No, dopo le molestie a Greta Beccaglia non si dovrebbe “andare avanti”

Il video delle molestie alla giornalista Greta Beccaglia ci invita a riflettere su quanto sia ancora (tragicamente) normale la minimizzazione di comportamenti che umiliano le donne

L’abbiamo vista tutti Greta Beccaglia, 27 anni, giornalista sportiva di Toscana TV, mentre al termine della partita Empoli-Fiorentina viene molestata da alcuni tifosi. Uno di loro le dà addirittura uno schiaffo sul sedere dopo essersi sputato sulla mano, mentre altri le rivolgono commenti osceni. Greta reagisce in modo garbato - “così non si fa” -, mentre il suo collega Giorgio Micheletti, dallo studio, passa oltre con un “dai, non te la prendere, andiamo avanti”.

Andare avanti. Dovevamo arrivare a vedere questo video, diventato virale, per comprendere quante volte noi donne siamo andate avanti dopo episodi del genere. Ci siamo passate sopra, semplicemente. Fin dall’infanzia, quando i maschietti che alzano le gonne alle bambine vengono redarguiti con dei semplici buffetti, e poi via fino all’adolescenza, dove il maschio più forte del branco si riconosce per gli apprezzamenti più volgari che riesce a pronunciare. Del resto, si cresce così in una società patriarcale. Non dovrebbe scandalizzarci, dunque, quello che abbiamo visto fare a Greta Beccaglia, perché a molte, moltissime donne è successo almeno una volta nella vita. E invece benvenuto scandalo. Benvenuti cori di indignazione. Finalmente è tutto lì, ripreso da un video. E il polverone che si è sollevato farà mordere le labbra a quegli uomini a cui è capitato di dire “massì”, che vuoi che sia, è solo uno schiaffetto”. No. Non è solo schiaffetto, ma una violenza che contiene un universo di prevaricazione, di dominio maschile, di oggettivazione del corpo femminile e di sottomissione della donna.

«Mi sono sentita oltraggiata, violata. Per quella persona ero come un palo da prendere a calci per sfogare la propria rabbia. Non erano tifosi, erano carnefici», ha raccontato Greta Beccaglia in un’intervista al Corriere. E sembra proprio essere così: il corpo della donna come oggetto su cui riversare frustrazioni anche misere, come la sconfitta della propria squadra. E ciò che colpisce ancor di più – se possibile – è il fatto che per un attimo, Greta Beccaclia si sia sentita responsabile di ciò che le è accaduto.  «Sul momento mi sono anche sentita in colpa», dice. «Mi sono detta che magari non dovevo mettere i jeans stretti, che non dovevo andare dove escono i tifosi, mi sono anche chiesta se ho fatto qualcosa di sbagliato. Nei commenti sui social, purtroppo c’è chi fa riferimento proprio ai miei jeans». Un pensiero che rivela quell’imprinting maschilista che da sempre attribuisce alla donna la colpa della sua stessa aggressione. È quel disgustoso “Se l’è cercata” che ha portato, nella storia, all’assoluzione di tanti uomini violenti.

Tutto questo però accade il 27 novembre 2021, a due giorni dalla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne e soltanto a pochi mesi dai fischi e gli apprezzamenti alla ragazza che si stava occupando della manutenzione del campo dello stadio Marassi di Genova. Una sacca di sessismo, quella della tifoseria calcistica, sempre più manifesta. Senza generalizzare, ovviamente. Ma c’è da chiedersi quanti episodi simili siano già accaduti senza che ci fossero telecamere a riprenderli, e quanti altri accadano quotidianamente in Italia e nel mondo. Proviamo a indovinare? Migliaia, milioni. Continuiamo a sollevare polvere quindi, a denunciare, a scandalizzarci, a instillare il disgusto nelle menti maschili più giovani.

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