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Perché le storie di due girlboss di successo come Elizabeth Holmes e Anna Delvey ci appassionano tanto?

Podcast, documentari e spettacoli teatrali: l’interesse per le (dis)avventure di alcune imprenditrici non è mai stato così alto. È il caso di Elizabeth Holmes, fondatrice ed ex amministratrice delegata di Theranos, e di Anna Delvey, la protagonista dell’ultima serie di Shonda Rhimes, Inventing Anna. Ma perché le loro storie ci appassionano così tanto?

Winston Churchill aveva ragione quando diceva: Non arrenderti mai, mai e poi mai. E direi che io sono la prova vivente del fatto che se puoi immaginarlo, puoi farlo

Questo raccontava alla redazione di Glamour Elizabeth Holmes nel 2015. Lo stesso anno, la rivista Forbes l’aveva definita la più giovane e ricca miliardaria negli Stati Uniti in base alla valutazione della sua startup, Theranos. Con quest’azienda Holmes prometteva di rivoluzionare il mondo della medicina, brevettando uno strumento innovativo che avrebbe permesso di eseguire test diagnostici usando una sola goccia di sangue.

Più o meno nello stesso periodo una giovane ereditiera tedesca seduceva l’élite newyorkese con un’altra idea rivoluzionaria: la Anna Delvey Foundation, un progetto a metà strada tra club privato e una fondazione artistica. Pochi anni dopo spiegherà a una giornalista del New York Magazine:

di soldi ce n’è una quantità infinita nel mondo, sai? Ma di persone di talento, invece, ce n’è una quantità limitata

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Cos’hanno in comune queste due donne così diverse tra loro (a parte la totale mancanza di problemi di autostima)?

Innanzitutto, entrambe hanno dovuto fare i conti con la realtà: Holmes è stata condannata per frode e associazione a delinquere a inizio anno, dato che il sistema di Theranos si è rivelato inutile e inaffidabile, mentre  Delvey – o meglio Sorokin, il suo vero cognome – sta per uscire dal carcere, dove ha passato tre anni dopo la condanna per frode bancaria.

Le loro vicende oggi sono famose grazie a podcast (The Dropout, prodotto da ABC News), documentari (The Inventor, realizzato da HBO), spettacoli (Anna X, in cartellone a Londra lo scorso anno) e serie tv di successo, ma ognuno di questi prodotti ci racconta in fondo la stessa storia: la fine dell’epoca della “girlboss”.

Cosa vuol dire “girlboss”?

Il termine “girlboss” nasce nel 2014, quando l’imprenditrice Sophia Amoruso decide intitolare così la sua autobiografia. Nel 2017 Netflix usa lo stesso titolo per produrre una serie sulla storia di Amoruso, che in pochi anni è riuscita a trasformare un vintage shop su e-Bay in un’azienda di successo. Ma si tratta di molto di più di una semplice parola, come ha spiegato la stessa Amoruso durante il primo Girlboss Rally, un evento al quale partecipano con entusiasmo più di cinquecento imprenditrici.:

Girlboss è più un sentimento, una filosofia. È un modo per le donne di costruire il proprio successo come vogliono loro, per la prima volta nella storia

Il tempismo non può essere migliore: dopo la crisi del 2008, migliaia di millennial si trovano spaesate davanti a un mondo del lavoro sempre più competitivo e precario. La mentalità “girlboss” le aiuta a sognare in grande, a credere che possono avere tutto dalla vita: basta volerlo.

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In realtà, né il successo delle mentalità “girlboss” né quello della sua ideatrice durano molto: nel 2017 Nasty Gal, l’azienda di Amoruso, dichiara bancarotta e l’imprenditrice abbandona il ruolo di amministratrice delegata. Nel 2020, anche Christene Barberich, co-fondatrice del web magazine femminile Refinery29, Leandra Medine Cohen, fondatrice del blog di moda Man Repeller e Yael Aflalo, fondatrice del marchio Reformation lasciano le loro aziende, accusate di aver creato ambienti di lavoro tossici e razzisti. Come scrive Elizabeth Gulino su Refinery29:

Nell’estate del 2020, la girlboss è ufficialmente morta

Oggi infatti il termine (che in inglese è anche usato come verbo, “to girlboss”) ha una connotazione negativa e indica un tipo di mentalità che prende istanze femministe (come la lotta per la parità salariale, i congedi parentali, le discriminazioni sul posto di lavoro e molte altre) e le svuota di significato, riempiendole di individualismo e classismo.

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Una delle accuse principali rivolte alla cultura girlboss è proprio la mancanza di inclusività:

la girlboss bianca, e molte di loro lo sono, si trova all’intersezione tra oppressione e privilegio. Vede oppressione di genere in ogni angolo, [ma] il razzismo non entra mai nel suo campo visivo.

commenta la scrittrice Leigh Stein su Medium. Inoltre, se osservata da vicino, la mentalità girlboss risulta profondamente sessista:

la girlboss ideale infatti è combattiva, ma mai arrabbiata; emancipata e impegnata, ma mai vittima dello stress e soprattutto un’ottima leader, come se esserlo dipendesse dal suo genere, e non dalle sue azioni e dai suoi pensieri

Perché le storie di Holmes e Delvey hanno tanto successo

In generale, le storie di Holmes e Delvey sono esempi di quello che Francesco Gerardi su Rivista Studio ha definito un “nuovo sottogenere di racconto true crime”: la scam culture, o il fascino per la truffa come “spiegazione del momento in cui abbiamo smesso di capire il mondo”.

È un meccanismo che conosciamo molto bene: è lo stesso che ci spinge a vedere La casa di carta, ridere di chi ha provato ad andare al Fyre Festival e chiederci perché un agente letterario abbia ingannato colleghi di tutto il mondo per ottenere centinaia di manoscritti inediti.

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Allo stesso tempo, i prodotti culturali ispirati alle vite di Holmes e Delvey rispecchiano lo spirito del nostro tempo:

il superamento dell’era della girlboss, il riconoscimento dell’esistenza di alcuni meccanismi tossici che uniscono aziende e attivismo (come il pinkwashing o l’attivismo performativo)

Infine, la filosofia delle due imprenditrici ricorda quella dei membri di Overemployed, la community di persone che lavorano a tempo pieno per due aziende diverse, senza che nessuna delle due sappia dell’altra. In fondo, perché fare gli straordinari quando potresti fare il tuo lavoro in maniera discreta e ricevere due stipendi? Perché lavorare per arrivare al successo quando puoi convincere tutto il mondo di essere già la migliore e farti semplicemente prestare i loro soldi?

All’epoca delle grandi dimissioni, lavorare duro non è mai stato meno “cool”. Holmes e Delvey lo sapevano da un pezzo

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