Cosa significa essere “un padre femminista”? Intervista al filosofo Lorenzo Gasparrini
“Una delle domande che mi viene fatta molto spesso è: come hai insegnato ai tuoi figli a fare la pipì da seduti?”, racconta sorridendo Lorenzo Gasparrini, filosofo, scrittore e formatore femminista. “La mia risposta è semplice: non è la natura a decidere chi fa la pipì in piedi e chi da seduto, lo decide chi pulisce il bagno”. Un esempio divertente, ma anche molto significativo del messaggio che Gasparrini cerca di trasmettere agli uomini – e soprattutto ai padri – che seguono i suoi seminari, workshop e laboratori.
“Mi sono avvicinato ai femminismi durante l’università, mentre la paternità è arrivata dopo, e per giunta come una sorta di nemesi: sono padre di due maschi” scherza Gasparrini.
Ed è in quel momento che ho iniziato a chiedermi: che modello propongo? Ma soprattutto: devo davvero proporre un modello?
Per il filosofo, il rapporto tra paternità e femminismi è molto più complesso e profondo di quanto si pensi. “Non credo esista un’educazione femminista” chiarisce Gasparrini,
ma dai femminismi ho imparato la capacità di avvertire il peso delle oppressioni, delle richieste sociali e degli stereotipi. Ai miei figli ho cercato di trasmettere la voglia di reagire, di mettersi in discussione, di avere il proprio posizionamento. Insomma, ho tirato su dei grandi rompiscatole!
Dal padre-supereroe al mammo
Per arrivare a costruire questo rapporto così autentico con i figli, Gasparrini ha prima intrapreso un percorso di profonda critica personale. “Col tempo ho capito che, nel bene e nel male, porti sempre con te il fantasma del padre che hai avuto. È un condizionamento sociale tipico del patriarcato. Non dev’essere per forza un padre biologico, anzi: anche gli orfani hanno un modello paterno molto forte proprio perché la società lo attribuisce attraverso una serie di figure maschili di leadership”, spiega il filosofo.
Oggi possiamo dire che l’immaginario sulla paternità è in una fase di grande evoluzione, anche se certe figure sono dure a morire
“Sono stereotipi e, in quanto tali, sono comodi, riconoscibili e funzionali. Se non funzionassero, le persone semplicemente li abbandonerebbero. Il guaio però è che nel mondo attuale spesso creano più problemi di quanti effettivamente ne riescano a risolvere”, precisa.
Uno dei più conosciuti è sicuramente quello del padre-supereroe, il famoso “uomo che non deve chiedere mai”. “In una società complessa come quella in cui viviamo oggi non c’è più spazio per il padre-supereroe”, spiega Gasparrini. “I problemi della vita quotidiana sono semplicemente diventati troppo grandi per essere gestiti da una sola persona, la stessa persona che per di più è incapace di parlare di fallimento ai propri figli”.
Per fortuna, come spiega il filosofo,
gli stereotipi sono un fenomeno culturale e la cultura può essere cambiata. Per esempio, un padre-supereroe può benissimo uscire dal suo ruolo ammettendo i propri errori e delegando il ruolo di guida a un’altra persona. Ma dev’essere lui a fare il primo passo: costringerlo a farlo non servirebbe a nulla, diventerebbe l’ennesimo obbligo sociale
Lo stesso vale per il ‘mammo’, che secondo Gasparrini è “la creatura mostruosa che abbiamo voluto creare per definire quei padri che si prendono cura dei figli”. Qui la chiave del problema sta nella visibilità immeritata che viene accordata ad alcuni uomini che svolgono mansioni che ancora oggi sono considerate tipicamente materne, come l’accudimento dei figli e la gestione degli spazi domestici.
In questo senso, secondo l’esperto “l’equità dei congedi parentali sarebbe un grandissimo passo in avanti, sia per le aziende che per i padri lavoratori. Il primo risultato sarebbe sicuramente un cambio di percezione dei padri che oggi scelgono di sfruttare i congedi parentali e che le aziende tendono a considerare al loro ritorno in ufficio come ‘dipendenti di serie b’, come spesso succede alle lavoratrici dopo un periodo di maternità. Il secondo, un aumento delle richiestissime soft skills”.
