Conigli bianchi: l’associazione che trasforma l’arte in attivismo e rompe lo stigma sull’HIV
Ancora troppe persone non hanno idea che grazie alle terapie si può avere l’HIV e vivere in salute, senza trasmettere l’infezione a eventuali partner o figliə: i Conigli Bianchi - che si definiscono artivist* mutanti che hanno dichiarato “guerra” a un mondo che odia e teme la sieropositività - sognano di fare una rivoluzione parlando di sangue ma senza spargerlo:
Vogliamo rompere il silenzio che circonda l’Hiv, divulgare informazioni aggiornate e combattere lo stigma che circonda le persone che vivono con HIV
Lo racconta bene Luca Modesti, artivista dei Conigli.
Rompiamo i tabù, sfatiamo i luoghi comuni: parola a Luca Modesti
Siamo tuttə sierocoinvoltə: questa è la vostra risposta a chi pensa che la questione non lə riguardi. Ci potresti spiegare che significa?
Secondo noi siamo tuttə sierocoinvoltə perché il virus non fa differenze, come qualunque altra infezione sessualmente trasmissibile. Per anni abbiamo sentito raccontare che l’HIV fosse un rischio reale solo per alcune categorie di persone: chi utilizzava sostanze per via iniettiva, chi faceva lavoro sessuale, le persone omosessuali e transessuali.
Invece no, la questione riguarda tuttə, e infatti a partecipare al collettivo non sono solo persone che vivono con l’HIV: molti si sentono coinvoltə dal tema a vari livelli e per vari motivi, per sensibilità personale o trascorsi di vita.
Rompere l’idea che sia un tema di cui si devono occupare solo determinate persone è una cosa molto potente. In realtà lo normalizza, ed è proprio quello che vorremmo
Lasciare che artisti e artiste parlassero con i loro mezzi espressivi preferiti è stata la strategia vincente: vi è mai capitato che qualcunə non trovasse il modo giusto di farsi voce per la causa?
Dal 2014 ad oggi abbiamo aperto tre open call, più alcune campagne commissionate e preparate insieme agli artisti visivi fin dall’inizio.
Il senso della call è proprio fare spazio a quello che viene: per quanto i termini della call possano essere precisi, il rischio che arrivino delle opere che non sono in linea con il sentire politico del collettivo c’è. È successo di rado, e magari si trattava di opere che avevano poco impatto comunicativo. Il nostro progetto, invece, crede tantissimo nella comunicazione e fa molto affidamento agli esperti in materia.
Quando lavoriamo su campagne o commissioni, infatti, il lavoro di confronto è sempre lungo e partecipato. Il nostro ruolo è sempre stato quello di parlare molto con gli artisti, cercare di fare lunghe chiacchierate su Skype, perché il nostro sguardo sul progetto arrivi a coincidere il più possibile. C’è uno studio approfondito, condiviso, ci interessa che la voce emerga con forza. Confrontarsi e allinearsi è fondamentale, e il risultato finale ne trae giovamento a livello di impatto comunicativo.
Conigli bianchi è nata come associazione di lotta alla discriminazione e diffusione di consapevolezza sessuale. Proviamo a fare un bilancio: com’è cambiata la situazione rispetto a quando avete iniziato?
In questi otto anni ci ha impressionato la tanta attenzione che ci è stata riservata, noi siamo un collettivo di poche persone e la interpretiamo come un segno del vuoto gigantesco e del silenzio che grava sul tema. A livello istituzionale, il vuoto è rimasto tale. Mancano campagne ministeriali e riforme legislative accurate, soprattutto.
È di questi mesi la discussione per la revisione della legge 135/09 sulla lotta all’AIDS, che andrebbe integrata e aggiornata per fronteggiare le nuove problematiche offerte. Tuttavia, questa operazione si sta svolgendo senza alcuna coordinazione con le associazioni di pazienti, con le associazioni HIV e con i reparti di infettivologia, e in spregio delle normative europee. Tuttavia, non c’è una sensibilità sufficiente sul tema perché questo provvedimento faccia notizia, e passerà sotto silenzio.
Dal punto di vista di comunicazione e visibilità, invece, bisogna dire che in questi anni sono usciti vari film e documentari, tra cui, per ultimo la serie Stigma Invisibile, dal 4 maggio su Discovery+. La serie raccoglie testimonianze di chi ogni giorno convive con il virus.
