo con un pizzico di malinconia perché mi piacerebbe ci fossero modelli in Italia ai quali ispirarsi, così abbiamo in parte colmato questa lacuna portando il nostro esempio che guarda ai modelli internazionali ibridi.

bar.lina nasce anche in risposta alle difficoltà che gli/le artist* queer devono affrontare, come la rappresentatività, ma anche in risposta a un'esigenza di ricerca indipendente e ai vuoti delle proposte universitarie. 

Cos'è il progetto espositivo FEM e qual è la sua idea progettuale?

Da aprile a maggio si sta tenendo un ciclo di quattro mostre dal titolo ”FEM”. FEM nasce da un'esigenza specifica dell'archeologa e curatrice Serena Santoni, ideatrice della rassegna: non voleva solo collaborare con bar.lina ma problematizzare le tematiche che riguardano il femminile. Si è iniziato a pensare alla mostra a settembre, cercando di collegare quest'idea a un concetto più attuale e in linea con la ricerca dello spazio. Ci siamo quindi concentrati in particolare sulla performatività fem che nasce storicamente all'interno del mondo lesbico e che è stata il nostro punto di partenza teorico. Per chi non lo sapesse, Fem è una parola che deriva dal francese e si rifà al contesto delle subculture angloamericane, dove il termine veniva usato in riferimento al binomio femme-butch, per identificare in genere donne lesbiche la cui identità era associata a tratti e stereotipi femminili.

Oggi il Fem ci parla non tanto di femminilità ma di un posizionamento critico nei confronti della femminilità così come la si intende in senso comune. Parlare di Fem è sovvertire le accezioni più comuni attribuite al concetto di femminilità, così come viene intesa nella cultura eteropatriarcale

La costruzione del Fem è un costante lavoro di re-interpretazione della femminilità “intenzionale”, che va oltre l’estetica, un concetto caratterizzato dall’impegno politico di contrattacco a imposizioni esterne che limitano l’autodeterminazione di ogni individuo. Avevamo trovato il connubio tra bar.lina e l'idea di Serena Santoni. 

Alcune opere dell'artista Chiara Bruni all'interno della mostra "Femhouse"
Alcune opere dell'artista Chiara Bruni all'interno della mostra "Femhouse"

Chi sono le artiste e le curatrici coinvolte?

Le artiste emergenti Giulia Barone, Chiara Bruni, Livia Giuliani ed Eva Maleen sono state chiamate a prendere parte a questo progetto, creando insieme uno spazio laboratoriale di parola e confronto nella nostra lounge room. Infatti, a partire da novembre ogni due settimane, sono stati organizzati degli incontri per permettere alle artiste e alle curatrici di discutere sul tema, sulla percezione di sé come corpo fem, e approfondire la lettura di testi fondamentali come Trauma e tocco di Ann Ckvetovich o Femme on Femme di Ulrika Dahl. Ma soprattutto lavorare di concerto per stringere legami di affetto e amicizia.  

Quelle giornate hanno infine prodotto quattro personali per le quali ognuna ha restituito il tema in maniera personale ed originale. “Fastidiosa” di Giulia Barone - a cura di Serena Santoni tenutasi dal 5 al 14 aprile - ha sposato l'ottica su concetti eco-femministi; “Femhouse” di Chiara Bruni, (a cura di chi parla dal 19 al 28 aprile), si è mossa nell'ambito della ricerca postpornografica; “Sacrario” di  Livia Giuliani (a cura di Camilla Salvi dal 3 al 12 maggio) si inserisce in un contesto che si prende le mosse  dalla seconda ondata femminista e ai suoi slogan - «Il corpo è mio e lo gestisco io» - ; “Ovale” di Eva Maleen (a cura di Dani Martiri dal 17 al 26 maggio) si ricollega al tema dell’abitare.

L'esposizione di Giulia Barone
L'esposizione di Giulia Barone

Siamo alla seconda edizione di Think in Pink! di che si tratta?

