Perché “non sei come le altre ragazze” non è un complimento

14-03-2022
Un complimento pronunciato con le migliori intenzioni. Anzi, con la sicurezza di chi sta dicendo qualcosa di positivo. Eppure, “tu non sei come le altre ragazze” non ci fa sentire meglio. A partire dalla forma inglese, il not like the other girls è diventato un vero e proprio fenomeno, diffusissimo anche su Internet, che incoraggia le ragazze adolescenti a disprezzare tutto quello che viene stereotipicamente considerato “roba da femmine”. In realtà, si tratta dell’ennesima manifestazione di una cultura misogina interiorizzata

Nessuna novità. Da decenni, le donne cercano di dissociarsi, in tutto o parzialmente, dalle “altre”. Ciò che intendiamo con altre continua a cambiare, però il fenomeno cresce sempre di più. Internet è piena di meme in stile not like the others, ma anche, al contrario, di meme che prendono in giro le ragazze che vogliono distinguersi. Insomma, come si fa, si sbaglia.

Cosa c’è, quindi, dietro affermazioni di questo tipo? Perché è desiderabile non essere come le altre e, soprattutto, quali sono le implicazioni?

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In fondo, non ci sarebbe nulla di sbagliato nel valorizzare la diversità e le caratteristiche che rendono speciali ognuno di noi. Ma siamo sicuri che sia il modo giusto?

I complimenti dovrebbero farci bene, regalarci sicurezza e offrirci attenzione. In questo caso, però, il complimento consiste nello sminuire il resto della popolazione femminile. Il messaggio per chi lo riceve è che il suo genere ha qualcosa di intrinsecamente sbagliato, e che lei stessa riceverà l’approvazione fintanto che riesca a staccarsene. Anzi, proprio per questo.

La forza che questo tipo di affermazioni ha su ragazzi e ragazze è dirompente, e troppo spesso sottovalutata: di fatto, si interiorizza la narrazione per cui le donne sono meno interessanti, meno intelligenti, senza talenti

Diventare più gentili e meno giudicanti, anche nei confronti di sé, ci richiede un lavoro giornaliero, costante e faticoso. Tutto per un complimento innocente.

Uno stereotipo misogino

Il patriarcato è il sistema sociopolitico e culturale che valorizza il maschile e penalizza il femminile. Di fatto, al patriarcato possiamo far risalire i ruoli di genere tradizionali e gli stereotipi che ne conseguono, profondamente legati a un’idea di normatività binaria – cioè basata sulle alternative maschio o femmina – ed esclusivamente eterosessuale.

Una frase come tu non sei come le altre ragazze riflette lo stigma che la nostra società ha riservato agli attributi considerati “femminili” fin dalla prima infanzia: quando, cioè, l’espressione “come una femmina” è considerata un insulto.

È la società a immaginare cosa attribuire alle donne in termini di comportamento e preferenze, ed è sempre la società a dir loro che essere donne, in termini di riconoscimento sociale, è meno attraente: le ragazze sono mansuete, graziose, emotive. Amano lo shopping, i trucchi, il gossip e odiano l’avventura. Chi ha interiorizzato il messaggio preferisce fregiarsi di interessi “da ragazzo”: i fumetti, i videogiochi, le abbuffate, lo sport.

Si tratta di false dicotomie. Le categorie che abbiamo elencato non si escludono a vicenda, e non c’è alcuna ragione per cui alcune di esse debbano essere disprezzate

Complimenti come “one of the boys” o “honorary man” non fanno altro che sminuire le donne, soprattutto se elargiti perché una ragazza fa qualcosa di straordinario come ordinare un hamburger anziché un’insalata.

Le altre persone: sono davvero tutte uguali?

Gli attributi della narrazione stereotipica legata ai generi maschio e femmina, imposti dalla società, non hanno un riscontro reale, se non nel nostro averli interiorizzati. Cerchiamo di trovare delle categorie per comprendere le cose, ma la verità è che gli interessi delle persone sono complessi e variegati.

Il fenomeno not like the other girls cerca di contrastare una narrazione costruendone un’altra, altrettanto arbitraria, che ci insegna fin da piccole che essere donne è una sciagura, ma, soprattutto, che le donne sono tutte uguali. Tutte, tranne noi.

In questo modo non si fa altro che riconoscere e incarnare uno stereotipo, perpetrando una forma di misoginia.

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Ognuna delle ragazze “diverse dalle altre”, non è altro che l’incarnazione di una fantasia maschile che riguarda ciò che dovrebbe piacere alle donne.

Le donne sono deboli, indifese, bisognose. Chi non vuole esserlo deve adeguare i propri comportamenti:

La soluzione non è essere più o meno femminili, ma liberarsi dalle pressioni dello sguardo maschile, sia quando è effettivamente veicolato da uomini, sia quando è interiorizzato dalle donne

L’alternativa è sovvertirlo, rivendicando la possibilità di essere chiunque ci vada di essere.

Role models e rappresentazione

Alla base del disprezzo nei confronti delle altre ragazze c’è, da parte di giovani e meno giovani, una difficoltà di fondo a riconoscersi nel modello descritto. In risposta al disagio provato, si tenta di definirsi a partire dal rifiuto di quel modello.

Un meccanismo di difesa, questo, che rivela un profondo senso di inadeguatezza rispetto agli standard: le ragazze dovrebbero essere femminili (e per esempio sensuali, quindi desiderabili), ma mai troppo (altrimenti considerate superficiali, e quindi non desiderabili). Non c’è modo di vincere.

Tuttavia, la vergogna di essere donne si può combattere con degli esempi virtuosi: i modelli femminili non sono abbastanza, e devono diventare accessibili, o più accessibili. La ridotta presenza di donne in alcuni campi scoraggia altre donne a presidiarli, diffondendo indirettamente un sentimento di non appartenenza.

Allargando i confini della rappresentazione, invece, possiamo di liberare uomini e donne dall’idea che queste ultime debbano essere limitate nei loro interessi, nelle loro preferenze e nei loro comportamenti

E ammettere, finalmente, che gli stereotipi sono limitanti per tutte le persone.

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