Body monitoring: cos’è e come abbandonare questa abitudine
Secondo la professoressa Caroline Heldman dell’Occidental College di Los Angeles, quasi tutte le donne si assicurano il che il proprio aspetto fisico sia perfettamente in ordine circa ogni 30 secondi.
Questo fenomeno ha un nome: si chiama body monitoring. Si tratta infatti di un monitoraggio costante, generalmente prerogativa del genere femminile.
La peculiarità di questo atteggiamento è che è attuato in maniera continuativa e inconscia durante tutto il corso della giornata
Ciò porta a un grande dispendio di energie mentali, che avrebbero potuto essere incanalate in altre attività ben più proficue. Nelle situazioni più delicate, inoltre, questa modalità può sfociare in problematiche e patologie anche molto gravi, come disturbi d’ansia, depressione, disturbi del comportamento alimentare.
Uno sguardo continuo su se stesse
È nell’esperienza di molte donne e ragazze trovarsi in una situazione importante, come una riunione, una presentazione o un’interrogazione e, oltre ad avere pensieri relativi alla propria performance, essere distratte da qualche elemento dell’aspetto estetico che si desidera migliorare o tenere sotto controllo.
Possono essere i capelli, che quel giorno non sono a posto e quindi vengono toccati e riposizionati molto spesso. Può essere la camicia stretta, che viene sistemata per farla cadere meglio.
Pare inoltre che la pandemia abbia peggiorato l’attitudine al body monitoring e che questa stia iniziando a essere sempre più diffusa anche tra chi si indentifica nel genere maschile
In particolare, le video call, dove si è costantemente “di fronte a uno specchio”, sembrano rendere le persone più sensibili ai loro difetti e all’attenzione verso il proprio aspetto fisico e a come si viene percepiti dalle altre persone.
È interessante notare come, secondo diversi studi, il body monitoring non è appannaggio di poche persone insicure. Si tratta di un vero e proprio fenomeno sociale, che colpisce le donne in particolar modo.
Questo nasce dal fatto che le donne hanno uno sguardo costante e severo sul proprio aspetto esteriore. Si tratta di un qualcosa di prettamente inconscio a cui sono state iniziate sin dall’infanzia, anche a causa degli stereotipi di genere con cui sono state cresciute.
Il corpo come oggetto: il pensiero delle studiose
Ma da dove arriva questo sguardo che hanno le donne su se stesse che le porta al costante monitoraggio del proprio corpo? Diverse esperte di questioni di genere negli anni hanno cercato di rispondere a questa domanda, osservando il fenomeno e cercando di capirne le cause.
La critica cinematografica femminista Laura Mulvey negli anni 70 ha teorizzato il concetto di male gaze, in particolare nel suo testo Visual Pleasures and Narrative Cinema (1975). Si tratta di un termine inizialmente coniato per il cinema, ma che Mulvey ritiene si applichi a tutta la società.
Il male gaze non è altro che lo sguardo maschile che mira a rappresentare la donna in modo stereotipato per soddisfare il proprio piacere. La figura femminile è così stilizzata, su misura per le fantasie maschili
Questo tipo di sguardo, secondo Mulvey, è lo sguardo egemone presente nella nostra società.
Le donne avrebbero quindi introiettato questo sguardo. Da qui, il guardare a sé stesse da una prospettiva esterna, come spettatrici della propria performance.
Un’altra studiosa che si è dedicata negli anni a questa tematica è Naomi Wolf, che nel 1991 scrive il testo Il mito della bellezza.
Negli anni 90, in piena epoca d’oro delle top model super skinny, Wolf analizza la frustrazione per le donne nel non riuscire a raggiungere quel tipo di standard estetici e i danni che ha provocato.
Sostiene Wolf:
La cosa più impellente è che l'identità delle donne deve presupporre la loro "bellezza", perché restino vulnerabili all'approvazione esterna e siano costrette a mettere allo scoperto quella caratteristica vitale e sensibile che è l'autostima
La già citata professoressa Heldman vede nell’oggettivazione del corpo femminile il tema centrale della sua indagine.
Il concetto è spiegato accuratamente nel suo TedTalk del 2018 “The Sexy Lie” dove Heldman sottolinea come le donne siano da sempre trattate come oggetti e non soggetti all’interno della società.
In particolare, con l’avvento dei media e di internet e di un certo utilizzo del corpo femminile nell’advertising, il problema, a suo parere, si è acuito. Per questo è così difficile per le donne rendersi conto del tema: si tratta di un ecosistema normalizzato, uno schema in cui sono nate e cresciute.
Anche la filosofa Maura Gancitano ha affrontato questa tematica nel suo dal titolo Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza. (Einaudi, 2022). Gancitano analizza come, ancora in epoca contemporanea, quasi nessuna donna sia immune da un costante e implacabile sguardo giudicante di se stessa sul proprio aspetto.
Sottolinea Gancitano:
Quando lo sguardo su di te è così pervasivo, e quando impari che ciò che fai in pubblico può essere interpretato come una performance – che tu lo voglia o no – il tuo comportamento cambia
Un cambiamento di prospettiva è possibile
Riuscire a eliminare l’abitudine al body monitoring non è facile, almeno non nel breve termine. Come in ogni situazione è utile partire da piccoli passi per migliorare sempre di più.
È importante cercare di evitare di fare commenti negativi sul proprio aspetto. È impossibile e non sano censurare i propri pensieri, ma non verbalizzarli e soprattutto rendersi conto quando questi arrivano è un buon punto di partenza.
Allo stesso modo, può giovare evitare il commento dei corpi altrui, lasciando da parte così il confronto e la competizione
Come scriveva Naomi Wolf:
Il cambiamento più forte ma anche più necessario non sarà determinato dagli uomini o dai media, ma da noi donne, da come considereremo le altre e ci comporteremo nei loro riguardi.
L’obiettivo è limitare il potere che l’aspetto estetico ha sulla nostra percezione della realtà.
Ricordare sempre: la bellezza non è un dovere.
Diminuito il tempo passato a preoccuparsi della propria immagine, si potrà investire di più su ciò che realmente si è.
Per esempio, riscoprire il piacere di fare sport e andare in palestra non per l'ansia di ottenere il fisico perfetto, ma per il proprio divertimento e per le sensazioni positive che l’esperienza comporta.
Infine, rendersi conto che il problema è sistemico, non individuale. Condividere con altre donne le proprie sensazioni e normalizzarle aiuta a rendersi conto del proprio valore, all’infuori dell’aspetto fisico.