Discriminazioni sul lavoro: cosa dice la legge e come difendersi

È dal 1948 che la Costituzione Italiana sancisce all’art. 3 che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. La frase “la legge è uguale per tutti” la ritroviamo infatti scritta, in lettere cubitali, anche nelle aule dei nostri tribunali. È importante però chiarire il significato di tale norma. Vediamolo insieme
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L’art. 3 non conferisce infatti ai cittadini un diritto all’uguaglianza, bensì un "diritto al pari trattamento" con riferimento ai beni essenziali. Ciò significa che non sono vietate in assoluto regole differenziate – che anzi possono rivelarsi necessarie al fine di evitare di nuocere soggetti particolarmente svantaggiati – ma che sono vietate solo discriminazioni irrazionali o irragionevoli, fondate su sesso, razza, lingua, etc.

Tra i diversi settori nei quali tale principio opera, nell’accezione sopra indicata, certamente uno dei più importanti è quello del lavoro.

In tale ambito, la nostra Costituzione, così come le leggi che ne hanno dato puntuale applicazione nel corso degli anni, vieta al datore di lavoro di attuare discriminazioni - dirette o indirette – tra i dipendenti legate alla propria provenienza, al credo religioso, alle convinzioni personali, ad eventuali disabilità, all’età e all’orientamento sessuale.

Sebbene la legge sia chiara sul punto, ancora oggi è difficile dire che tale principio abbia avuto completa attuazione.

Per citare alcuni dati e casi concreti, le statistiche Istat ci dicono che il 26% delle persone dichiarate LGBTQIA+ ha subito degli svantaggi nel corso della propria vita lavorativa a causa dell’orientamento sessuale, in almeno uno dei seguenti ambiti:

  • carriera e crescita professionale
  • riconoscimento e apprezzamento
  • reddito e retribuzione

Non solo.

Circa 6 persone su 10 hanno sperimentato almeno una micro-aggressione, ovvero subito messaggi denigratori o insulti sul luogo di lavoro

Ragione per la quale, sempre secondo l’Istat, buona parte di questi lavoratori evita di parlare della propria vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale (41,5% tra le donne, 39,7% tra gli uomini) e 1 persona su 5 afferma di aver evitato di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero per la stessa ragione.

Sebbene questi dati non siano per niente confortanti nel 2023, occorre ricordare che il datore di lavoro e l’azienda dalla quale si è assunti ha più di qualche responsabilità sul punto.

E infatti, quando la discriminazione viene posta in essere dallo stesso datore di lavoro, secondo la legge, l’atto discriminatorio è giuridicamente nullo, ovvero non produce effetti (art. 15 Statuto dei Lavoratori). Ad esempio sarà quindi nulla/o:

  • qualsiasi decisione aziendale che subordini o condizioni l'assunzione di un lavoratore al proprio orientamento sessuale o alle proprie convinzioni personali;
  • il licenziamento (implicitamente od esplicitamente) fondato su tali ragioni;
  • l’assegnazione ad attività professionalmente inferiori o un trasferimento in una diversa sede, determinati dalla appartenenza alla comunità LGBTQIA+

In tali casi il dipendente avrà rispettivamente diritto al risarcimento del danno subito, alla reintegrazione nel posto di lavoro o al mantenimento delle precedenti mansioni o sede

Ma anche quando la discriminazione è posta in essere da colleghi o superiori, il datore di lavoro non è esente da responsabilità ed anzi è tenuto ad adoperarsi affinché gli atti discriminatori cessino non appena ne viene messo a conoscenza (da qui, l’importanza delle “denunce” a favore di colleghi discriminati).

Nello specifico, l’art. 2087 del codice civile stabilisce l’obbligo dell’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti

Ciò significa che in caso di eventuali molestie o maltrattamenti, il datore di lavoro sarà tenuto a sanzionare e, nei casi più gravi, licenziare con effetto immediato, il dipendente autore della discriminazione.

Pertanto, non ci sono solo le leggi e i principi, ma anche le necessarie tutele.

Del resto, il divieto di discriminazione sancito dall’Assemblea Costituente oltre 75 anni fa, è oggi più attuale che mai se solo si considera che le aziende che adottano politiche inclusive dichiarano di realizzare circa il 30% in più dei profitti. Inoltre, circa la metà dei lavoratori tra i 18 e i 24 anni dà valore essenziale al tema della diversity & inclusion nella ricerca dell’azienda nella quale andare a lavorare.
L’inclusività, quindi, non assicura solo maggiore produttività, ma tende ad attirare e trattenere i migliori talenti. È dunque tempo per le aziende di mettersi al lavoro.

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