Giornata mondiale della sindrome di down: CoorDown e la sua campagna (bellissima) contro gli stereotipi
La Giornata Mondiale sulla sindrome di Down: cos'è
La Giornata Mondiale sulla sindrome di Down rappresenta un appuntamento internazionale di fondamentale importanza, ufficialmente riconosciuto da una risoluzione dell'ONU e volto a diffondere una maggiore consapevolezza e conoscenza sulla sindrome di Down. Il suo obiettivo primario è quello di promuovere una nuova cultura della diversità, incoraggiando il rispetto e l'inclusione di tutte le persone con sindrome di down.
La scelta del 21 marzo come data simboleggia un significato profondo: la sindrome di Down, conosciuta anche come Trisomia 21, è caratterizzata dalla presenza di un cromosoma aggiuntivo nella coppia cromosomica numero 21
Il tema della giornata mondiale di quest'anno, "Basta con gli stereotipi!", mette in luce la necessità urgente di combattere e superare gli stereotipi dannosi che possono limitare le opportunità e il trattamento equo delle persone con sindrome di Down e disabilità intellettiva.
Gli stereotipi rappresentano una barriera significativa per le persone con sindrome di Down e altre disabilità intellettive, impedendo di essere trattate con la stessa dignità e rispetto delle altre persone.
La campagna "Assume that I Can" di CoorDown
In occasione di questo giorno dedicato, CoorDown - Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down - lancia la campagna di sensibilizzazione internazionale Assume that I can per chiedere a ciascuno di mettere fine ai pregiudizi e sostenere le concrete potenzialità di ogni persona con sindrome di Down.
Stereotipi, preconcetti e basse aspettative hanno un impatto significativo sulla vita delle persone con disabilità intellettiva in tutti gli aspetti della loro esistenza: sono un confine, spesso invalicabile, che limita il campo d’azione e le opportunità a scuola, a lavoro, nello sport, nella vita sociale e nelle relazioni affettive.
Durante il suo discorso alle Nazioni Unite, Marta Sodano, una donna di 29 anni con sindrome di Down, ha condiviso una riflessione potente sulla profezia autoavverante, un concetto psicologico noto anche come "self-fulfilling prophecy". Questo fenomeno, immaginato nel contesto della relazione insegnante-studente, evidenzia come le aspettative negative di un insegnante nei confronti di uno studente possano influenzare il comportamento dell'insegnante stesso, portandolo a trattare lo studente in modo discriminatorio e, di conseguenza, a confermare le proprie aspettative. Tuttavia, Marta sfida questa mentalità limitante, affermando che non esistono concetti intrinsecamente facili o difficili, e che ciò che manca spesso è semplicemente una spiegazione chiara e accessibile. Le sue parole risuonano con forza, poiché rivela la frustrazione e l'ingiustizia che possono derivare dalla mancanza di opportunità a causa di pregiudizi e bassa aspettative.
VEDI ANCHE CultureChi è Mar Galceràn, la prima donna con sindrome di down eletta deputata regionale in SpagnaLa "self-fulfilling prophecy" o "profezia autoavverante" è un concetto fondamentale sia nella sociologia che nella psicologia, introdotto per la prima volta dal sociologo statunitense Robert K. Merton nel 1948. Questo fenomeno descrive come le supposizioni e le aspettative delle persone possano influenzare gli eventi in modo tale da rendere la profezia iniziale una realtà. Si tratta di molto più di semplici speculazioni senza conseguenze; piuttosto, è un processo mentale che può determinare il concretizzarsi di una realtà che a sua volta ha un impatto tangibile sulla vita e sulle dinamiche sociali. La profezia autoavverante evidenzia il potente legame tra le nostre credenze e le nostre azioni, illustrando come le nostre convinzioni possano plasmare il nostro comportamento e persino il mondo che ci circonda.
