La generazione Z cambierà per sempre il modo in cui pensiamo alle mestruazioni?


Dallo scorso 15 agosto la Scozia è diventata il primo Paese al mondo a garantire a tutte le donne l’accesso gratuito agli assorbenti. Un provvedimento significativo che arriva anche grazie all’effetto della Generazione Z, per cui le mestruazioni sono diventate un tema di conversazione come un altro. Ma è davvero arrivata la “rivoluzione mestruale” o c’è il rischio che si tratti di attivismo performativo, ovvero dell’ennesima tendenza che viene sfruttata per interessi personali?

Da qualche settimana in Scozia è entrata in vigore la legge – proposta nel 2020 - che permette a chiunque di ottenere gratuitamente assorbenti o prodotti per il ciclo mestruale presso farmacie, centri sociali e giovanili ed enti pubblici.

«Mettere i diritti delle donne e delle ragazze in cima all’agenda politica nel mezzo di una pandemia globale dà un messaggio importante», ha commentato la parlamentare Monica Lennon, promotrice della proposta di legge che abbatte la tampon tax e vuole combattere la povertà mestruale, ovvero il mancato accesso ai prodotti mestruali sicuri e igienici per motivi economici.

La Scozia non è l’unico paese a voler risolvere questo problema, ma è di certo il primo a farlo in maniera istituzionale ed efficace. Nel 2021, infatti, la Nuova Zelanda ha deciso di rendere gratuiti gli assorbenti per le studentesse di qualsiasi età, mentre la Francia ha fatto lo stesso per chi frequenta l’università. Canada e Regno Unito invece hanno eliminato l’IVA sui prodotti mestruali, mentre l’Italia, dove una proposta simile è arrivata in parlamento nel 2016, si è limitata a ridurre l’IVA dal 22% al 10%.

C’è stato un enorme cambiamento nel modo in cui parliamo pubblicamente delle mestruazioni. Pochi anni fa non ci sarebbe mai potuto essere un confronto aperto sulle mestruazioni all’interno del parlamento scozzese, ed ora è diventato la normalità

ha spiegato la parlamentare. Una rivoluzione (mestruale) che però non è nata dalla politica, ma ci è arrivata grazie alla sensibilità di una nuova generazione di attivisti e attiviste.

Dalla vergogna alla rivoluzione mestruale

Per secoli nominare le mestruazioni è stato un tabù, al punto che esistono migliaia di espressioni al mondo per parlarne in maniera poco esplicita («ho le mie cose», «è arrivato il marchese», «sono indisposta», solo per fare qualche esempio).

La vergogna sul tema è legata a doppio filo a false credenze e leggende che storicamente aleggiano: l’antropologa spagnola Alicia Botello ha trascorso gli ultimi 15 anni a intervistare persone anziane per raccogliere e conservare miti e leggende sulle mestruazioni che sono passate di generazione in generazione per via orale e che sono alla base di norme socioculturali stigmatizzanti.

Nonostante le differenze religiose, economiche e socioculturali, è curioso osservare come il tabù e lo stigma siano gli stessi in tutto il mondo

spiega l’esperta.

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Già negli anni Settanta, però, la seconda ondata femminista aveva portato le mestruazioni al centro del suo discorso politico, come dimostrano il lavoro dell’artista statunitense Judy Chicago – la cui opera più rivoluzionaria è Red Flag, una fotolitografia di se stessa mentre si sfila un tampone coperto di sangue – e la fondazione nel 1977 della Society For Menstrual Cycle Research, una ONG che esiste tutt’ora e che propone un approccio multidisciplinare alle mestruazioni coinvolgendo nelle proprie ricerche professioniste della salute, attiviste, artiste e studentesse.

Ma l’obiettivo di allora era un altro: dimostrare che le mestruazioni, un fenomeno che per secoli era stato uno strumento di esclusione della vita pubblica, non diminuivano la produttività femminile

E se da un lato il movimento riuscì ad aumentare l’accesso delle donne al mondo del lavoro e dell’accademia, dall’altro non fece altro che aumentare la richiesta di metodi e farmaci per «nascondere le mestruazioni e zittire i nostri corpi», come spiega la pedagogista spagnola Erika Irusta.

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Per più di trent’anni, poche voci si sono sollevate per contestare quest’approccio svilente nei confronti del dolore e delle necessità di chi ha le mestruazioni. È solo nel 2015 infatti che l’artista e attivista Kiran Gandhi ha riportato l’attenzione sul tema partecipando alla maratona di Londra durante il ciclo e senza portare l’assorbente (una pratica che viene chiamata free bleeding), seguita poi dalla poetessa indiana Rupi Kaur, che ha scelto di pubblicare su Instagram una foto dei suoi pantaloni e del suo letto sporchi di sangue mestruali (che il social network ha prontamente rimosso).

Da quel momento, il testimone è passato nelle mani della generazione Z, ovvero alle persone nate tra il 1997 e il 2002, che hanno raccolto la sfida e trasformato le mestruazioni in una questione sociale, politica, economica, e negli ultimi tempi anche ambientale

Attivismo, mestruazioni e sostenibilità: una binomio vincente?

«I membri Generazione Z e delle generazioni successive parlano di mestruazioni più apertamente rispetto alle generazioni precedenti, e sono più consapevoli dell’impatto ambientale dei prodotti», sottolinea la giornalista Pooja Makhijani sul New York Times.

Negli ultimi anni, infatti, il numero di aziende che producono coppette riutilizzabili, assorbenti biodegradabili e mutande per il ciclo non ha fatto che aumentare, così come il numero di profili social di persone che divulgano informazioni e contenuti sulle mestruazioni (solo l’hashtag #PeriodTok supera i 500 milioni di visualizzazioni).

L’industria dei prodotti mestruali usa-e-getta è stata a lungo responsabile della diffusione di messaggi negativi

spiega l’attivista mestruale ed educatrice Chella Quint. «Le loro pubblicità giocano sulla discrezione e sulla pulizia e danno l’idea che le mestruazioni siano qualcosa di sporco o da nascondere», aggiunge.

Anche in questo caso, l’unione tra sostenibilità e mestruazioni non è nuova: cinquant’anni fa, le femministe della seconda ondata sperimentavano con gli assorbenti riutilizzabili. Ma è grazie alla tecnologia e alla creazione di nuovi materiali che oggi scoprire e utilizzare questi nuovi prodotti mestruali è diventato relativamente semplice per un gran numero di persone.

povertà mestruale

L’attivismo mestruale e la diffusione di prodotti mestruali sostenibili, infatti, hanno ancora molta strada da fare: da un lato, l’accesso alla tecnologia e a questa tipologia di beni è ancora molto limitato in molte parti del mondo (che spesso coincidono con quelle dove la povertà mestruale è più presente); dall’altro, l’attivismo mestruale è ancora molto spesso poco inclusivo e concentra la sua comunicazione sulle donne cisgender.

Avere le mestruazioni non è una prerogativa delle donne. Le persone transgender, ad esempio, possono essere uomini che hanno le mestruazioni o donne che non le hanno

conclude l’antropologa Alicia Botello.

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