Cos’è la petizione contro la schwa e perché se ne parla tanto

16-02-2022
Lo scorso 5 febbraio è stata lanciata sul sito Change.org una petizione dal titolo Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra. L'iniziativa prende le mosse dall’utilizzo della schwa – graficamente indicata come una e rovesciata – nei verbali del “concorso per l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario”. Ecco perché se ne sta parlando tanto

La discussa petizione è stata promossa dal linguista Massimo Arcangeli, professore ordinario all’Università di Cagliari, secondo il quale l’utilizzo della schwa potrebbe rappresentare una "pericolosa deriva" dell’Italiano, e, per questo, andrebbe fermato. Tra le firme compaiono numerosi nomi di prestigio del mondo accademico, culturale e artistico, tra cui Alessandro Barbero, Cristina Comencini e Massimo Cacciari.

La petizione poggia su un’assunzione di fondo per cui esisterebbe, come si legge nelle prime righe, una "riforma dell’italiano, sostenuta da promotori che pretendono di imporre la propria legge alla comunità di parlanti e li esortano all’uso di regole inaccettabili".

Finora, questa assunzione non è stata mai confermata da fatti o dichiarazioni ufficiali. L’utilizzo della schwa rappresenta solo una tra le soluzioni pratiche che da anni vengono adottate, con più o meno successo, da una comunità di parlanti che ha bisogno di ovviare a un problema sociale di rappresentazione.

Tra le forme con cui viene oggi utilizzata la schwa c’è la sua declinazione al femminile, la stessa utilizzata in queste righe e che sottende il lemma lettera: come tutte le altre lettere dell’alfabeto al femminile (la a, la b, la c… la zeta), la schwa fa lo stesso

A cosa serve la schwa?

Schwa (ə) è un simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale e, in quanto tale, corrisponde a un suono specifico per chiunque, a prescindere dalla lingua parlata. Qual è allora il suo suono?

Corrisponde alla vocale indistinta con cui terminano molte parole in napoletano (lo abbiamo sentito, ad esempio, nella famosa canzone di Pino Daniele, Napulə è millə culurə), ed è molto simile al verso che facciamo quando esitiamo nel parlare, e che nei fumetti viene tradotto con eeehm

La schwa rappresenta uno dei tanti modi alternativi che, dagli anni Novanta, è stato sperimentato nell’ambiente dell’attivismo femminista e nella comunità LGBTQ+ per declinare le parole in alcuni contesti, per esempio nel caso di gruppi misti di persone: buonasera a tuttə. Attualmente, è il più utilizzato.

La sua prima apparizione risale al 2015, quando Luca Boschetto, curatore del sito Italiano Inclusivo, propone di usarla al posto dell’asterisco o delle desinenze in -u. Come ha spiegato Vera Gheno, divulgatrice e sociolinguista, a differenza dell’asterisco, ə ha il vantaggio di avere un suono, mentre -u è associata al maschile in alcuni dialetti.

https://www.facebook.com/wanderingsociolinguist/posts/10158190755040915

A dimostrarlo è la stessa Gheno che ha registrato l’audiolibro del suo Femminili singolari, pronunciando le schwa.

https://twitter.com/vera_gheno/status/1485557583129706496

La proposta, come tutte le altre, è sperimentale e perciò presenta nodi da sciogliere: alcune sono di natura tecnica, come la necessità dell’aggiornamento di programmi di videoscrittura o lettura; altre sono di più difficile soluzione, come le difficoltà che potrebbero avere le persone dislessiche. Il dibattito è aperto e vivo.

Ma da cosa nasce questo bisogno?

Un problema di rappresentazione

L’italiano è una lingua con due soli generi grammaticali, maschile e femminile, e che ricorre principalmente a criteri di ordine morfologico. Il che significa che, nonostante le numerose eccezioni, la differenza di genere grammaticale viene espressa nella parte finale delle parole.

Per quanto riguarda gli esseri inanimati o gli animali, il fatto che l’assegnazione semantica, ovvero la corrispondenza del genere della parola e della cosa designata, non si verifichi sempre non è un problema.

Per quanto riguarda le persone, però, c’è un problema di rappresentazione che coinvolge chi non si riconosce nel binarismo di genere  – non identificandosi né come uomo né come donna – e chi deve rivolgersi a persone di cui non conosce o non riesce a comprendere l’identità di genere col rischio di quella che si chiama misattribuzione di genere:

l’identificazione di una persona attraverso l’utilizzo di un pronome, o di una qualunque altra forma linguistica, che non rispecchia la sua identità di genere

Il maschile sovraesteso o non marcato: la lingua non è neutra

A questo problema si aggiunge l’utilizzo di quello che viene definito maschile sovraesteso: l’uso del maschile per rivolgersi a gruppi, anche formati da due elementi, in cui compaia almeno un uomo.

Secondo la stessa logica, dopo una sequenza di sostantivi di genere diverso, l’aggettivo o il participio verrà declinato al maschile (Paolo e Francesca sono belli).

Quella che sembrerebbe una semplice convenzione, tuttavia, viene percepita come una scelta sessista, e in molti casi si rivela tutt’altro che neutra

Il cosiddetto maschile non marcato è presente anche nella lingua francese: nell’articolo di Alessio Giordano Genere sociale e lingua italiana - Davvero un capitolo chiuso?, viene citata un’indagine del 2017 sui parlanti: è stato chiesto a 1000 persone di fare due nomi celebri della letteratura francese.