È un progetto di mostre arrivato alla seconda edizione e si rivolge ad artist* che stanno ancora studiando all'Università o all'Accademia, e si partecipa aderendo a una call. Si espone all’interno della nostra lounge room, soprattutto sulla parete rosa; le ricerche devono riagganciarsi alle tematiche queer, ai transfemminismi, alle politiche dei corpi. Sono arrivati un centinaio di portfolio in due anni, confermando che l'intuizione era giusta, l'interesse verso queste tematiche è maggiore tra le nuove generazioni. Una volta inglobati nella famiglia bar.lina, l* artist* iniziano un percorso espositivo che vuole essere una sorta di palestra. La prima edizione di Think in Pink! aveva coinvolto Eva Maleen, Mattia Giuntini, Ghael Zesi. Nella seconda edizione è stato presentato il lavoro di Chiara Laruffa e di Valentina Iacovelli, mentre a giugno sarà la volta di Francesco Politano.

Facciamo il punto di un anno e mezzo. Quali sono state le mostre che hanno contraddistinto la natura e il carattere di Bar.Lina?

Bazaar Metamorfosi del Desiderio è stata la prima mostra in assoluto e ha avuto il merito di dare l'impronta di ciò che bar.lina voleva essere - spazio espositivo ma anche spazio di ricerca e archivio. Chiara Bruni con A volte è stata la prima artista invitata a esporre da bar.lina. È nato un sodalizio tra me come curatore e lei come artista: mi affascina come gli artisti trattino il tema della pornografia. Siamo poi stati poi ospiti della Soho House per curare una piccola esposizione in occasione del mese del Pride. La mostra Rotten Dreams and Golden Plates di Alessandro Calizza è stata importante, la più lunga, una sorta di giro di boa, che ci ha fatto crescere sia a livello professionale che personale. Pelle, mostra collettiva era a cura di Beatrice Puddu, è stato invece il primo progetto esterno che abbiamo accolto.

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bar.lina ha un fitto calendario di public program tra talk, cineforum e iniziative di vario genere. Ci sono progetti speciali di cui vuoi parlare?

Il public program è fondamentale per bar.lina. A maggio compiamo un anno con l'iniziativa curata dalla poetessa Olimpia: Queer Poetry Speaks Up! Si tratta di un open mic che alterna una serata a tema con una con ospite. Open Mic significa "a microfono aperto", ogni partecipante ha 5 minuti di tempo per recitare le sue poesie. Questo appuntamento è nato quasi per gioco, una sfida… volevamo dare voce alla poesia queer che non trova molti spazi espressivi in Italia. Performer che trattavano la poesia queer si contavano su una mano. bar.lina voleva diventare una palestra di poesia ed è riuscita effettivamente a creare una rete e a sollecitare il nascere di altre iniziative simili sparse sul territorio Il prossimo evento sarà appunto il 24 maggio, una sorta di celebrazione di questo primo anno di vita.

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Qual è la conformazione dello spazio?

bar.lina ha un primo ambiente usato come sala espositiva e un secondo dedicato alla ricerca, con una piccola biblioteca di testi che trattano tematiche queer e un bancone-bar. Non è la tipica galleria italiana. Questo luogo si è articolato cercando di rispondere a una domanda: perché i musei solitamente accolgono strutture di ristoro-ristorazione e aree per l'acquisto di libri mentre le gallerie commerciali non le hanno?

Qual è il sistema economico sul quale si sostiene bar.lina?

bar.lina è una piccola realtà associativa, la maggior parte del sostentamento arriva dal bar, dal bookshop e dalle donazioni. Tutti abbiamo un secondo lavoro: questo è un progetto ambizioso a cui ci dedichiamo con amore e che si alimenta grazie alle persone che ci vengono a trovare acquistando un libro o bevendo un calice di vino, in compagnia, nel nostro salotto.

Come ti immagini il futuro di bar.lina?

Sicuramente roseo - colore del logo di bar.lina -! Vorrei alimentare l'interesse che ci stanno dimostrando esternamente. Vorremmo crescere ulteriormente e accogliere sempre più progetti esterni, creando una rete di persone che condividono un interesse reale. Le collaborazioni future? Saremo all'interno del coordinamento del San Lorenzo Pride, ci occuperemo della parte espositiva. Tutto ciò che accadrà a giugno sarà "flaggato" con il logo di San Lorenzo Pride.

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