Perché l’esclusività non va più di moda?
Sulle passerelle più prestigiose vediamo finalmente sfilare anche donne con disabilità o caratteristiche fisiche particolari. Una novità clamorosa, dato che il mondo della moda, fino a poco tempo fa, era un ambiente riservato ai “soli pochi eletti”, basandosi principalmente sul lusso e sull’esclusività. Ma quanto è stato difficile arrivare a questo punto?
Vi parlo di una mia esperienza personale: fino a qualche anno fa mi è capitato di propormi ad alcune agenzie come influencer o modella e ricordo con esattezza le porte chiuse in faccia, giustificate dal: "noi non trattiamo tematiche di disabilità ma solo beauty e fashion",
escludendo quindi a priori la possibilità che una persona con disabilità, come me, potesse rappresentare il mondo della moda
Eppure la moda è anche dinamicità ed è suo compito adeguarsi alle evoluzioni di mercato e all'evolversi della società, adattandosi così alle esigenze delle nuove generazioni, desiderose di un mondo più inclusivo e sostenibile.
Tanti sono i brand che hanno scelto questo percorso inclusivo: l'ultimo passo in avanti l'ha mosso Victoria's Secret, scegliendo Sofia Jirau, 25 anni, portoricana, bella come il sole, come la sua prima modella con sindrome di Down. Con il motto "senza limiti", Sofia è stata capace di fare la storia!
Ricordiamo però che Victoria's Secret, la linea di lingerie americana, in passato si è trovata sotto il mirino per aver scelto modelle perfette - i cosiddetti “angeli della maison” - e per aver alimentato l'ossessione e la ricerca della perfezione in fisici statuari e ideali di bellezza non sempre sani. Ma se inizialmente la maison si era mostrata indifferente alle critiche, oggi ha deciso di abbracciare il percorso dell’inclusione e del valore della diversità.
Ma quanto c'è di effettivamente inclusivo in questa scelta? Sofia Jirau è indubbiamente molto bella, con dei tratti talmente delicati da non lasciar subito emergere la sindrome di down.
Questo dovrebbe farci riflettere su un tema importante: qual è la linea di confine tra una campagna davvero inclusiva e una di Diversity-Washing?
Ma perché abbracciare un concetto di moda inclusiva conviene ai brand? In primo luogo per migliorare il social impact, lanciando così un forte messaggio alla comunità e farsi sentire vicini ad alcune tematiche in particolare, migliorando così la brand reputation.
La maggior parte dei consumatori preferisce acquistare da brand inclusivi, quindi per i brand non si tratta solo di una “missione sociale” ma di una vera e propria strategia di marketing e business, non un costo quindi, ma un investimento.
Ma come mai tanti brand e aziende solo adesso si sono resi conto del valore della diversità? Lo fanno per rispecchiare il detto "il mondo è bello perché è vario", o perché l'inclusione, come la sostenibilità, oggi è di moda?
Innanzitutto non bisogna generalizzare: se da un lato ci sono aziende davvero sensibili e attente a queste tematiche, dall'altro ci sono brand che cavalcano l’onda del momento con campagne di Diversity-Washing.
Forse non riusciremo a cogliere la differenza e forse è anche giusto che, rispetto a un canone di bellezza del tutto irraggiungibile imposto fino a qualche anno fa, finalmente si veda un consolidamento delle crepe ai canoni granitici di bellezza imposti per tanti anni.
Sentiamo però il bisogno concreto che i brand vogliano abbracciare davvero il percorso dell'inclusione, non soltanto perché è di moda, ma come importante mezzo per una società effettivamente più inclusiva e per la crescita del Paese
Si parlerà di totale inclusione soltanto quando anche una modella con disabilità, vitiligine, curvy (ecc.), sfilerà sulle passerelle di alta moda o poserà per importanti riviste di moda senza che tutto questo faccia notizia, perché farà parte della nostra quotidianità.