Oltre la camera: la ricerca che racconta la vita delle sex worker digitali in Italia
«La sessualità è un tema che mi ha sempre affascinata, [ma è solo] quando ho iniziato ad approfondire in modo più strutturato e accademico la sua intersezione con il tema del lavoro che ho iniziato ad avvertire che il discorso sul sex work, che prima sentivo come totalmente estraneo a me, in qualche modo mi riguardava in quanto persona che si identifica come donna», racconta Maria Cristina Zappi, HR generalist con una laurea in Consulenza del Lavoro, Sociologia e Ricerca Sociale all’Università degli Studi di Padova.
Quella del lavoro sessuale è una storia complessa, che parte però da un principio molto semplice: quello di voler chiamare le cose con il proprio nome, senza giudizi di valore. Dagli anni Settanta infatti, le organizzazioni di attiviste e attivisti anglofoni hanno lottato per sostituire il termine ‘prostituta’ e altri appellativi connotati negativamente con il termine più neutro ‘sex worker’ per sottolineare l’idea di una professionalità del lavoro sessuale e per lottare contro la svalorizzazione compiuta da gran parte della società.
A tutto questo bisogna inoltre aggiungere che:
Il mercato del sesso ha storicamente avuto e ha tuttora una struttura di genere molto forte che influenza come le relazioni tra i generi si costruiscono e vengono rappresentate pubblicamente, […] intrecciandosi con la morale e dilagando spesso molto oltre gli argini del sex work vero e proprio,
spiega Zappi, che negli ultimi anni ha trasformato il suo interesse per il lavoro sessuale nel suo oggetto di ricerca. Più si avvicinava al tema, infatti, «più si sviluppava in me una sorta di rabbia mista a volontà di approfondire la costruzione di tali strutture per contribuire alla loro decostruzione, ascoltando chi questo stigma – che già io stessa sento così forte e ingiusto – lo affronta in maniera esplicita ogni giorno avendo scelto di farne il proprio lavoro».
Da questa rabbia nasce Oltre la camera. Sex work online, carriera morale e stigma nell'era del cybersex (Edizioni Diodati, 2022), il libro che raccoglie le esperienze di una decina di lavoratrici del sesso italiane che si identificano come donne o che hanno costruito la loro identità lavorativa conferendole una connotazione di genere femminile e che producono contenuti digitali destinati principalmente a un pubblico maschile.
Sex worker offline e online a confronto
Ma in che modo lo stigma legato al lavoro del sesso cambia dall’offline all’online? Secondo Zappi,
lo stigma relativo al sex work tradizionale è legato principalmente ad aspetti riguardanti la tutela della salute pubblica (ad esempio, la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili oppure, come abbiamo visto recentemente, di infezione da Covid-19) e a questioni di carattere morale
E se quando si parla di sex work online la dimensione sanitaria viene a meno (dato che non esiste contatto fisico tra sex worker e utenti), lo stesso non si può dire dell’aspetto morale.
«Dall’esterno, infatti, il mondo del lavoro sessuale online potrebbe sembrare qualcosa di semplice, rapidamente accessibile e sostenibile senza necessità di particolari competenze, preparazione o motivazione», spiega l’autrice. In realtà,
rendere il sex work online la propria unica fonte di reddito richiede doti di pianificazione e organizzazione molto sviluppate,
alle quali si aggiungono le competenze tecnico-informatiche e relazionali necessarie per poter creare un contenuto di qualità e riuscire a venderlo in modo efficace.
Ne sono un esempio il gran numero di sex worker che curano minuziosamente i propri profili su OnlyFans, una delle piattaforme che negli ultimi anni è diventata il punto di riferimento del sex work online grazie a una serie di linee guida sex-friendly (che però hanno rischiato di cambiare drasticamente lo scorso ottobre, causando l’indignazione di molti e molte creator).
Con tutti i loro difetti, però, OnlyFans e altre piattaforme offrono paradossalmente molte più tutele di quante ne garantisca la legge Merlin, la legge italiana sul lavoro del sesso, che scoraggia il sex work punendo una serie di condotte collaterali come favoreggiamento, induzione e sfruttamento.
La rappresentazione pubblica di chi svolge sex work online è però quella di una persona senza competenze specifiche, priva di ambizioni o progetti di vita/carriera, che svolge un’attività che chiunque in possesso di un corpo potrebbe svolgere in maniera agevole, senza particolari sacrifici, impegno o sforzi,
spiega l’autrice.
Fare rete oltre lo stigma
Oltre alla svalutazione di queste competenze, chi fa sex work online deve inoltre affrontare molti altri pregiudizi che vanno a modificare sia la percezione del sé che il proprio ruolo all’interno della società.
Scegliere una carriera che porta con sé un grosso carico stigmatizzante può avere delle ripercussioni su come chi la sceglie possa percepire se stessa e la propria autostima,
spiega l’autrice, che tuttavia ha osservato come gli stessi social network che le lavoratrici del sesso utilizzano per svolgere la loro professione si trasformino spesso in «reti di supporto per fare fronte comune verso tutte le eventuali insicurezze identitarie derivanti dallo stigma, con l’obiettivo di lottare insieme per liberarsi da esso e potersi definire fiere di svolgere lavoro sessuale».
VEDI ANCHE CultureSex toys e masturbation gap: come la pandemia ha stravolto le nostre abitudini sessualiDall’analisi di Zappi emerge quindi che chi svolge sex work online in Italia vive purtroppo in una sorta di limbo in cui non può essere ascritta né al ruolo di “vittima” (riservato socialmente solo a chi svolge sex work offline e, quindi, automaticamente è solo sfruttata), ma nemmeno a quello di persona pienamente consapevole di sé, delle proprie scelte, delle proprie azioni, che autodeterminandosi decide di mettere in campo le proprie risorse per costruire un percorso lavorativo come tanti altri, come invece – dal mio punto di vista – dovrebbe essere.
Per fortuna, dall’Europa arrivano invece segnali molto positivi per tutte le sex worker: a inizio 2021 è stata emessa la Risoluzione sulle Strategie per la parità di genere, il documento con cui gli Stati membri s’impegnano a promuovere misure a favore della parità di genere.
Per la prima volta nella storia, in queste politiche si parla anche di diritti e protezione delle sex worker: il Parlamento Europeo ha riconosciuto infatti il forte impatto che la crisi da Covid-19 ha avuto sulle condizioni di vita delle lavoratrici del sesso, che hanno portato a un aumento del rischio di povertà e una grave violazione dei diritti umani.