Disability Pride Month: le origini, l’importanza e la strada da fare

Luglio è il Disability Pride Month, una ricorrenza che mira a sensibilizzare sul valore della disabilità e a mettere in luce gli ostacoli che ancora oggi incontrano quotidianamente le persone disabili. Ecco com'è nata questa ricorrenza e perché è importante ricordarla

Disability Pride Month - le origini

ll 12 marzo 1990, oltre 1.000 persone con disabilità marciarono dalla Casa Bianca al Congresso degli Stati Uniti per mostrare concretamente le difficoltà e le barriere che affrontano quotidianamente. In questa occasione, molti partecipanti abbandonarono le loro sedie a rotelle e stampelle, iniziando a salire con grande sforzo gli 83 gradini di pietra che portano al Campidoglio. Questo atto simbolico e faticoso aveva l'obiettivo di sollecitare l'approvazione dell'Americans with Disabilities Act (ADA), una legge fondamentale per i diritti civili delle persone con disabilità, che era rimasta bloccata a causa di lunghe negoziazioni.

Tra i manifestanti, la giovane Jennifer Keelan, di soli 8 anni, divenne il simbolo della manifestazione. Jennifer abbandonò la sua sedia a rotelle e iniziò ad arrampicarsi sui gradini, diventando un simbolo del movimento. Ai giornalisti dichiarò: "Ci vorrà tutta la notte, se necessario". La sua partecipazione ha giocato un ruolo cruciale nell'approvazione dell'ADA, firmata dal presidente George H.W. Bush il 26 luglio 1990​. Quella giornata divenne storica e conosciuta come il "Capitol Crawl".

Anche per questo motivo il Disability Pride viene celebrato a luglio, mese scelto dal sindaco di New York De Blasio nel 2015 in occasione dei 25 anni dell'ADA.

Jennifer Keelan
Jennifer Keelan

Gli obiettivi del Disability Pride Month

Nel 2013, durante il Disability Pride di Chicago, sono stati delineati i tre obiettivi principali del movimento:

  • Trasformare la percezione e la definizione della "disabilità"
  • Eliminare il senso di vergogna interiorizzato dalle persone con disabilità
  • Sensibilizzare la società sul fatto che la disabilità è una componente naturale e preziosa della diversità umana, di cui le persone con disabilità possono andare fieri

La bandiera del Disability Pride Month

La bandiera del Disability Pride Month, ideata dall'artista disabile Ann Magill, utilizza vari colori per rappresentare le diverse sfaccettature della comunità.

  • Rosso: rappresenta le disabilità fisiche.
  • Giallo: rappresenta le disabilità intellettive.
  • Verde: rappresenta le disabilità sensoriali.
  • Bianco: indica le disabilità invisibili o non diagnosticate.
  • Nero: onora le persone con disabilità che hanno perso la vita a causa di negligenza, suicidio o politiche eugenetiche.

La disabilità in Italia: dati, evoluzioni e cambiamenti di prospettiva

Le persone con disabilità sono la più grande minoranza sociale al mondo. Il 20% infatti della popolazione globale vive infatti con una disabilità. Secondo l'ISTAT, soltanto in Italia sono quasi 13 milioni di persone. Possiamo dire che 1 famiglia su 10 ha al suo interno una persona con disabilità, un anziano non autosufficiente, un bambino, ragazzo o adulto che sia.

Da ciò possiamo dedurre che la disabilità è una condizione che non riguarda solo il singolo, ma l'intera collettività chiamata a rimuovere i limiti e operare al fine di garantire la piena inclusione della persona con disabilità nel contesto sociale. In questo lento processo contribuiscono poi le spinte europee e un cambio di prospettiva, sociale più che giuridico, sul trattamento delle persone con disabilità.

Dal modello biomedico alla prospettiva bio-psico sociale

C'è stato un importante cambio di prospettiva dettato dall'abbandono del modello biomedico e dall'emergere di una prospettiva bio-psico sociale dell'ICF (International Classification of Functioning Disability and Healt). Il primo modello pone l'accento sulla malattia, attribuendo un ruolo passivo alla persona. La prospettiva bio-psico sociale, invece, è capace di evidenziare le risorse individuali ed è il risultato dell'interazione tra persone e ambiente.