La domanda è stata formulata in tre modi differenti: con il maschile plurale (“due scrittori celebri”), con una forma inclusiva che comprende sia il maschile che il femminile (“due scrittori e scrittrici celebri") e con una epicena, cioè una forma che evita di specificare il genere (“due persone celebri per i loro scritti”).

Nel primo caso, i parlanti hanno per la maggior parte citato esclusivamente uomini. Al contrario, il numero medio di donne citate ha avuto un incremento del 46% in risposta alle domande con forma inclusiva o epicena.

L’introduzione di nuove forme desinenziali non binarie, cioè non maschili né femminili (nel nostro caso, -ə combinato con l’uso degli articoli per il singolare, ə per il plurale e del pronome ləi), vorrebbe cercare di risolvere entrambe le problematiche: ampliando le rappresentazioni e non appiattendole nel maschile sovraesteso.

Contro chi? Contro cosa?

La breve petizione, pertanto, nasce da un moto di indignazione di fronte all’utilizzo di una soluzione sperimentale in un documento ufficiale, e cioè i verbali concorsuali citati prima. Nel momento, cioè, in cui un utilizzo di -ə prende spontaneamente piede nella vita quotidiana, mostrando da un lato i suoi limiti (l’utilizzo stesso di -ə nel verbale è confuso e poco sistematico), dall’altro certificando il riconoscimento del problema all’origine di questa nuova esigenza linguistica.

Eppure, in altri paesi il dibattito ha già coinvolto le comunicazioni ufficiali: in Germania, ad esempio, il Ministero della Giustizia ha di recente invitato gli uffici pubblici a utilizzare un linguaggio neutro nelle comunicazioni

Molte persone hanno criticato i toni poco costruttivi della petizione, che sembrerebbe piuttosto situarsi al di fuori del dibattito, negando o sminuendo il problema denunciato dalla minoranza interessata, con un atteggiamento spesso benaltrista.

La scrittrice Michela Murgia, per esempio, ha mosso la sua critica in maniera provocatoria, proponendo una petizione contro l’apericena.

A ironizzare sul dibattito anche l’autrice e sex columnist Carlotta Vagnoli: la schwa può uccidere la lingua italiana? Per Vagnoli decisamente no.

https://www.instagram.com/p/CZ1pNQ8NBQp/

La linguista Cristiana De Santis, invece, argomenta più dettagliatamente le sue perplessità sull’utilizzo della schwa nel suo articolo L’emancipazione grammaticale non passa per una e rovesciata, il quale sarà parte di uno speciale Treccani di prossima pubblicazione; anche per l'Accademia della Crusca la questione ha meritato una disamina dai toni critici, Un asterisco sul genere, curata dal linguista Paolo d’Achille. Questi interventi dialogano con altri: per esempio, il già citato articolo di Giordano e quello di Manera e Raimo apparso su Minima&Moralia, che analizza nel dettaglio i motivi che muovono la petizione.

I punti di vista e le opinioni sull’utilizzo della schwa sono diversi: non è la discussione ad essere dannosa, ma la banalizzazione di un tema così ampio e complesso

La discussione linguistica può portare molti frutti per riflettere e far vivere una lingua che – come afferma Vera Gheno – “dovrà essere sufficientemente ampia ed elastica per descrivere un altrettanto ampio ed elastico stato di cose”. Ma, aggiunge la linguista,

il litigio perenne, lo sberleffo, la presa in giro dell’avversario portano invece solo a inutili polarizzazioni nelle quali, alla fine, si perde di vista l’oggetto stesso del contendere

La lingua vive, viva la lingua

Insomma, nonostante l’ostilità nei confronti delle innovazioni linguistiche, l’utilizzo della schwa ha avuto il merito di avviare un dibattito e di attirare l’attenzione sulla questione, sottolineando una resistenza dell’accademia a rinunciare al proprio privilegio e a farsi carico del problema sociale segnalato attraverso la lingua; in più, si fatica ancora ad ammettere che la lingua che utilizziamo influenza la nostra percezione della realtà.

In alcuni casi la situazione si è polarizzata e, per questo motivo, chi cerca una soluzione per rendere la lingua più inclusiva automaticamente sosterebbe “il politicamente corretto” e distruggerebbe secoli di cultura minacciata dall’utilizzo della schwa.

La riscrittura ludica di A Silvia di Leopardi da parte di Gian Antonio Stella va interpretata secondo questo presupposto:

In questo contesto, secondo il filosofo e attivista Lorenzo Gasparrini la petizione sarebbe la prova di una situazione in cui la cultura italiana, da sempre deputata alla comprensione dei problemi di cambiamento culturale, ha smesso di confrontarsi con quello che succede:

https://www.instagram.com/tv/CZy1gwxjvsb/?utm_source=ig_web_copy_link

Prendendo in prestito le parole di Alessio Giordano,

È evidente che non si sia ancora riuscito a mostrare con sufficiente chiarezza che sempre più persone vivono quotidianamente il disagio, se non la frustrazione, di abitare una lingua che non offre loro la possibilità di parlare di sé

Tuttavia, quello che sta succedendo in altri paesi lascia intendere che la ricerca di soluzioni inclusive sarà centrale anche nei prossimi anni.

L’accademia, la scuola ed il mondo della cultura potranno preoccuparsi di difendere il diritto a esprimersi, a comprendere la lingua e usarla nel modo più ricco e creativo possibile

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