Fondazione Diversity pubblica le linee guida per il linguaggio inclusivo

L'evoluzione del linguaggio riflette i cambiamenti sociali, culturali e politici di una società. Le parole non sono semplici strumenti di comunicazione, ma veicolano significati profondi, identità e possono contribuire, in modo positivo o negativo, alla costruzione di stereotipi. Spesso ci interroghiamo su quali siano i termini più corretti: nero o di colore? Persona con disabilità o diversamente abile? Cieco o non vedente? Transessuale o transgender? Queste domande riflettono una necessità sempre più diffusa di adeguare il nostro linguaggio ai cambiamenti sociali e di rispettare le identità di tutte le persone, superando pregiudizi e stereotipi

La Fondazione Diversity lavora da anni per promuovere l'uso di un linguaggio rispettoso per tutte le identità e per sostenere la diffusione di una corretta rappresentazione e realmente inclusiva, ed è per questo che ha recentemente pubblicato le Linee guida per il linguaggio inclusivo (scaricabili qui), un documento approfondito e in costante aggiornamento per chiunque voglia contribuire alla creazione di una società inclusiva, rispettosa e valorizzante di ogni persona, basandosi sul confronto con esperti e persone appartenenti a comunità sottorappresentate.

Queste linee guida sono pensate per chiunque desideri aggiornarsi e utilizzare le parole più corrette nel rispetto di tutte le persone, in particolare per chi opera nella comunicazione, nei media, nell'informazione ma anche dagli insegnanti ai personaggi pubblici, con un obbiettivo chiaro e concreto: quello di abbattere stereotipi e discriminazioni basandosi sul principio cardine che "chiunque ha il diritto di essere chiamato con il suo nome". Questo documento raccoglie gli studi di oltre un decennio che affondano le radici nella sociologia, psicologia, linguistica e nelle neuroscienze.

Il potere delle parole nel plasmare la società

Le parole sono strumenti potentissimi. Come sottolinea il documento, le parole sono azioni: quando utilizziamo un linguaggio scorretto o non rispettoso, diffondiamo inconsapevolmente pregiudizi e visioni stereotipate delle persone, soprattutto quelle appartenenti a comunità sottorappresentate.

Cambiare il linguaggio è il primo passo per cambiare la società, eliminando narrazioni che discriminano o riducono la complessità delle persone

Pensiamo a certi modi di dire, apparentemente innocui, che possono in realtà perpetuare pregiudizi e discriminazioni. Spesso, infatti, utilizziamo frasi fatte o luoghi comuni senza renderci conto del loro impatto. C’è una netta differenza tra dire che "al sud nessuno ha voglia di lavorare" o "tutte le donne non sanno guidare". Queste ultime frasi, infatti, alimentano stereotipi dannosi che si trasformano in veri e propri bias nella nostra società.

Perpetuare l'idea che nessuna donna sappia guidare o che in determinate aree geografiche manchi la voglia di lavorare non fa altro che consolidare pregiudizi che sono difficili da riconoscere, ma che influenzano in maniera profonda il nostro modo di pensare e relazionarci con gli altri. È quindi essenziale, come sottolineato nelle linee guida di Fondazione Diversity, prendere coscienza di questi pregiudizi nascosti nel linguaggio e impegnarci a modificarli, parola per parola.

«Tutti crediamo di sapere quali parole siano offensive e da evitare: più difficile è capire quali siano le parole migliori, quelle scelte dalle comunità di riferimento per descriversi su temi come etnia, religione, LGBTQ+, genere, aspetto fisico e disabilità. Si sa che denigrare è sbagliato, ma spesso lo si fa inconsapevolmente, usando un linguaggio pietistico, paternalistico o eroico che alimenta stereotipi e discriminazioni. Questo documento è pensato per chi vuole usare consapevolmente le parole, evitando errori per una comunicazione corretta in una società che evolve insieme alla lingua, dove reperire informazione è sempre più difficile e i media rischiano di rimanere indietro», ha spiegato Francesca Vecchioni, Presidente di Diversity.