Ed è proprio dal racconto coinvolgente di Marta Sodano che nasce il film Assume that I can. La trama segue la storia di una giovane donna con sindrome di Down che sfida coraggiosamente le basse aspettative che gli altri hanno su di lei. La protagonista propone un'inversione di prospettiva affascinante: inizialmente, coloro che la circondano dubitano delle sue capacità di bere un cocktail, praticare boxe, studiare Shakespeare o persino vivere da sola. Tuttavia, a metà del film, avviene una svolta epica: con determinazione, la protagonista invita gli altri ad adottare una mentalità nuova e a utilizzare in modo positivo la profezia autoavverante. Se le viene data fiducia e se viene creduta nelle sue capacità, questo si avvererà davvero.
È un messaggio potente che ci ricorda il potenziale insito in ognuno di noi quando ci viene data l'opportunità di brillare e di superare le aspettative
Sul finale del video infatti sentiamo dirle: "se credi in me, se mi dai fiducia, potrai avere un impatto positivo e allora, forse, potrò raggiungere obiettivi, anche inaspettati".
La campagna internazionale nasce in Italia con CoorDown, ma vede il contributo di diverse associazioni internazionali che in contemporanea lanciano il film a livello globale: Canadian Down Syndrome Society, National Down Syndrome Society, Global Down Syndrome Foundation, Down's Syndrome Association UK, Down Syndrome Australia and New Zealand Down Syndrome Association e con la partecipazione degli associati della Fundació Catalana Síndrome de Down. La campagna ha, inoltre, il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo e di Fondazione Cariplo. La call to action lanciata da CoorDown invita l'intera società a partecipare attivamente alla promozione dell'inclusione e alla lotta contro la discriminazione.
Attraverso la campagna Assume That I Can, si mostra come ognuno di noi possa contribuire all'inclusione semplicemente ascoltando e guardando le persone con sindrome di Down senza pregiudizi, rispettando le loro esigenze e i loro desideri
Solo così sarà possibile abbattere le barriere che ancora limitano le opportunità di vita delle persone con disabilità intellettiva, aprendo la strada a una società più inclusiva e rispettosa delle diversità.
Intervista a Martina Fuga, responsabile comunicazione di CoorDown
Dopo aver esplorato le sfide e gli obiettivi sulla Giornata Mondiale della sindrome di Down e aver conosciuto la campagna di sensibilizzazione di CoorDown ODV, ci siamo rivolti a Martina Fuga per un'intervista più approfondita. Oltre ad essere la responsabile comunicazione di CoorDown, Martina è anche mamma di Emma, una ragazza con sindrome di Down, portando con sé una prospettiva unica e preziosa su questa tematica.
Quali sono le principali sfide che le persone con sindrome di Down devono affrontare nella società di oggi?
La sfida più grande che oggi devono affrontare le persone con sindrome di Down riguarda le basse aspettative. E questo accade in tutti i contesti della vita, lo dico in primis da mamma che ha avuto verso sua figlia basse aspettative.
Penso a tutte le volte che non le ho dato l’occasione di sperimentarsi e ho fatto al posto suo privandola, di fatto, della possibilità di provarci e di dimostrare le sue capacità
Questo avviene a scuola, nel lavoro, nella società, quando per esempio gli insegnanti non provano nemmeno a insegnare alcune materie agli studenti con disabilità intellettiva pensando che non potranno mai impararle, o quando i datori di lavoro non insegnano mansioni o non affidano task ai collaboratori pensando che non siano in grado di apprendere.
Come hai visto cambiare l'atteggiamento verso la sindrome di Down nel corso degli anni?
