L’Italia non è un Paese per mamme: la maternità è la causa principale di discriminazione sul lavoro
I dati parlano chiaro: in Italia si fanno sempre meno figli, e il 2021 è stato l’anno in cui la natalità infantile ha raggiunto un nuovo record negativo, segno che la maternità, oggi, più che una ricchezza è vista come un ostacolo.
Lo dimostra l’ultimo report sulla “Dinamica demografica-Anno 2021” dell'Istat, secondo cui l'anno scorso i bambini iscritti all’anagrafe sono stati 399.431, per la prima volta nella storia dell’Unità d’Italia scesi sotto i 400.000, con una diminuzione dell'1,3% rispetto all'anno precedente
La pandemia da Coronavirus ha certamente avuto un ruolo fondamentale in questo trend. Dati alla mano, e come spiega anche Istat, il deficit di nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, «lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia».
Il crollo delle nascite nel 2021
«Il crollo delle nascite tra dicembre 2020 e febbraio 2021, da riferirsi ai mancati concepimenti durante la prima ondata pandemica, è sintomo della posticipazione dei piani di genitorialità che si è protratta in modo più marcato nei primi sette mesi, per poi rallentare verso la fine dell’anno. Il rinvio delle nascite è particolarmente accentuato tra le donne più giovani».
La pandemia ha però soltanto portato alla luce in modo eclatante il clima d’incertezza (economica e lavorativa) in cui le donne, oggi, scelgono se diventare madri
Inoltre, ha fatto emergere le difficoltà quotidiane che le donne devono affrontare per bilanciare carriera e famiglia, visto che il carico è quasi integralmente sulle loro spalle, e che nella stragrande maggioranza dei casi la società attuale rende inconciliabile lavoro e maternità.
Se è vero, infatti, che aumentano le donne che scelgono con consapevolezza di rinunciare ai figli, e che rivendicano questa scelta sfidando giudizi e pregiudizi, ce ne sono moltissime che desiderano invece diventare madri, ma si trovano davanti tutti gli ostacoli rappresentati da una società estremamente sessista e d’impostazione patriarcale.
L’Italia non è certamente un paese per mamme, per usare il titolo di un celebre film, e la dimostrazione arriva dalla quantità di donne che rinunciano alla maternità per investire sulla carriera o che lasciano il lavoro per dedicarsi ai figli
Non stupisce, d’altronde, tenendo conto di quante lavoratrici temono di annunciare al datore di lavoro una gravidanza subodorando ripercussioni, e di quante altre sono costrette ad accettare che diventare madri significhi, quasi sempre, rinunciare alla carriera.
Cosa prevede la Strategia nazionale per la parità di genere
Se al calderone si aggiungono i salari più bassi rispetto agli uomini, contratti che hanno ben poche garanzie sul tema della maternità e l’enorme impegno - esacerbato in pandemia, tra lockdown e scuole chiuse - per la cura di casa e figli, i dati demografici non possono stupire. Devono però fungere da spunto e stimolo ad adottare strumenti e strategie in grado di cambiare lo status quo, come ha sottolineato anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’8 marzo: «Scoprire che una mamma italiana su cinque, a due anni dalla nascita del figlio, decide di lasciare il lavoro è una sconfitta per tutta la società italiana, alle prese con un grave declino demografico», ha detto Mattarella, sottolineando che «la crescita del ruolo delle donne è una condizione per lo sviluppo del nostro Paese».
Della stessa idea è anche la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, che nell’agosto del 2021 ha presentato la prima Strategia nazionale per la parità di genere
Il documento si ispira alla Gender Equality Strategy 2020-2025 dell’Unione europea, e tratteggia il percorso e la strategia che la politiche nazionali dovranno adottare per arrivare finalmente alla parità di genere, fondamentali per dare attuazione al PNNR e la riforma del Family Act. Il piano indica le cinque priorità cui dedicarsi - Lavoro, Reddito, Competenze, Tempo e Potere - e indica i target da raggiungere per arrivare all’obiettivo finale: guadagnare entro il 2026 cinque punti nella classifica del Gender Equality Index dell’Istituto europeo per l'uguaglianza di genere.
