Gender data gap: perché la mancanza di dati femminili è un problema di cui si parla troppo poco

03-02-2022
In Europa mancano dati di genere liberi da stereotipi, utili a migliorare la vita delle donne in società e a decostruire le percezioni sociali che secoli di storia hanno addossato loro. Quali dati mancano all’appello, perché vengono considerati un fattore di disturbo e quale soluzione potrebbe chiudere il divario?

Tre elementi esauriscono la relazione tra le donne e il mondo: il primo è il corpo femminile, il grande escluso dalle progettazioni civili, ingegneristiche e sanitarie; il secondo è la violenza sessuale, realtà ignorata nella mappatura civica delle nostre abitudini; il terzo è il lavoro di cura non retribuito, quel complesso di attività extra-lavorative non rimunerate e quasi interamente a carico delle donne. È quanto emerge dalle ricerche effettuate nei Paesi europei intorno agli indicatori di genere forniti dalle Nazioni Unite, strumenti per misurare il progresso delle società attraverso la raccolta dei dati.

Quando parliamo di progresso sociale, il corpo femminile, la violenza sessuale e il lavoro di cura prescindono dalla biologia: hanno a che fare con il genere, ossia con i significati culturali che attribuiamo ai singoli individui.

Ma perché, che si tratti di un indumento comodo o di un tragitto sicuro, questi tre elementi non vengono presi in considerazione dai leader nei processi decisionali?  

Che cos’è il gender data gap

All’origine di ogni forma di discriminazione c’è un fattore di disturbo, un dato che, ad esempio, si discosta dalla tipicità maschile: una deviazione. L’esclusione di più del 50% della popolazione mondiale - le donne - dalla produzione di conoscenza ha un nome: gender data gap, il vuoto rappresentato dalla mancanza di dati riferiti al genere femminile.

Nel 1949, Simone de Beauvoir scriveva:

La rappresentazione del mondo come tale è opera dell’uomo; egli lo descrive dal suo punto di vista, che confonde con la verità assoluta

La storia dell’umanità, infatti, è stata tramandata attraverso un grande scarto che ha a che fare con le informazioni inerenti il genere femminile: ne consegue che, ancora oggi, regoliamo il nostro mondo con un criterio di universalità del maschile. Un androcentrismo che non sempre è architettato intenzionalmente, ma che è il risultato di un modo di pensare legittimato da secoli di cultura patriarcale: le nostre vite continuano ad essere regolate da una serie di pregiudizi impliciti.

Minimizzare l'urgenza di raccogliere dati utili a migliorare la vita delle donne significa approvare silenziosamente che, nel 2022, le donne continuino ad assumere farmaci che su di loro non hanno effetto, a fare infinite code davanti ai bagni, ad essere molestate sui mezzi pubblici e ad abbandonare il luogo di lavoro per badare ai figli malati, spesso senza l’aiuto di nessuno.

Gender data gap, quali dati mancano all’appello e perché

La Commissione Europea ha riconosciuto uno strumento che analizza gli effetti delle politiche e dei provvedimenti amministrativi per ridurre le disparità sociali: la valutazione di impatto di genere. Per redigerlo, servono dati di genere liberi da stereotipi che integrino la prospettiva di genere a 360 gradi, dal processo di elaborazione all’attuazione di una misura, includendo la stesura delle norme, le decisioni di spesa, la valutazione e il monitoraggio. 

La valutazione di impatto di genere vuole rendere le donne visibili nelle statistiche, in ogni sfera di analisi

Ma qual è la situazione attuale riferita ai dati femminili? L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite ha fornito delle linee guida attraverso la costruzione di 72 indicatori di genere volti a monitorare la situazione mondiale e dei singoli Paesi in materia di parità di genere. L’obiettivo è misurare i progressi.

In Italia solo 34 indicatori di genere su 72 sono disponibili

In media, in Europa, il 55,6% dei dati femminili non sono disponibili. La percentuale italiana non si discosta molto da quella europea: qui il 52,5% degli indicatori non ha un riscontro in dati. Solo il 21% di loro viene raccolto e considerato spendibile. Questa percentuale, tuttavia, è più bassa della media europea, pari invece al 24,8%.

Ma dove mancano i dati? Nel nostro Paese c’è carenza di dati di genere nelle aree e nei settori più strategici: mercato del lavoro, medicina, disoccupazione femminile, povertà, violenza fisica e sessuale, accesso delle donne agli asset di sviluppo, rapporto tra genere e ambiente.

Da questa mancanza derivano decisioni che mal si adattano alle esigenze delle donne. Il motivo per cui ciò avviene è che i dati mancano quando le donne vengono percepite in virtù dei significati sociali che si attribuiscono loro.

Il corpo, la violenza su di esso esercitata e il lavoro di cura non retribuito sono gli aspetti della “specificità femminile” definita dagli uomini, stereotipata da secoli di storia per cui “la donna è un oggetto sessuale, la donna provoca, la donna cucina, lava e bada alla prole”.

Lo spiega bene Donata Columbro: giornalista, socia fondatrice di Dataninja e responsabile della Dataninja School, la prima scuola sui dati e data literacy in Italia.

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Il caso degli interferenti endocrini, sostanze chimiche pericolose per il sistema ormonale contenute nei solventi, nei cosmetici e nei detergenti, è esemplare: nonostante le donne vengano più frequentemente a contatto con essi, non possediamo dati riferiti al loro effetto sull'organismo femminile

La questione è stata sollevata per la prima volta in un ambulatorio pubblico di Toronto da Anne Rochon Ford, coordinatrice di un progetto canadese in difesa della salute delle donne. L'esperta aveva osservato in molte donne sintomi spesso associati all'esposizione a sostanze chimiche: si scoprì che lavoravano tutte nei centri di manicure.

Gli interferenti endocrini sono un fattore di rischio per il tumore al seno e numerosi studi hanno evidenziato un legame con il linfoma di Hodgking, con il mieloma multiplo e con il tumore alle ovaie. Quale altra evidenza potrà dare un input a una raccolta genere-specifica? L'Unione Europea ha messo al bando gli interferenti endocrini nel 2015 ma non ne vieta l'importazione.

Altri esempi vengono citati da Caroline Criado-Perez, nel suo saggio Invisible women. Con cifre alla mano, la giornalista dimostra come l’assenza di dati di genere influenzi praticamente qualsiasi cosa intorno a noi, dalla pianificazione dei trasporti pubblici alla progettazione dei quartieri residenziali, dal design di smartphone e smartwatch all’abbigliamento da lavoro.

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Come porre rimedio al gender data gap?

Essendo predominante la presenza di uomini ai vertici decisionali, il maschile diventa inconsciamente lo sguardo che diamo alle cose intorno a noi. Questa dinamica si riflette anche sui dati.

Come spiega Michela Murgia in un suo intervento sul tema:

Contare è un gesto politico

Ma in Italia le donne sono ancora escluse dai ruoli di potere in ogni ambito: politica, stampa, magistratura, università, impresa.

La soluzione al gender data gap passa attraverso la chiusura del divario di rappresentanza: se coinvolte nei processi decisionali, nella ricerca scientifica e nella produzione di conoscenza, le donne sollevano questioni di genere invisibili agli occhi di chi non tiene in considerazione le loro esigenze genere-specifiche. È solo sedendosi ai grandi tavoli di discussione che tali argomenti possono essere instradati.

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