Da quando è nata mia figlia, 19 anni fa, sono cambiate molte cose, è indubbio. L’immaginario legato alle persone con sindrome di Down sta evolvendo grazie anche al lavoro delle associazioni sui territori e dell’associazione nazionale CoorDown, in cui sono impegnata da diversi anni. La rappresentazione delle persone nei media, o l’inclusione nel mondo del lavoro e la divulgazione di storie di vita stanno cambiando la cultura sulle persone con disabilità che non vengono più viste come eterni bambini che hanno bisogno di cure e assistenza costante, ma come persone capaci che possono andare a scuola con soddisfazione e impegno, possono crescere autonome, possono lavorare, vivere relazioni amorose e anche aspirare ad una vita indipendente.
In che modo le esperienze personali, inclusa quella di tua figlia, hanno influenzato la tua visione e il tuo impegno nel promuovere i diritti e l'inclusione delle persone con sindrome di Down?
La mia esperienza di vita con Emma ha certamente cambiato la mia visione su questi temi: prima che nascesse Emma non avevo mai incontrato la disabilità. Frequentare la disabilità è quello che mi ha permesso di conoscerla e di comprendere come sia semplicemente un aspetto della vita. Io sono convinta che molte delle discriminazioni che subiscono le persone con disabilità siano dovute alla non conoscenza, quindi credo che sia cruciale l’impegno a diffondere cultura sull’argomento e anche la visibilità delle persone con disabilità per promuovere i loro diritti e l’inclusione. Senza questo contesto culturale pronto, qualsiasi progetto di inclusione fallisce.
Ritieni che una sana ecologia delle parole possa essere un buon inizio per abbattere stereotipi e pregiudizi sulla disabilità in generale?
Il linguaggio è un tema che mi sta molto a cuore, proprio per quello che dicevo poco fa. Se la cultura è un elemento fondamentale, il linguaggio è l’alfabeto della nostra cultura. Senza una cura delle parole, difficilmente la cultura dell’inclusione si consoliderà. E non parlo solo del linguaggio discriminatorio, ma anche del linguaggio specializzante e paternalistico. Formulette edulcoranti come "speciale" o "diversamente abile, gli angeli, le mamme coraggio", mi fanno altrettanto orrore delle offese, perché sono parole che separano, parole che costruiscono un mondo a parte invece che includere, parole che etichettano, parole cariche di pietismo. È coltivando un linguaggio corretto e rispettoso — soprattutto tra i giovani, nelle scuole, in famiglia, nei contesti lavorativi e in tv, nei giornali, nei social — che parteciperemo alla costruzione di un ambiente inclusivo. Si cambia il linguaggio per cambiare la cultura, si cambia la cultura per cambiare l’atteggiamento.
"Diciotto" è il titolo del tuo ultimo libro ma è anche l'età di tua figlia, ce ne parli?
I diciotto anni di Emma sono il pretesto per parlare di tanti temi che mi stavano a cuore e che ho navigato in questi anni grazie a lei. Il libro inizia con il suo compleanno e con un regalo speciale, una scatola del tempo che contiene ricordi e oggetti, un espediente narrativo che mi permette di fare un viaggio nel tempo e ripercorrere la sua vita, fare i conti con il genitore che sono stata, con le basse aspettative che ho avuto, ma anche di parlare di inclusione, di discriminazione, di bullismo, di autonomia e di amore. Un viaggio che mi ha riconciliato con la me di 19 anni fa che sono tornata ad abbracciare e le cui ferite Emma ha ricucito una per una con la sua personalità e i suoi talenti
Puoi dare un consiglio ad altri genitori di bambini con sindrome di down?
Non ho consigli per nessuno, ho solo storie da condividere, a me sono servite molte per avere una prospettiva sul futuro, per darmi coraggio, per cambiare sguardo e tenere la barra dritta. L’unica cosa che mi sento di dire è di guardare ai loro bambini come a dei bambini e delle bambine, appunto, e non come delle diagnosi, e di farsi accompagnare, costruendo una rete di alleanze che possa sostenerli nel percorso. Quando ci saranno delle cadute, la rete attutirà il colpo, quando ci saranno le conquiste ci sarà qualcuno con cui celebrare