Il caso virtuoso della Lombardia
Una strategia nazionale per raggiungere una gender equality insomma c’è, e l’Italia ha 4 anni per raggiungere gli obiettivi.
Nel frattempo alcune Regioni hanno deciso di agire autonomamente, e adottare provvedimenti che possano aiutare le donne a scegliere in modo più libero se diventare madri, senza il timore di dover rinunciare alla carriera per soddisfare questo desiderio
Gli strumenti a disposizione delle Regioni per garantire la parità nel mondo del lavoro e il rispetto delle normative sono diversi: ogni ente può nominare un assessore o un consigliere regionale alle Pari Opportunità e istituire consigli e commissioni.
In Lombardia, dove si registra il più alto numero di donne occupate, ci son per esempio tre organi proposti alla promozione delle pari opportunità: un assessorato, un consiglio e una consigliera regionale
Figura, quest’ultima, istituita per la promozione e il controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione tra uomini e donne nel mondo del lavoro, nominato con un decreto del Ministero del Lavoro e di concerto con il ministro per le Pari Opportunità.
Letizia Caccavale è la presidente del Consiglio per le Pari Opportunità del Consiglio regionale della Lombardia, ed è stata lei a spiegare, nel corso di un evento dedicato al ruolo delle donne nel mondo del gaming e dell’automotive, le iniziative adottate per rendere davvero paritario il mondo del lavoro e coniugare famiglia e carriera.
«La discriminazione più grande che abbiamo rilevato è sicuramente quella della maternità - ha spiegato Caccavale - la gioia più grande per una famiglia diventa un ostacolo per la donna, e ce lo dicono i dati nazionali. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro nel 2020 ci ha detto che si sono registrate 42.000 dimissioni volontarie, di cui il 77% da parte di donne mamme e lavoratrici che non riescono a conciliare la cura di figli. In Lombardia seguiamo il trend, ma d’altro canto l’Europa si posiziona sotto la media in termini di donne occupate, 53,8% contro 67,3%. Regione Lombardia è virtuosa, ma purtroppo segue andamento nazionale e il tema delle dimissioni delle donne rimane quello della conciliazione».
Caccavale ha spiegato che la Regione ha adottato una serie di misure a sostegno delle mamme lavoratrici tra cui i nidi gratis, i fondi stanziati per le reti di conciliazione vita-lavoro di cui sono capofila le Ats (Agenzie di Tutela della Salute) e una nuova delibera del dicembre 2021 che prevede l’uscita di un nuovo bando a sostegno di iniziative di welfare nelle piccole e medie aziende. Dal settembre del 2020 è inoltre attivo a Vimercate lo sportello di ascolto a disposizione delle lavoratrici madri o in gravidanza a cura dell’associazione Sloworking, Telefono Donna e CGIL Monza e Brianza, sostenuto proprio dal Consiglio Pari Opportunità. L’iniziativa si inserisce nel più ampio progetto “Win-Win, se una donna lavora ci guadagnano tutti” finanziato da Regione Lombardia nell’ambito del bando “Progettare la parità in Lombardia 2019”.
«Come Consiglio per le pari opportunità abbiamo inoltre ideato un’iniziativa che ha l’obiettivo di sostenere che la maternità, così come la paternità, non può e non deve essere un problema perché è un valore sociale - spiega ancora Caccavale - se si lavora in maniera serena si produce di più, e se le donne non riescono a restare nel mondo del lavoro si genera un problema per il Pil. Abbiamo quindi istituito il Premio parità virtuosa, rivolto ad aziende che valorizzano la genitoralità sul mondo del lavoro. Tra le aziende premiate c’è Manageritalia, che ha ricevuto un fiocco: qui ogni volta che una donna deve comunicare una maternità si festeggia. Ed è molto importante, perché la problematica che le donne denunciano di più in ambito lavorativo è diventata la maternità: la maggiore discriminazione deriva da quello. Poi arrivano divario salariale a parità di mansioni, che nel privato sono stimati in Italia al 17%.