Daniel Lumera: “La meditazione è un atto di risveglio collettivo”
“Stiamo umanizzando l’Intelligenza Artificiale senza aver prima capito cosa sia l’uomo, senza esserci davvero umanizzati”. Basterebbero queste parole, custodi di una verità sconvolgente, a obbligarci a una pausa, a una riflessione seria e profonda sul futuro dell’umanità. È ciò che fa Daniel Lumera da sempre: invitare all'ascolto del proprio essere, abbandonando le sovrastrutture di una società disumanizzante per piantare i semi di un risveglio collettivo. Per farlo è diventato ricercatore e divulgatore di tecniche di meditazione fondando varie realtà e percorsi di formazione - come la My Life Design Academy e il Filo d’Oro -; ha pubblicato numerosi libri – tra gli ultimi, Biologia della gentilezza; Ecologia Interiore e 28 respiri per cambiare vita – e creato un’associazione di volontariato con l’idea che la meditazione sia un serbatoio di valori, uno strumento per fare del bene non solo a se stessi ma anche (e soprattutto) agli altri.
Una visione della meditazione, la sua, che si pone in controtendenza rispetto all'utilizzo dilagante di tecniche meditative - tra cui la mindfulness - come meri strumenti per il benessere individuale
In quest'ottica si inserisce anche il nuovo libro Come se tutto fosse un miracolo. Un cammino per riconquistare leggerezza, felicità, meraviglia, in libreria dal 2 aprile, in cui Lumera suggerisce un percorso per uscire da quella crisi – non solo esistenziale ma anche climatica, ambientale, politica e sociale – che è il tratto identitario della nostra società.
VEDI ANCHE CultureMeditation Rave: a Milano un evento tra spiritualità e arte per risvegliare l’interconnessione umanaIl libro è un viaggio di ricerca interiore per comprendere quale sia il vero significato della propria esistenza: attraverso il sentiero dei Patra, percorso di avvio del Filo d’Oro, Lumera accompagna alla scoperta della natura dell’umanità per aiutare a ritrovare la propria vocazione e il proprio proposito di vita. Lo fa condividendo sei passi chiave, sei “livelli di integrità” per superare le crisi e vivere con gli occhi della meraviglia anche i più piccoli momenti della quotidianità: l’integrità nella parola, nella meraviglia, nei sospesi, nel vuoto nel dono e nella pace.
In occasione di Meditation Rave x FLA FlavioLucchiniArt Museum – evento che ha intrecciato arte, meditazione e scienza con l’obiettivo di ricordare il concetto di interdipendenza e il potere della coscienza collettiva – Daniel Lumera ci racconta con grande generosità il suo cammino interiore, il suo incontro con la meditazione e come, secondo lui, sia possibile comprendere se stessi in un contesto sociale che ci porta a disconnetterci con i nostri veri bisogni e la nostra verità.
Hai incontrato il sentiero spirituale giovanissimo. Come è successo e come hai capito di volerlo percorrere fino in fondo, rendendolo protagonista della tua vita?
Avevo 19 anni quando, in un paese vicino a dove sono cresciuto, in Sardegna, scoprii da alcuni conoscenti che sarebbe arrivato un maestro indiano. Non avevo mai provato a meditare, ma lo andai comunque ad ascoltare mosso dalla curiosità. Mentre chiusi gli occhi per mettermi in stato meditativo ebbi una delle classiche fortune da principiante, entrando subito in uno stato superiore di coscienza. Provai immediatamente una grande sensazione di gratitudine: era successo qualcosa di profondo, e sentii di non volerne più fare a meno. È stato come capire, nell’istante di una scintilla, di aver trovato il proposito della vita, di aver compreso che fino a quel momento stavo dormendo e che non volevo fare altro. La meditazione diventò presto la passione più grande che avevo sperimentato fino a quel momento: una passione che mi mangiava vivo e che per questo mi impauriva, perché sentivo che sarebbe diventata il motivo della mia esistenza.
Quando hai deciso, invece, di trasmettere anche agli altri questa tua passione?
Dopo 11 anni di pratica, sentii che diventava sempre più difficile tenere solo per me tutta la meraviglia e la verità che avevo esperito. Diventò addirittura doloroso, un’esigenza pressante per non stare male. Ho iniziato quindi a fare divulgazione: prima di tutto, però ci sono voluti 11 anni di silenzio, di studio, di approfondimento. Oggi molte persone iniziano a trasmettere gli insegnamenti senza aver coltivato, in primo luogo, una necessaria profondità.
Per diffondere la pratica meditativa hai fondato diverse realtà, dalla My Life DesignAcademy al Filo D’Oro, portando la meditazione anche nelle carceri, nelle scuole e negli ospedali. In che modo queste realtà si intrecciano e qual è il loro obiettivo?
