Comunità LGBTQIA+ e mondo del lavoro: la situazione per le donne lesbiche
Un’indagine del 2021 di Istat e Unar - Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ha evidenziato che nel mondo del lavoro le persone LGBTQIA+ in Italia sono molto penalizzate. Uno dei dati più gravi che emerge dalla ricerca è che il 34,5 % delle persone intervistate ha subito discriminazioni durante il lavoro.
In particolare, la situazione delle donne lesbiche è peculiare, in quanto, come teorizzato negli anni ‘70 dell'attivista Mariasilvia Spolato, possono essere soggette a una doppia discriminazione, sia di genere che di orientamento sessuale.
Lo confermano le testimonianze di E. 30 anni, M, 25 anni e L. 23 anni: tre ragazze lesbiche che a The Wom hanno raccontato le effettive difficoltà riscontrate nell’ambito lavorativo, da cui nasce l'esigenza di rimanere anonime.
Orientamento sessuale sul posto di lavoro: meglio non parlarne?
I dati indicano che il 53% delle persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ sente il bisogno di nascondere la propria identità sul posto di lavoro, cosa che porta a conseguenze psicologiche anche gravi. La paura e lo stress che il proprio orientamento sessuale venga scoperto senza il proprio consenso possono alla lunga portare a una minore produttività sul lavoro e a volte anche a dimissioni volontarie (2,5% dei casi), depressione o burnout.
I motivi per cui le persone preferiscono evitare di fare coming out sul lavoro sono diversi.
Per alcune, c’è la sensazione che gli altri possano cambiare opinione su di loro, perché in qualche modo vanno a “scardinare” un’idea che l’altra persona si era fatta.
Afferma M, una delle intervistate:
Per me la difficoltà maggiore sul lavoro è stata essere donna e avere avuto sempre capi uomini molto più grandi di me. Mi sono sempre sentita svantaggiata come ragazza e come giovane, per cui preferisco non dire che faccio parte di un’ulteriore minoranza per evitare altri problemi
Per le donne lesbiche gli stereotipi di genere sono un fattore ulteriore di difficoltà.
Le donne lesbiche che hanno un aspetto considerato femminile spesso sono ritenute automaticamente eterosessuali.
Alcune donne evitano appositamente di utilizzare un tipo di vestiti o un taglio di capelli considerato maschile, proprio per evitare penalizzazioni. Questo ha ovviamente effetti anche gravi sulla salute mentale
Affermano le intervistate:
M: «C’è una sorta di privilegio se hai un aspetto femminile. Spesso per questo evito di utilizzare capi di abbigliamento considerati dalla società più maschili. Però ritengo sia un problema della società. Perché devi dare per scontato che io sia etero a meno che io non mi allinei a una certa estetica?».
L: «Sono d’accordo sul fatto che le persone diano per scontato che tu sia etero. A volte mi è stato chiesto se avessi il fidanzato… se ci pensiamo è una domanda triggerante».
Lo ammetto, è un po’ imbarazzante, ma a volte mi è capitato di dire “sì, ho un fidanzato” quando in realtà si trattava di una fidanzata
Un’altra situazione difficile si riscontra per le donne lesbiche che lavorano in contesti di cura, specie se a contatto con persone in situazione di fragilità. Spesso vi è il timore di non essere più considerate “idonee” in quanto lesbiche.
Infatti, tuttora, è molto presente il pregiudizio per cui certi lavori debbano essere appannaggio delle donne eterosessuali.
Afferma L., una nostra intervistata: «Attualmente lavoro in un contesto di cura che si occupa di situazioni psicologiche difficili. Non rivelo il mio orientamento sessuale perché la mia paura principale è che i colleghi e le persone di cui mi prendo cura si sentano a disagio con me perché sono lesbica. Penso che in qualche modo mi vedrebbero meno idonea. Anche qui vi è lo stereotipo di donna etero – ruolo di accudimento, che secondo me va scardinato ed è nocivo per tutte le persone».
Un cambiamento culturale necessario
In molti ambienti sono normalizzati le battute e i termini dispregiativi, anche a sfondo sessuale. Sei persone su dieci riportano infatti di aver subito o assistito a questo tipo di episodi, vere e proprie microaggressioni. A volte questi fenomeni sfociano in molestie vere e proprie, soprattutto per le donne lesbiche più giovani.
Testimonia E:
«Io ho vissuto un episodio spiacevole in passato: avevo 17 anni ed era la mia prima esperienza lavorativa, in un bar. Da adolescente ero molto più spontanea, dicevo con naturalezza a tutti di essere lesbica. Ebbene, entrambi i gestori ci hanno provato pesantemente con me e sono arrivate anche le molestie dietro il bancone. Per loro è stata la ciliegina sulla torta il fatto che io avevo detto di essere lesbica, perché è come se in qualche modo mi avessero vista più aperta sessualmente.
Sono andata via da quel posto, ma gli effetti di ciò che era successo sono rimasti e ho iniziato a parlare meno della mia vita privata
In generale, il 41% delle persone della comunità LGBTIQIA+ italiana ha riportato un generale peggioramento delle proprie condizioni di vita.
Per rendere l'ambiente di lavoro più accogliente per le persone LGBTQIA+ è necessario un vero e proprio cambiamento culturale
Afferma L: «Sarebbe bello che le persone si approcciassero a questi temi con curiosità, ma con rispetto. Evitando un linguaggio potenzialmente offensivo e nel caso di dubbi, chiedere con discrezione. È necessario cercare di superare il pregiudizio o riconoscerlo se ne cadiamo vittima».