Poche cose insegnano ad ascoltare, a gestire gli spazi e ad assumersi le proprie responsabilità come avere a che fare con un bambino,
spiega Gasparrini, che spesso si occupa di formazione per le aziende. “La società patriarcale richiede infatti agli uomini di avere un’opinione su tutto, un’idea precisa della cosa giusta da fare. Imparare ad ascoltare le esigenze dell’altro e adeguarsi è fondamentale, che non significa sottomettersi o subire, ma capire che alle volte bisogna assumersi responsabilità e altre volte semplicemente accodarsi”.
Un discorso simile vale anche per un altro stereotipo molto diffuso, quello del padre che ‘aiuta’ in casa. “Per me non si tratta di un aiuto: in questa casa ci vivi e semplicemente ‘aiutare’ non è un’opzione. La rigida divisione dei ruoli di genere con il marito che lavora e la donna che sta a casa non è semplicemente più possibile in questa società: sempre meno donne sono disposte ad accettarla e il costo della vita in molti casi obbliga entrambi i partner a essere produttori di reddito”. Fortunatamente, come segnala Gasparrini
questo modello può essere trasformato grazie al concetto di corresponsabilità. In quest’ottica, svolgere un compito non vuol dire aiutare, ma sollevare l’altro da un peso e assumersi a proprio volta una responsabilità, occupandosi di tutte le sfaccettature del problema. E con questo torniamo al dilemma della tavoletta e della pipì dell’inizio: non sei mai solo responsabile delle tue azioni, ma anche delle loro conseguenze
Corresponsabilità vuol dire inoltre affrontare questioni molto spinose per gli uomini, come la sessualità. “La ricerca ci dice che gli uomini non parlano veramente di sesso e a furia di non farlo non sono capaci di farlo. Quel continuo parlare di prestazioni e dimensioni è una forma di rassicurazione reciproca, un dirsi ‘sì, sono etero anche io’.
Andare più in profondità è fuori discussione, anche perché se fin da bambino ti dicono che il sesso è solo l’azione penetrativa e non devi mai parlare dei tuoi sentimenti, è chiaro che da adulto non parlerai mai davvero di sesso
Di conseguenza, molti padri non sanno cosa raccontare ai loro figli e alle loro figlie di questo aspetto così importante delle loro vite. Spesso delegano il ‘discorsetto’ alle compagne, dimenticando che “delegare vuol dire non solo evitare una responsabilità, ma anche perdersi un momento di crescita e di dialogo fondamentale”.
Uomini sull’orlo di una crisi di nervi
"Quando replichi modelli negativi non te ne accorgi tanto mentre li metti in atto, ma dai loro effetti. Quando li vedi – o è tuo figlio a farteli notare – è troppo tardi, ma l’importante è accorgersene”, spiega Gasparrini.
Il tutto senza mai dimenticare di guardare le cose da una prospettiva più ampia: “mettere in ordine tutti gli agenti educativi e culturali che influenzano la vita dei tuoi figli è estremamente difficile”, precisa il filosofo. “In realtà, la famiglia è solo uno di questi agenti e spesso neanche il principale: deve competere con la forza educativa della scuola, della società, del cinema, della letteratura, dei social, e via dicendo”. Per questo, il consiglio del filosofo è
passate dal marcamento a uomo al marcamento a zona: non inseguite vostro figlio, difendete la zona che vi interessa. Siate pronti a intercettare le proposte educative che non vengono da voi e che vi sembrano problematiche e presentate un modello alternativo
Un modello che però ogni padre deve costruire da sé, dato che la società non offre ancora molti punti di riferimento.
Non esiste ancora un paradigma di mascolinità o di paternità positiva. O meglio, la storia dei movimenti LGBTQIA+ è piena di ottimi esempi che però non fanno presa sugli uomini eterosessuali. Credo però che i tempi siano più che maturi
“Per molti secoli, infatti, la cosiddetta crisi di mascolinità è stata usata come scusa per continuare a perpetuare modelli tossici. Lo vediamo in questi giorni con la guerra in Ucraina e le difficoltà che pone il modello maschile di risoluzione dei conflitti”, spiega Gasparrini. “Ma oggi siamo arrivati alla vera crisi e lo abbiamo fatto a causa dell’aumento del livello di consapevolezza sulla violenza sulle donne, un fenomeno che non possiamo più far finta che non esista.
È inutile dire che le nuove generazioni hanno una mentalità diversa e che è tutto nelle loro mani: il problema va risolto ora, senza dimenticare che il patriarcato è molto bravo a cambiare le sue oppressioni. Dobbiamo rimanere sensibili, capire come si trasformano e agire di conseguenza