Gender gap: la certificazione per la parità di genere diventa elemento premiante per le aziende
Anche se l’ONU l’ha fissato come un obiettivo da raggiungere entro il 2030, la parità di genere resta ancora un miraggio. Lo certificano non soltanto i sempre più numerosi studi in proposito, ma anche le esperienze e le testimonianze dirette in ogni ambito, e in particolare nel mondo del lavoro le differenze sono estremamente marcate.
Il Gender Pay Gap Report 2023, il report che l’Osservatorio JobPricing ha siglato in collaborazione con Mind the Gap e LHH Recruitment Solutions, ne dà ulteriore conferma. Le donne occupate, soprattutto quelle non laureate, sono di meno, trovano meno lavoro e tendenzialmente sono meno spinte a far parte della forza lavoro o, volendo cambiare prospettiva, rinunciano a cercare lavoro più facilmente degli uomini, scoraggiate dalla difficoltà a trovare un impiego. Un altro fattore che condiziona il lavoro e, di conseguenza, i redditi delle donne è il lavoro part-time.
Il ricorso al part-time però non sempre è frutto di una scelta volontaria collegata alla necessità di conciliazione tra lavoro e vita familiare. Secondo l’Istat, il part-time cosiddetto involontario presenta l’ennesimo gap di genere: viene imposto maggiormente alle donne e, in generale, è più diffuso nei settori ad alta concentrazione femminile quale, ad esempio, i servizi alle famiglie.
VEDI ANCHE CultureCos’è la certificazione della parità di genere, uno dei pilastri del PNRRTanto per fornire qualche numero, il report indica per l'anno 2022 un pay gap del settore privato (sanità e istruzione private escluse) dell'8,7% sulla Retribuzione Annuale Lorda (RAL) in Full Time Equivalent (FTE), che si estende al 9,6% se si considera la Retribuzione Globale Annuale (RGA). Questo si traduce in un ritardo retributivo per le lavoratrici italiane che, in altri termini, è come se avessero iniziato a percepire lo stipendio solo a partire dal febbraio, nonostante abbiano lavorato fin dal primo gennaio, creando un gap monetario di circa 2.700 euro sulla RAL e di 3.000 euro sulla RGA. A livello globale, insomma, la strada verso la parità di genere mostra progressi troppo modesti: il divario globale è stato colmato al 68,4%, con un incremento di 0,3 punti percentuali rispetto all'anno precedente, e a questo passo, secondo il World Economic Forum ci vorranno 131 anni per raggiungere la piena parità. In questa cornice, l'Italia si posiziona al 79esimo posto a livello globale e al 21esimo in ambito UE.
Alla luce dello scenario appena descritto appare evidente come siano le istituzioni a dover prendere provvedimenti per incentivare l’azzeramento del gender gap, ed è in quest’ottica che è stato adottato un provvedimento che fa diventare la certificazione della parità di genere un elemento premiante per le aziende. Il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio ha deciso di investire dei fondi per un “Sistema di certificazione della parità di genere”, con lo scopo di accompagnare e incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree maggiormente critiche per la crescita professionale delle donne.
Il provvedimento fa parte del PNRR, Missione Inclusione e Coesione, componente Politiche per il lavoro, e lo scorso 6 novembre è stato pubblicato l’avviso pubblico che definisce i criteri e le modalità per la concessione dei contributi alle micro, piccole e medie imprese per l’ottenimento di questa certificazione, realizzata in collaborazione con Unioncamere in qualità di soggetto attuatore. Obiettivo della misura, che ha una dotazione complessiva di 10 milioni di euro - 8 dei quali destinati al supporto alle pubbliche e medie imprese - è accompagnare e incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere e, in linea con quanto previsto dalla Strategia nazionale per la parità di genere, contribuire a raggiungere entro il 2026 l’incremento di 5 punti nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere elaborato dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE) che attualmente vede l’Italia al 13esimo posto nella classifica dei Paesi UE.
«Con questa misura vogliamo promuovere quel cambiamento culturale che riteniamo fondamentale per la piena affermazione delle pari opportunità tra uomo e donna e per una maggiore partecipazione delle donne alla vita economica e sociale del Paese - ha detto la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella - Il mondo delle imprese sta dimostrando un grande senso di responsabilità, ma siamo consapevoli che per le piccole realtà, che costituiscono una componente essenziale del tessuto produttivo, è più difficile dedicare risorse ed energie alla definizione di nuove procedure, apparentemente lontane dal loro core business. Per questo è importante accompagnarle e incentivarle, affinché possano anch’esse integrare la prospettiva delle pari opportunità nelle scelte aziendali. Ci vorrà tempo, ma siamo convinti che anche grazie al pieno coinvolgimento del mondo imprenditoriale le donne potranno liberare il loro potenziale di crescita e di libertà».