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Trasparenza retributiva: un passo avanti verso la parità salariale in Unione Europea

13-04-2022
Le lavoratrici dell'Unione Europea continuano a guadagnare il 14% in meno rispetto ai colleghi uomini. Una direttiva approvata del Parlamento Europeo vuole chiudere il gap retributivo attraverso l’abolizione del segreto salariale per le aziende con almeno 50 dipendenti e rendere pubblici i dati sugli stipendi. Di cosa si tratta? Quali diritti avranno le lavoratrici? Quali sanzioni verranno applicate a chi non rispetterà le regole?

La mancanza di trasparenza retributiva – sottolinea la Commissione Europea - è uno dei principali ostacoli al raggiungimento della parità salariale di genere.

Da giugno 2019, le istituzioni si sono impegnate in un percorso legislativo teso a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, proprio attraverso la trasparenza delle retribuzioni. In questo quadro si inserisce la Direttiva a tema approvata dal Parlamento Europeo: passata al vaglio con 403 voti favorevoli, 166 contrari e 58 astensioni, il testo legislativo propone di abolire il segreto salariale per le aziende con almeno 50 dipendenti e rendere pubblici i dati sugli stipendi.

I prossimi passaggi per renderla effettiva saranno i negoziati con i governi statali dell’Unione Europea. 

Secondo i dati Eurostat, infatti, il divario retributivo di genere nell’area in questione continua ad attestarsi intorno al 14% con ripercussioni preoccupanti sulla qualità della vita delle donne, esposte a un maggiore rischio di povertà e alla perpetuazione del divario retributivo pensionistico, pari al 33%

Cos’è la trasparenza retributiva

Secondo la Commissione europea e come si legge nel testo della proposta, la trasparenza retributiva è uno strumento in grado di “fugare i dubbi sulla parità retributiva tra uomini e donne e sostenere l'eliminazione dei pregiudizi di genere nelle pratiche retributive”.

La sua osservanza, infatti, potrebbe permettere ai lavoratori di verificare eventuali discriminazioni basate sul sesso e mettere in luce i pregiudizi di genere nei sistemi retributivi e di inquadramento professionale che “non valorizzano il lavoro di donne e uomini in modo paritario e neutro sotto il profilo del genere, o che non valorizzano alcune competenze professionali che sono per lo più considerate qualità femminili.

Poiché tali pregiudizi sono spesso inconsci, la trasparenza retributiva può contribuire a sensibilizzare i datori di lavoro sulla questione e aiutarli a individuare disparità retributive discriminatorie basate sul genere che non possono essere spiegate da validi fattori discrezionali”. 

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Cosa prevede la Direttiva che vuole abolire il segreto salariale

Eurostat riferisce che il genere femminile guadagna in media, all’ora, almeno il 14% in meno rispetto a quello maschile. Nonostante la percentuale di donne laureate superi quella degli uomini nell’Unione Europea, queste continuano ad essere sottorappresentate nel mercato del lavoro. In più, quasi il 30% delle donne lavora a tempo parziale rispetto all'8,4% degli uomini, ed è più frequente che smettano di esercitare per prendersi cura di figli e parenti.

La Direttiva vuole intervenire abolendo il segreto salariale nelle clausole contrattuali

Le aziende con almeno 50 lavoratori, infatti, potrebbero dover “vietare le condizioni contrattuali che impediscono ai lavoratori di divulgare informazioni sulla loro retribuzione, e invece divulgare ogni divario retributivo di genere esistente al loro interno”, cita il Parlamento Europeo in un comunicato.

“Se le informazioni sulle retribuzioni rivelano un divario retributivo pari o superiore al 2,5%, i datori di lavoro, in cooperazione con i rappresentanti dei lavoratori, dovrebbero condurre una valutazione delle retribuzioni ed elaborare un piano d'azione per garantire la parità”.

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Il meccanismo di valutazione del gender pay gap

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Nel dettaglio, qualora le informazioni sulle retribuzioni comunicate agli enti supervisori dovessero riscontrare una differenza del livello retributivo medio tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile pari ad almeno il 2,5% in una qualsiasi categoria di lavoratori e il datore di lavoro non dovesse giustificare tale differenza di livello retributivo medio con fattori oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, potrebbe entrare in gioco la valutazione congiunta delle retribuzioni.

L’analisi passerà in rassegna “la percentuale di lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile in ciascuna categoria di lavoratori; informazioni dettagliate sui livelli retributivi medi dei lavoratori di sesso femminile e maschile e sulle componenti complementari o variabili, per ciascuna categoria di lavoratori; l'individuazione delle eventuali differenze nei livelli retributivi tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile in ciascuna categoria di lavoratori; le ragioni di tali differenze nei livelli retributivi e, se del caso, giustificazioni oggettive, neutre sotto il profilo del genere, stabilite congiuntamente dai rappresentanti dei lavoratori e dal datore di lavoro” e, in caso di esito fuori norma, prevede che vengano attuate “misure volte ad affrontare tali differenze se non sono giustificate sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere” e che venga redatta “una relazione sull'efficacia delle misure menzionate nelle precedenti valutazioni congiunte delle retribuzioni”.

La Commissione Europea ha previsto anche di spostare l'onere della prova sulle questioni legate alla retribuzione al datore di lavoro

Nei casi in cui un dipendente dovesse ritenere che il principio della parità di retribuzione non sia stato applicato e dovesse portare il caso in tribunale, la legislazione nazionale dovrebbe obbligare il datore di lavoro a provare che non c'è stata discriminazione, e non il lavoratore.

Nuovi diritti per le donne lavoratrici sin dalle fasi di selezione

I datori di lavoro del settore pubblico e privato dovranno rendere le valutazioni congiunte delle retribuzioni fruibili per tutti i dipendenti, i rappresentanti dei lavoratori, dell'organismo di monitoraggio, dell'organismo per la parità e dell'ispettorato del lavoro.

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Il diritto alla base della misura, infatti, è l’informazione: questa direttiva mira a fornire ai lavoratori i dati necessari “per valutare se sono retribuiti in modo non discriminatorio rispetto ad altri lavoratori della stessa organizzazione che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, e per far valere il loro diritto alla parità retributiva, se necessario” sin dalle fasi precedenti l’assunzione.

I dipendenti avranno il diritto di chiedere al proprio datore di lavoro informazioni sul livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso e categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore.

Cosa succederà a chi non rispetterà la Direttiva

I dipendenti che hanno subìto un danno a seguito di una violazione di un diritto o di un obbligo connesso al principio della parità retributiva tra uomini e donne, potrebbero avere il diritto di chiedere e ottenere il pieno risarcimento o la piena riparazione per tale danno.

Dovrebbe poter essere garantito un “risarcimento reale ed effettivo per la perdita e il danno subìti, che sia dissuasivo e proporzionato al danno stesso. Il risarcimento pone il lavoratore che ha subìto un danno nella posizione in cui la persona si sarebbe trovata se non fosse stata discriminata in base al sesso o se non si fosse verificata alcuna violazione dei diritti o degli obblighi relativi alla parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. 

Il risarcimento comprende il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse e per il pregiudizio morale

Secondo le stime della Commissione Europea, la parità retributiva di genere potrebbe incrementarele retribuzioni lorde totali a livello dell'UE e chiudere le disparità del reddito di mercato in tutti gli Stati membri riducendo il tasso di rischio di povertà.

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