Gilda, il progetto siciliano che valorizza il talento femminile e forma le donne in campo digitale
Lo hanno chiamato Gilda in riferimento alle gilde, le antiche associazioni di mestieri che si erano diffuse in tutta Europa nel XII secolo, e l’obiettivo del progetto, nato in Sicilia, è proprio fare rete e formare e valorizzare il talento delle donne siciliane. Per farlo sono stati attivati tre percorsi formativi, che vogliono sviluppare competenze per creare figure specializzate nell’ambito di vendita digitale, multimedia marketing, crowdfunding e fundraising. Una versione 4.0 delle antiche botteghe, insomma.
«Il progetto Gilda è un'opportunità per le donne siciliane di accedere al mondo del lavoro attraverso l'acquisizione di competenze digitali certificate da enti terzi come Google - spiega Monica Guizzardi, Key Account Manager Gilda - Promosso dal Fondo per la Repubblica Digitale, in collaborazione con l'ITS Volta di Palermo, la Fondazione Hora e GUILDS42, si impegna a formare 120 donne siciliane e inserirne nel mercato del lavoro almeno 75. Attraverso una metodologia innovativa, che comprende gruppi di formazione e botteghe digitali, si caratterizza come un progetto di empowerment femminile, ma anche di certificazione e crescita professionale, offrendo alle partecipanti un trampolino verso il successo lavorativo».
Il progetto Gilda è sostenuto anche dalla società palermitana DigitalMakers, che in una regione dal tasso di occupazione femminile fermo al 30,5% ha deciso di investire sulle donne sia in modo diretto (il 56% dei dipendenti è donna) sia in modo indiretto, contribuendo alla formazione specifica. Si basa su una metodologia di intervento innovativa caratterizzata da gruppi di formazione e di preparazione al lavoro, le botteghe digitali, nelle quali le partecipanti operano sotto la guida di un mastro bottega-esperto del settore digital, prendendo parte a concreti progetti di lavoro.
L’iniziativa è rivolta alle donne siciliane, residenti sul territorio, che abbiano un'età compresa tra i 18 e i 50 anni, e punta anche a ridurre il divario di competenze digitali sul territorio siciliano, supportando giovani talentuose in ambiti come e-commerce, marketing digitale, crowdfunding e fundraising. Ne abbiamo parlato con Francesco Anzelmo, CEO di DigitalMakers.
Anzelmo, in cosa consiste il progetto Gilda e da dove arriva la decisione di sostenerlo?
Il progetto è un'opportunità per le donne siciliane di accedere al mondo del lavoro attraverso l'acquisizione di competenze digitali certificate da enti terzi come Google. Promosso dal Fondo per la Repubblica Digitale, in collaborazione con l'ITS Volta di Palermo, la Fondazione Hora e GUILDS42, si caratterizza come un progetto di empowerment femminile, ma anche di certificazione e crescita professionale, offrendo alle partecipanti un trampolino verso il successo lavorativo.
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DigitalMakers è tra le imprese ambassador del progetto. Abbiamo deciso di sostenerlo in quanto ci impegniamo ogni giorno per la promozione della gender equality in ambito lavorativo e per la valorizzazione del talento femminile. Tra le azioni concrete che abbiamo adottato in azienda a favore della parità di genere ci sono per esempio remunerazioni equiparate tra i sessi, una policy di lavoro incentrata sul lavoro da remoto, il supporto alla maternità e paternità con l’offerta della settimana lavorativa corta ai genitori e, infine, la fornitura di assorbenti gratuita in ufficio.
Digital Transormation è oggi un'espressione chiave per affacciarsi e affermarsi sul mercato del lavoro.
È un processo ormai non solo inevitabile, ma anche irreversibile. Non esiste impresa, pubblica amministrazione o singolo cittadino che, soprattutto a seguito dello scoppio della pandemia, non ne sia stato toccato: la digitalizzazione ha cambiato le nostre abitudini, il nostro modo di fare business, la nostra vita in generale. Le competenze digitali, perlomeno quelle di base, sono diventate un requisito indispensabile: ordinare la spesa online o fare acquisti su piattaforme e-commerce è ormai una prassi consolidata e non solo per le generazioni più giovani. Il digitale, di conseguenza, è diventato un canale indispensabile per il mondo del commercio, trasformando radicalmente la natura delle transazioni commerciali e offrendo nuove possibilità di crescita e creazione di valore.