Attualmente sono attive quattro diverse realtà: la My Life DesignAcademy, che offre seminari, workshop e formazione per privati e aziende; la My Life Design Odv, che rappresenta l’associazione di volontariato attraverso cui portiamo la meditazione in carcere, nelle scuole e nell’accompagnamento ai morenti; e poi c’è il Filo D’Oro, che offre un percorso di crescita spirituale e personale molto profondo, dedicato non ai “turisti della spiritualità”, ma a coloro che vogliono esplorare e incarnare i valori che porta con sé la meditazione. Uno spazio per ascoltarsi, donarsi e realizzarsi, dove fare conoscenza della propria vocazione. Io lo chiamo un “laboratorio di valori”. Infine, l’ultimo arrivato è L’Incontro: un luogo immerso nella natura, in Sardegna, dove venire a fare ritiri, volontariato, dove ritrovare il proprio respiro. Un luogo dove scienza, arte e spiritualità confluiscono.
Negli ultimi anni, sono moltissimi gli studi scientifici che confermano i benefici fisici e psicologici della meditazione. Ma in che modo questa si lega all’arte?
Il mio incontro con l’arte è nato durante una cena a Firenze: si parlava di quale fosse il linguaggio più parlato nella Terra: qualcuno diceva inglese, altri cinese, altri ancora spagnolo. Un matematico sosteneva fosse la matematica. Io ho risposto il silenzio, la contemplazione, i principi devozionali. Poi è intervenuta un’artista e siamo convenuti che scienza, arte e contemplazione sono i capisaldi dell’esperienza umana, capaci di resistere alle grandi prove della storia. Così abbiamo detto: perché non farli dialogare? È così che è nata l’esperienza del MAXXI con la performance La mente meditante, seguita dal documentario An Enlightened Mind, diretto da Felicia Cigorescu, e dall’incontro presso il museo di Flavio Lucchini. La meditazione è un’espressione artistica, e il cervello meditante è un’opera d’arte.
La meditazione, soprattutto nella forma della mindfulness, gode negli ultimi anni di un crescente interesse. A cosa lo imputi?
È molto semplice: allo stile di vita folle e al malessere generato da una società iperperformante, che non smette di mettere obiettivi che sono solo funzionali all’ego e all’incomprensione della propria vera natura. Assistiamo a un aumento del 50% di depressione e ansia, a processi di infiammazione cronici che si riflettono in un crescendo di patologie come cancro e Alzheimer. Siamo iperconnessi eppure siamo soli, isolati. Ci voleva quindi una medicina naturale forte: la meditazione. Secondo la scienza ha effetti enormemente positivi su stress, depressione, ansia, invecchiamento. Più corriamo più abbiamo bisogno di meditare. Oltre a questo,
la meditazione, se compresa come arte millenaria, è un laboratorio reale di valori, di quei valori che mancano oggi. Parlo di pazienza, perseveranza, passione reale per le cose, devozione – parola sconosciuta e perduta – amore, disciplina
In un mondo che corre, fermarsi e creare dei rituali in cui ascoltarsi e riconoscersi, o meglio, riconoscere la propria vocazione, è sempre più urgente. Urgente per smettere di essere il prodotto delle esigenze di mercato. I desideri che abbiamo, nel 99% dei casi, sono prefabbricati dal mercato: sono desideri che non ci appartengono e che non ci danno felicità. Pensiamo a quante relazioni vengono mantenute solo per seguire il bisogno di sicurezza, a quanti rapporti superficiali si diffondono nell’incapacità di far fronte ai momenti di crisi.
La meditazione ci insegna proprio questo, a stare nella vita così com’è, con i suoi alti e bassi, con se stessi e con gli altri. È un antidoto alla follia che stiamo vivendo, a una società fatta di persone che si stanno profondamente disconnettendo
Oggi stiamo assistendo a una diffusione incontrollata dell’Intelligenza Artificiale, ma stiamo cercando di umanizzare la tecnologia senza sapere cos’è l’uomo, senza aver umanizzato l’uomo. Queste sapienze millenarie sono oggi più che mai necessarie per scoprire cos’è, davvero, l’essere umano.
Nel saggio McMindfulness: How Mindfulness Became the New Capitalist Spirituality, Ronald Purser parla di come la mindfulness, da antica pratica legata a filosofie spirituali come il buddhismo, sia stata progressivamente assorbita e inaridita dal sistema capitalista, fino a diventare un mero strumento per imparare a convivere con lo stress generato dallo stesso sistema capitalista. Come si esce da questo?
