Come comportarsi se una donna sta subendo violenza? I consigli della psicologa
Confuse, isolate, insicure, prive di riferimenti e di autonomia, spesso terrorizzate. Le donne vittima di violenza hanno quasi sempre in comune un forte senso di isolamento e di perdita di identità che le spinge a chiudersi ancora di più in loro stesse, rendendo difficile raggiungerle e aiutarle. Ma aiutare si può, a patto di non sostituirsi a chi può dare una mano in modo professionale e di non forzare alcun processo.
La dottoressa Cinzia Marroccoli è la Presidente dell’associazione Telefono Donna ed è consigliera della sezione della Basilicata dell’associazione Di.Re - Donne in rete contro la violenza. Da anni è a disposizione di tutte quelle donne che vivono relazioni violente e subiscono abusi fisici e psicologici, donne di ogni età e provenienza sociale che sul corpo, nello spirito e nell’animo portano i segni più o meno visibili della violenza. La sua missione è aiutarle a ritrovarsi, fornendo gli strumenti psicologici e materiali per consentire loro di uscire dall’incubo e riprendere in mano la propria vita. Da lei arrivano le indicazioni di massima utili per supportare un’amica, una sorella, una madre, una figlia in situazioni di questo genere, suggerimenti che più che con il fare hanno a che vedere con il “non fare”.
Attenzione al giudizio
«Molte persone ci telefonano preoccupate perché amiche o parenti sono vittime di violenza e non sanno cosa fare, capita spessissimo. Essere animati da buone intenzioni e voler aiutare è un’ottima cosa, ma bisogna tenere conto di una serie di dinamiche di cui spesso non si è a conoscenza - dice Marroccoli - Sicuramente c’è una cosa da non dire assolutamente, ed è qualcosa tipo “Ma come fai a restare in questa situazione? Perché non te ne sei ancora andata? Non vedi come ti stai riducendo?”. Frasi come queste esprimono un giudizio, una valutazione, ed è quello che allontana la donna vittima di violenza perché la fa sentire incapace, inadatta, sbagliata».
La donna che subisce violenza «vuole essere ascoltata e creduta, e non vuole essere giudicata. Il giudizio è la cosa peggiore, va a rompere il canale comunicativo e la porta spesso a chiudersi ancora di più in se stessa - spiega ancora la psicologa - La donna spesso si trova a pensare che è colpa sua e per questo non si rivolge all’esterno: alcune parole possono ferire moltissimo. Inoltre può succedere che voglia anche proteggere lui dal giudizio o da provvedimenti più seri, o può arrivare a pensare che nessuno le crede perché il partner violento è conosciuto come una persona rispettabile e stimata. Spesso pensa “se dico che in casa si comporta in questo modo, chi mi crederebbe?”. È una cosa che ripetono con frequenza gli stessi partner violenti, e il giudizio non fa altro che potenziare questa convinzione».
No alla forzatura e all'imposizione
Un’altra cosa da non fare è forzare la donna a lasciare l’uomo violento o a denunciarlo: «Non si può assolutamente imporre alla donna di fare cose che non si sente di fare - conferma Marroccoli - Non lo facciamo mai neppure noi che lavoriamo nei centri anti violenza. Si devono rispettare i suoi tempi. Può succedere che lei arrivi da noi in stato confusionale, ferita, spaventata. Noi cerchiamo di capire con lei il da farsi, diamo supporto, ma nulla viene fatto a meno che la donna non sia convinta a farlo e non viene intrapresa alcuna azione contro la sua volontà. C’è il rispetto assoluto. Succede spesso che i servizi sociali convincano la donna a venire al centro, ma è una battaglia persa se lei non è convinta di ciò che sta facendo».
Comprensione, ascolto ed empatia
Che cosa si può fare allora per aiutare in modo concreto? «Mettersi a disposizione senza pregiudizi e senza imposizioni - spiega la psicologa - Essere pronti all’ascolto, dimostrare di essere presenti e disponibili e costruire un rapporto solido di fiducia. A quel punto si può accennare, quasi in maniera casuale, ai centri anti violenza della zona, fornire informazioni o un numero di telefono, ricordare che esistono, che ci sono persone in situazioni simili che si rivolgono a professionisti, e dare la propria disponibilità ad accompagnare e stare vicino. Ma senza imposizioni né invadenza: la donna chiede aiuto solo quando si sente pronta a farlo»
1522, il numero da chiamare se si è vittime di violenza
Le donne che decidono di chiedere aiuto possono rivolgersi ai centri anti violenza della loro zona di residenza, oppure possono chiamare il 1522, il numero attivato nel 2006 dal Dipartimento per le Pari Opportunità che sostiene dal 2009 anche le vittime di stalking.
Il numero di pubblica utilità 1522 è attivo 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno ed è accessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa sia mobile. L’accoglienza è disponibile nelle lingue italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo. Le operatrici telefoniche dedicate al servizio forniscono una prima risposta alle vittime di violenza di genere e stalking, offrendo informazioni utili e un orientamento verso i servizi socio-sanitari pubblici e privati presenti sul territorio nazionale. Il tutto con l'assoluta garanzia di anonimato. I casi di violenza che rivestono carattere di emergenza vengono accolti con una specifica procedura tecnico-operativa, condivisa con le forze dell’ordine.