Bandiera comunità trans e due persone

Cos’è e perché si celebra la Giornata internazionale della Visibilità Transgender

Il 31 marzo si celebra in tutto il mondo la Giornata Internazionale della Visibilità Transgender. Un’occasione preziosa per supportare la comunità trans e superare, una volta per tutte, fastidiosi e inutili stereotipi. Una ricorrenza che non va confusa con il Transgender Day of Remembrance (il 20 novembre), in cui invece si ricordano le vittime della transfobia

Cos’è la Giornata Internazionale della Visibilità Transgender

Nata nel 2009, la Giornata Internazionale della Visibilità Transgender è frutto dell’iniziativa di Rachel Crandal, nota attivista trans americana, e si distingue dal Transgender Day of Remembrance per tanti motivi. In primo luogo l’obiettivo di questa celebrazione non è quello di evidenziare solo il dolore e le difficoltà della comunità trans (con tantissime vittime di discriminazione ogni anno), ma quello di normalizzare il loro ruolo nella società.

Per lungo tempo, infatti, la comunità trans è stata raccontata e descritta da un punto di vista che non ha tenuto conto di un fatto fondamentale: dietro ogni storia c’è una persona.

C’è qualcuno che, oltre al riconoscimento di essere non binari, ha una vita fatta di passioni, di affetti, di sogni. Per tanti anni, infatti, il cinema e la tv hanno portato all’attenzione del pubblico storie tragiche e difficili. Ma il mondo transgender non è solo questo. Finché non capiremo che la persona trans è il nostro vicino, la collega con cui ridiamo in ufficio, l’artista che ci piace tanto o il chirurgo di successo, le cose non cambieranno.

Perché il primo passo per cancellare discriminazione e pregiudizi radicati è iniziare a osservare in modo diverso una comunità per troppo tempo ghettizzata e ostracizzata. Essere trans è solo un altro modo di sentirsi bene nel mondo e di essere pienamente se stessi. E come tale va considerato

I numeri della discriminazione delle persone trans

Essere se stessi e lottare per trovare la propria felicità dovrebbe essere un diritto, non una colpa. Nonostante ciò, le persone trans continuano a vivere nell’ombra, a subire soprusi e abusi di ogni tipo. Lo dimostrano i numeri – impressionanti – di una ricerca condotta dal Transrespect versus Transphobia di Trangender Europe (Tgeu).

Tra il 1 ottobre 2020 e il 30 settembre 2021 sono state uccise 375 transgender nel mondo, e tra il 2008 e il 2021 gli omicidi sono stati ben 4.042

Di questi, 1.645 sono avvenuti in Brasile e 593 in Messico, mentre negli Stati Uniti sono stati registrati 53 omicidi, circa il doppio rispetto all’anno precedente. Numeri che sono cresciuti anche in Grecia, Kazakistan, Malawi, Filippine, Pakistan e India. Le violenze hanno coinvolto inoltre paesi come Turchia, Francia, Grecia, Portogallo, Spagna, Russia e ovviamente l’Italia.

A questo si unisce la convinzione, sbagliata e aberrante, che il non sentirsi binari sia una sorta di “patologia” su cui intervenire. Lo scorso febbraio 2022, il Parlamento francese ha approvato una legge per vietare e punire quelle che vengono chiamate “terapie riparative per le persone LGBTQ+, ovvero pratiche come gli esorcismi, l’elettroshock, la psicoterapia e i farmaci volti a impedire alle persone trans di cambiare identità di genere. Una grande conquista di civiltà che è stata però solo un piccolo passo. Il cosiddetto “riorientamento sessuale”, oltre ad essere una pratica pericolosa e terribile, frutto dell’oscurantismo, è ancora diffuso in tutto il mondo e usato in più di 80 Paesi fra cui l’Italia.

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Cosa possiamo fare (subito)

Di fronte ai dati e al significato profondo della Giornata internazionale della Visibilità Transgender, viene da chiedersi cosa possiamo fare subito per cambiare le cose. Esistono gesti quotidiani e accortezze, infatti, che possono condurci verso una nuova realtà fatta di inclusione e cancellazione delle discriminazioni.

Per prima cosa controlla il tuo sguardo: sentirsi osservati e studiati corrisponde per le persone non binarie o trans a una vera e propria violenza. Giocare al perfido “indovina se è femmina o maschio” non è divertente. Incasellare gli altri all’interno di uno schema è sempre un errore. Ricordati poi di non fare troppe domande intime. La curiosità morbosa che c’è spesso dietro chi osserva una persona trans può ferire e far sentire diversi.

Le domande sugli attributi sessuali, sul deadname e sugli interventi chirurgici sono fuori luogo. Se la persona vorrà condividere la propria storia lo farà quando e se si sentirà pronta, non sotto forzatura. Lo stesso vale sull’uso – spesso aggressivo e indelicato – dei pronomi. Tirare a indovinare (e magari farsi una risatina) non è rispettoso.

La sensibilità in questi casi è fondamentale per affrontare un tema di fronte al quale c’è ancora grande superficialità. Le sigle della comunità LGBTQIA+ non sono assolutamente parole vuole, ma raccontano storie e battaglie. Frasi come “ora va di moda”, sono profondamente offensive nei confronti di chi ha combattuto, pianto e sacrificato ogni cosa. Nessuno infatti sceglierebbe di percorrere una strada fatta di ostacoli sociali, medici e legali se non ne sentisse il profondo bisogno.

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