Francesca Vecchioni
Francesca Vecchioni

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Etnia, LGBTQ+ disabilità e genere

Il documento esplora diverse aree della diversity, come Etnia, LGBTQ+, Disabilità e Genere, e offre glossari chiari per aiutare a scegliere le parole più appropriate in ogni contesto. Ad esempio, l’espressione “di colore” è ormai superata poiché richiama una visione biancocentrica. Se ci si riferisce a persone nere, è più corretto usare proprio il termine “persone nere”. Per gruppi non caucasici in generale, si può preferire il termine “persone razzializzate”.

Inoltre, è preferibile evitare espressioni con negazioni come "non vedente" o "non udente", e optare invece per “persona cieca” o “persona sorda”, rispettando il linguaggio richiesto dalle comunità di riferimento. Lo stesso vale per la parola “transessuale”, che richiama l'idea di una transizione esclusivamente medica. Oggi si parla di persone transgender o semplicemente trans, poiché la transizione è un percorso unico e personale per ogni individuo. Anche termini come “diversamente abile” vengono considerati paternalistici: è preferibile usare “persona con disabilità” ( cd. linguaggio person first, mettere la persona al centro )

Altri esempi includono l’uso del termine “extracomunitario/a”, che ha una connotazione fortemente discriminatoria e non verrebbe mai impiegato per descrivere persone americane o giapponesi. Per quanto riguarda la comunità LGBTQ+, non esiste più il “Gay Pride”: esiste solo il Pride, un momento di orgoglio per tutte le persone LGBTQ+, non solo per quelle gay.

Inoltre, le linee guida invitano a ridurre l'uso del maschile universale. È stato dimostrato che nei Paesi dove si utilizza il maschile come forma generica, si registra una maggiore esclusione delle donne nel mondo del lavoro. Alcuni studi hanno anche rivelato che, quando diciamo “gli uomini” per riferirci a “le persone”, il nostro cervello visualizza solo uomini. Perciò, sarebbe meglio aggiungere il femminile o usare termini neutri come “le persone”, “coloro che”, “le voci dell’attivismo” o “esponenti del mondo scientifico”.

Anche i registri narrativi spesso rivelano pregiudizi inconsapevoli. Descrivere le persone con disabilità come fragili o bisognose di assistenza veicola una narrazione pietistica e riduttiva, mentre sottolineare la “eccezionalità” di una donna ai vertici può svelare un atteggiamento di invidia sociale. Queste narrazioni, sebbene socialmente ammesse, possono essere altrettanto dannose quanto quelle apertamente denigratorie.

Un impegno continuo per Diversity

Le Linee guida per il linguaggio inclusivo rappresentano solo un ulteriore tassello nell’instancabile lavoro di Fondazione Diversity sui temi del linguaggio e della rappresentazione. Tra le molte iniziative promosse quest'anno, spicca il progetto europeo Advancing Diversity & Inclusion in Journalism (AD&IJ), finanziato con il supporto di Erasmus+. Questo progetto, nato per favorire la diversità e l'inclusione nel giornalismo europeo, è realizzato in collaborazione con la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), la Conferenza Permanente dell'Audiovisivo Mediterraneo (COPEAM), l’Osservatorio di Pavia e la Fundación Diversidad.

Il progetto culminerà in una serie di workshop, tra cui una giornata di formazione che si terrà a Milano il 18 ottobre, presso la sede della Commissione Europea. Questo evento sarà riservato a giornalisti ed esponenti dell'editoria italiana, offrendo un’opportunità unica di confronto e crescita su temi fondamentali come la rappresentazione inclusiva, dopo una prima tappa di successo che si è tenuta a Madrid lo scorso settembre.

Cambiare le parole significa cambiare la nostra percezione del mondo, perché ogni scelta linguistica è un atto di rispetto, di riconoscimento e di potere. Facciamo ecologia delle parole, scegliamole con cura, perché solo così possiamo costruire una società in cui ogni persona si senta vista, ascoltata e valorizzata per ciò che è.

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