L'idea della disabilità come malattia cede quindi il passo a un’idea ‘relazionale’ della disabilità che, sulla base della definizione di disabilità della Convenzione ONU, viene intesa come "la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo". Si pone così l'attenzione sulle discriminazioni e sulle mancanze di opportunità subìte dalle persone con disabilità e su una responsabilità sociale da cui non possiamo più sottrarci.

Paradossalmente, infatti, se non ci fossero barriere architettoniche e culturali, la disabilità potrebbe quasi non esistere

Se l'ambiente fosse completamente privo di ostacoli per ogni tipo di disabilità - non solo motoria ma anche sensoriale - le persone con disabilità potrebbero muoversi autonomamente. Immaginiamo un mondo in cui tutti possono prendere l'autobus in autonomia, attraversare la strada e spostarsi ovunque con una sedia a rotelle o il bastone per ciechi senza incontrare impedimenti ma anzi con un percorso ad hoc. In un ambiente così accessibile, le limitazioni verrebbero drasticamente ridotte, permettendo una vita indipendente e piena per tutte e tutti.

La situazione oggi

Solo quest'anno, in Italia è stato introdotto il Decreto Disabilità, una legge che sostituisce a livello normativo termini come "handicap", "handicappato", "disabile" e "diversamente abile" e "condizione di gravità" con espressioni meno stigmatizzanti come "condizione di disabilità" e "persona con disabilità", "persona con disabilità avente necessità di sostegno elevato o molto elevato o intensivo".

Questo adeguamento del linguaggio è finalmente in linea con quanto previsto dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Con questa legge dunque si intende garantire alle persone con disabilità il riconoscimento dei propri diritti civili e sociali, tra cui anche il diritto alla vita indipendente nel rispetto dei principi di autodeterminazione e non discriminazione.

Si è quindi passati dall'utilizzo del termine "handicap", parola originata dal gioco d'azzardo (hand in cap, ovvero "la mano nel cappello", riferendosi alle monete estratte a sorte da un cappello), al termine "disabile". Nel 2001, l'ICF ha adottato il termine "disabilità", ridefinendo il funzionamento umano e la disabilità stessa attraverso una classificazione che integra i modelli "medico" e "sociale". Da quel momento, la disabilità è stata descritta come la conseguenza o il risultato di una complessa interazione tra la condizione di salute e i fattori personali e ambientali.

Accessibility washing: l'Inclusività di facciata e la necessità di un impegno concreto

La rimozione delle barriere architettoniche non può prescindere dall'eliminazione delle barriere mentali. Spesso accade che organizzazioni, istituzioni o aziende utilizzino temi ed esperienze delle persone con disabilità al solo fine di migliorare la propria reputazione. Tutto senza impegnarsi realmente per migliorare l'accessibilità e la vita delle persone con disabilità. Si parla in tal caso del cd. "cripwashing" o anche access washing". Quest'azione di facciata, simile al greenwashing o al pinkwashing, rappresenta una falsa inclusività che spesso devia l'attenzione dalle vere questioni discriminatorie, colpendo non solo le persone con disabilità ma anche altre minoranze.

Un esempio può riguardare i bagni pubblici "accessibili". Molti edifici e strutture pubbliche installano bagni etichettati come accessibili, ma spesso queste strutture non rispettano realmente i requisiti necessari per essere utilizzabili da tutti. Ad esempio, un bagno pubblico potrebbe avere una porta etichettata come accessibile ma troppo stretta per una sedia a rotelle. Oppure il bagno potrebbe mancare di adeguati maniglioni di supporto, avere lavandini e specchi posizionati troppo in alto, o mancare di spazio sufficiente per manovrare una sedia a rotelle. In alcuni casi, il bagno accessibile potrebbe essere usato come magazzino, rendendolo inutilizzabile.

La disabilità dunque, come abbiamo capito, è una condizione e non una malattia: per far sì che essa non diventi un limite è fondamentale rimuovere ogni tipo di ostacolo che non garantisca la piena individualità di ognuno.

Serve qualcosa in più della sola consapevolezza sulla disabilità. Non compassione, né paternalismo, né azioni di facciata. Serve rispetto, empatia, componente emotiva e tutela dei diritti

Riproduzione riservata