È un prodotto accurato, soprattutto per quanto riguarda le fonti: ha il patrocinio di tutte le associazioni HIV italiane ed è il frutto di un lavoro fatto nel corso di cinque anni. Lo spettro delle tematiche affrontate è molto ampio: si parla della prevenzione, dello stigma, delle donne, della maternità e anche degli anni più bui, senza sensazionalismo e senza cercare il torbido
La serie guarda molto al presente, racconta dei nuovi strumenti di prevenzione, facendo un focus importante sulla PrEP (la profilassi pre-esposizione all’HIV), di come le persone che vivono con HIV riescono a portare avanti serenamente progetti di genitorialità, del traguardo del rischio di trasmissione zero per chi segue adeguatamente le terapie, racconta un mondo molto diverso da quello che in molti si aspetterebbero.
A più di 40 anni dall’inizio dell’epidemia la serie racconta anche come nasce lo stigma, e rende un omaggio doveroso a decenni di attivismo, a chi ha lavorato in silenzio in un settore con il quale in pochə volevano sporcarsi le mani.
Secondo il racconto avviene con un tale rispetto e cura che abbiamo deciso di raccontare la serie sui nostri canali social attraverso degli incontri di approfondimento con lə protagonistə.
Nelle prossime settimane, soprattutto su instagram, grazie alla collaborazione con Michela Chimenti, l’autrice della serie, ne parleremo con addettə ai lavori, ma anche con persone che hanno fatto qualcosa per la visibilità in Italia, come ad esempio Enorma Jean protagonista su Drag Race Italia di uno dei pochi coming out sierologici della televisione italiana.
Nonostante le tante possibilità, spesso non ci si controlla anche per paura del giudizio di operatori e operatrici. Perché, secondo te, lo stigma è vivo persino nei contesti medici, e cosa consigliereste a chi ha questa difficoltà?
Innanzitutto, è bene ricordare che non c’è necessità di comunicare il nostro stato sierologico a nessuno. Dal personale medico è giusto aspettarsi la stessa attenzione nei confronti di qualunque paziente: ci si aspetta, cioè, che a livello di cautele e prassi diano per scontato che tuttə siano potenzialmente positivə a qualcosa.
Anche se non c’è un vincolo legale a farlo ad esempio è ancora molto comune la richiesta, da parte dei dentisti, di informazioni riguardo allo stato sierologico delle persone.
In funzione della risposta a volte le persone che vivono con HIV vengono rifiutate o fatte slittare all’ultimo appuntamento della giornata.
Oltre a trattarsi di una palese discriminazione, questa pratica rivela una ignoranza inammissibile sul tema: oggi la persona infettiva è solo chi non lo sa e non si cura.
Eppure, sono tantissimi i casi di discriminazione registrati ogni giorno dalle associazioni in ambito sanitario, e bisognerebbe intervenire con corsi di formazione e aggiornamento proposti e promossi dalle istituzioni. All’estero ci sono molti modelli virtuosi da copiare.
A livello personale, invece, possiamo difenderci chiedendo un aiuto legale. A questo proposito rimandiamo al sito di LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS), che raccoglie molte informazioni utili, con focus sui vari ambiti di discriminazione su posti di lavoro, ambienti sanitari, scuole, ecc.
L’HIV è un tema più complesso di quanto non crediamo, perché coinvolge l’affettività, la sessualità e le nostre interazioni sociali. Perché ne parliamo così poco?
A questo tabù, già così forte, si somma il tabù della sessualità declinato in senso assolutamente sessuofobico, che fa sì che di parli di sesso sempre e comunque in maniera imbarazzata.
È importante, invece, riportare il valore della salute sopra qualunque imbarazzo
Lo stigma e la ricerca di categorie più a rischio delle altre, così come l’attribuzione ai positivi di una colpa, infatti, deriva da un’istintiva ricerca di salvezza: in realtà, chi discrimina sta parlando della sua paura, del bisogno di identificare il sé come diverso.
Nel nostro Paese non si è mai riusciti a prendere posizioni coraggiose su temi percepiti come divisivi. Per questa ragione, siamo l’ultimo paese della vecchia Europa a non avere l’educazione sessuale e all’affettività nelle scuole. Altrove non saremmo così schiavi di una cultura e di un elettorato di matrice cattolica; altrove, le comunità accolgono provvedimenti di questo tipo interpretandoli come impegno per la tutela della salute dei cittadini.