Si esce ricordandosi che la meditazione è un noi, non un io. L’evento allo spazio di Flavio Lucchini ha dimostrato che i cervelli entrano in risonanza: basta che una persona si trovi in uno stato meditativo profondo per influenzare le persone che si trovano nell’ambiente circostante. Oggi la meditazione è stata compresa secondo logiche utilitaristiche perché la nostra società ragiona secondo questi termini. Ciò che facciamo, con My LifeDesign e con il Filo d’Oro, è dimostrare che la vera ricchezza si disvela proprio quando non si ragiona secondo queste logiche. È nella qualità del saper donare che si nasconde il vero tesoro, la vera ricompensa. Conosco persone che sono dei veri squali nel proprio lavoro, ma che poi puntuali, alle 19.30, praticano mindfulness. Per questo facciamo volontariato: entrare in un carcere o stare accanto a una persona che sta morendo ti apre la testa. Il dolore è così grande che non esiste nient’altro. In questi casi c’è solo bisogno di avere persone che riescano a stare con quel dolore, che ascoltino, che siano capaci di trasformarlo in qualcosa di positivo, c’è bisogno di questo. Il resto è solo follia. Per questo cerco di trasmettere i valori della meditazione nella loro forma più nobile.
Parlavi di un’incapacità, nel mondo odierno, di comprendere la propria vocazione. Come mai? E come si trova la propria vocazione?
Semplice: smettendo di cercarla e imparando ad ascoltare la vita. Oggi abbiamo un desiderio di controllo fortissimo, e la vocazione rappresenta il mero prodotto di un’interpretazione di ciò che dovrebbe essere la propria vocazione. È il frutto di aspettative sociali e familiari. Molto persone hanno trovato la propria vocazione attraversando un periodo di crisi, per caso. Magari un giorno erano per strada e si sono fermati ad aiutare un anziano, e lì è scattato qualcosa.
È lasciandosi andare all’imprevedibilità della vita che accadono le cose più meravigliose
Questo lo spiega molto bene l’India: proprio quando hai fatto mille programmi e scelto tutte le tappe, succede qualcosa che scombina completamente tutti i piani. Lì inizi a capire cos’è la vita: entri una dimensione di accettazione, lasci andare la tentazione di dover controllare, ma non è rassegnazione, anzi, è un fluire col cuore aperto, è la condizione migliore per sentire la propria vocazione. Ci vuole silenzio e la capacità di non definirsi, bisogna entrare in una fiducia fondamentale nell’esistenza, fidarsi nella trama della vita. Pian piano inizi a sentirti, ad aprire il cuore. All’inizio hai paura, hai le vertigini. È normale. Ci vuole coraggio per trovare la propria vocazione.
In Come se tutto fosse un miracolo spieghi proprio come riuscire a riconnettersi con il proprio essere, come “risvegliarsi” e trasformare il dolore in risorsa.
Sì. Come se tutto fosse un miracolo parla di integrità, di quello stato mentale in cui riusciamo a tornare alla mente del bambino, alla leggerezza e all’integrità. Nel libro ripercorro sentiero dei Patra – che significa “ciotola”, in Sanscrito, la ciotola dei monaci – tratteggiando un viaggio di ricerca interiore verso la consapevolezza di sé, della realtà, della vita e della natura delle cose. Tutti noi siamo dei Patra: siamo dei contenitori di amore, ma crescendo questa ciotola si fessura, si crepa a causa di dolori e delusioni, così non siamo più capaci di contenere l’amore, la purezza. Nel mio libro spiego come percorrere il percorso dei Patra, ovvero il percorso dell’integrità, come sperimentare l’integrità nella parola, nel vuoto, nei sospesi, nella pace. Solo quando sei integro – e quindi vuoto - sei predisposto ad accogliere. Il vuoto, oggi, è uno dei miei valori più grandi. Nel vuoto mi rigenero, mi ascolto, mi connetto con il mio essere. Come se tutto fosse un miracolo è anche il primo libro in cui mi denudo, in cui racconto aspetti intimi del mio percorso iniziatico.
Nella società di oggi, è realmente possibile essere integri?
Io ne sono convinto. Ma l’integrità non è qualcosa di statico, è un cammino in continua evoluzione.
Essere integri nella parola significa, banalmente, non dire degli altri ciò che non potresti dire in loro presenza. È talmente semplice da essere sconvolgente, eppure se tutti lo facessimo vivremmo in una società migliore, non trovi?
Ci sarebbe una rivoluzione sociale perché tutti avremmo fiducia l’uno nell’altro. Sono piccole le cose con un grandissimo impatto. Quando si inizia a sperimentare il benessere e la pace generate dall’integrità tutto cambia. Il “noi” fa sempre la differenza.