Carrozze per sole donne: discriminazione o una sicurezza in più?
Oltre 30.000 firme in una settimana per chiedere che Trenord riservi una carrozza di tutti i treni soltanto alle donne. Ma al di là dei numeri, la petizione lanciata da Greta Achini su Charge.org dopo la duplice violenza sessuale subita lo scorso 3 dicembre da due ragazze su un convoglio della tratta Milano-Varese ha il merito di avere suscitato un dibattito, e riacceso i riflettori sul problema di fondo, quello dei rischi che le donne ancora oggi corrono svolgendo un’attività tra le più comuni, prendere un mezzo per andare e tornare dal lavoro.
Nella petizione, Greta Iachini, originaria di Varese, sottolinea che «abbiamo il diritto di usare i mezzi pubblici a qualsiasi ora del giorno senza paura. In altri paesi, sui mezzi di trasporto anche locale esistono carrozze dedicate alle sole viaggiatrici. Con questa petizione chiediamo a Trenord di dedicare, su tutte le sue linee, la carrozza di testa alle donne. In questo modo, a qualsiasi ora, si potrà viaggiare sicure». È effettivamente vero che in altri Paesi esistono già carrozze dedicate solo alle donne: Giappone, Malesia, Thailandia, Egitto e India hanno adottato questa linea, principalmente alla luce del preoccupante numero di molestie e violenze denunciate dalle passeggere, ed è proprio sulla base di queste esperienze (frutto non di un lavoro di prevenzione, ma di una sorta di “rassegnazione” alla situazione) che si sono levate voci contrarie all’adozione di questo provvedimento anche in Italia.
"Uccise, stuprate, discriminate e ora anche segregate?"
Diverse associazioni femministe e attiviste per i diritti delle donne hanno infatti contestato la proposta, considerandola un passo indietro e non un passo avanti: costringere le donne a viaggiare su una carrozza riservata rappresenta per molte, più che una garanzia di sicurezza, una limitazione della libertà e una forma di ghettizzazione che non risolve il problema della violenza e delle molestie, ma si limita ad aggirarlo. Sempre sulla pelle delle donne, che per non rischiare di venire palpeggiate, molestate, stuprate devono cambiare il proprio comportamento e le proprie scelte accettando che non sia possibile cambiare altro. Nello specifico, il modo in cui la sicurezza viene (dovrebbe) essere garantita e, andando ancora più a monte, l’educazione sul tema.
È di questo avviso, per esempio, Laura Boldrini, deputata PD ed ex presidente della Camera, oggi presidente del Comitato della Camera sui diritti umani nel mondo: «Uccise, stuprate, discriminate e ora pure segregate? Riservare i vagoni dei treni alle donne va nella direzione sbagliata - ha dichiarato - non è una forma di protezione ma di ghettizzazione. Servono maggiori controlli e educare, già nelle scuole, al rispetto e al rifiuto di ogni violenza».
La scrittrice e attivista Carlotta Vagnoli, autrice tra l’altro del libro appena uscito Poverine, in cui punta i fari sul modo spesso sbagliato in cui vengono raccontati i femminicidi, ha inoltre sollevato un’altra importante questione: la ghettizzazione nella ghettizzazione, visto che da una generica definizione di “carrozze per donne” potrebbe portare all’esclusione della comunità trans.
Carlotta Vagnoli ha inoltre sollevato un’altra importante questione: la ghettizzazione nella ghettizzazione, visto che da una generica definizione di “carrozze per donne” potrebbe portare all’esclusione della comunità trans
Il "no" della Regione Lombardia
Anche la Regione Lombardia ha rifiutato la proposta: il governatore lombardo Attilio Fontana ha definito le carrozze per sole donne «una sorta di Apartheid, io non lo accetto. A questo punto chiedo che ci siano più controlli sui treni, che mandino l'esercito e controllino le tratte più pericolose, ma tenderei a eliminare un'ipotesi di questo genere. Credo che si debba fare di tutto per evitare che si verifichino questi episodi - ha proseguito - ma è un po' una sconfitta dire che ci debba essere una 'marginalizzazione delle donne', credo che si debba tornare a monte, non che si debba risolvere il problema alla fine”.
Al di là delle reazioni politiche e sociali resta comunque il problema di fondo, sempre più grave, da risolvere, che è la sicurezza delle donne. E sono proprio le donne, come spesso accade, a fornire soluzioni pratiche: sui social, da Instagram a TikTok passando per Twitter e Facebook, sono numerosi i post in cui vengono forniti consigli per proteggersi quando si cammina per strada da sole, quando si viaggia sui mezzi pubblici e in generale quando ci si trova in situazioni potenzialmente rischiose. E sono nate anche associazioni che forniscono supporto concreto.
Il progetto “Donne x Strada”
Donne x Strada, per esempio, è un progetto nato a Roma da un’idea di un gruppo di donne colpite dall’omicidio di Sarah Everard, avvenuto a Londra nel marzo del 2021. Sarah stava camminando per strada da sola, di ritorno da una serata con amici, quando è stata rapita e uccisa da un poliziotto, Wayne Couzens, che qualche settimana prima era già stato accusato di atti osceni in luogo pubblico.
Partendo da un fatto di cronaca che in Gran Bretagna ha portato a vere e proprie mobilitazioni, Laura De Dilectis, psicologa romana di 26 anni, ha pensato di mettersi a disposizione tramite i social. La pagina permette infatti alle donne che si trovano a passeggiare per strada da sole, e non si sentono sicure, di far partire una diretta su Instagram grazie alle volontarie attive sulla pagina. Altre persone possono unirsi e fare così compagnia lungo il tragitto, facendo sentire la donna che ha chiesto supporto meno sola: a pochi mesi dalla creazione, la pagina Donne x Strada conta su 113mila follower, una community di oltre 90.000 persone e 700 donne accompagnate a casa al sicuro.