Quali sono i principali campi d’applicazione delle competenze digitali nel mondo del commercio?
I campi di applicazione sono molteplici e, per citarne alcuni, vanno dalla costruzione dell’ecosistema digitale del brand - ovvero la gestione sinergica e integrata di tutti i touchpoint online di un’azienda (sito, app, ecommerce, canali social) al Data Analysis, necessario per prendere decisioni informate per ottimizzare le strategie di vendita e marketing, al CRM (Customer Relationship Management) fondamentale per gestire i contatti dei clienti, automatizzare le comunicazioni, monitorare le interazioni e personalizzare le esperienze di vendita. Le tecnologie digitali possono, infine, avere un profondo impatto anche sull’efficientamento dei processi aziendali. Basti pensare agli enormi vantaggi che sta apportando l’Intelligenza Artificiale in ambiti come il supporto clienti, grazie a chatbot e assistenti virtuali; la personalizzazione dei prodotti e servizi o l’automazione dei task più ripetitivi, che consentono ai dipendenti di concentrarsi sulle attività a maggiore valore aggiunto.
Come facilitare la transizione al digitale degli antichi mestieri?
VEDI ANCHE CultureRoberta Ligossi: “L’artigianato? è giovane e cool e ve lo faccio scoprire su TA-DAAN”Anche per il mondo dell’artigianato e degli antichi mestieri la transizione digitale non è più un optional, ma un obbligo per continuare a produrre e crescere. Intraprendere le nuove sfide legate all’innovazione non significa, per l’artigiano, rinunciare al proprio dna: al contrario i punti di forza degli antichi mestieri (qualità, manualità, personalizzazione, unicità) grazie al digitale possono essere valorizzati e amplificati su una scala molto più ampia rispetto alla dimensione territoriale cui l’impresa artigiana è intrinsecamente legata.
Per facilitare la transizione al digitale di questi antichi mestieri ritengo che occorra un approccio olistico e collaborativo, che coinvolga, oltre alle imprese artigiane, le istituzioni, gli enti di formazione, le associazioni di settore e, naturalmente, consulenti e agenzie digital che possano accompagnare l’imprenditore in questo processo di trasformazione. Per una piena maturazione digitale di queste professionalità occorre investire, infatti, in programmi di formazione e aggiornamento delle competenze necessarie per utilizzare le nuove tecnologie e integrarle nel loro lavoro quotidiano; ma prima ancora bisognerebbe promuovere una cultura del digitale attraverso campagne e iniziative di educazione sul tema. Per esempio, di recente, ho preso parte a FormerAI, evento formativo sul tema dell’intelligenza artificiale a supporto della crescita delle imprese artigianali organizzata da CNA Sicilia. Credo che iniziative come queste, intraprese dalle associazioni di settore con la collaborazione di esperti del territorio, possano aiutare ad aumentare la consapevolezza intorno all’importanza della digitalizzazione, oltre a favorire lo scambio di conoscenze e best practice tra artigiani che hanno già adottato con successo le tecnologie digitali e coloro che sono ancora in fase di transizione.
Come DigitalMakers spingete molto sul concetto di remote working. In Italia c’è ancora la concezione che il lavoro in presenza sia l’unico modo per svolgere al meglio i propri compiti...
Il remote working è stata la principale modalità di lavoro dalla nascita di DigitalMakers, avvenuta nel 2018, quindi ancora prima della pandemia. Personalmente ritengo che il contributo al lavoro delle persone non dipenda dalla loro presenza fisica in ufficio, al contrario, quello di cui mi sono reso conto è che la produttività da remoto aumenta, grazie alla maggiore concentrazione di cui, in buona parte dei casi, si gode da casa e grazie a un miglior work-life balance: è scontato affermare che le persone serene, che hanno più tempo a disposizione per la loro vita privata, lavorano meglio. Questa scelta ci ha permesso, inoltre, di attingere da un bacino di talenti esteso in tutta Italia, senza quindi alcun tipo di limitazione geografica. Al tempo stesso, e potrebbe sembrare un paradosso, da inizio 2023 abbiamo cambiato sede trasferendoci in uno studio di oltre 800mq al 16° di un attico di Palermo con vista porto. La scelta di mantenere una sede fisica e di investire su una struttura anche esteticamente d’impatto è dovuta alla volontà di vivere l’ufficio come uno spazio confortevole in cui poter continuare ad incontrarsi, confrontarsi e coltivare i rapporti umani tra colleghi.
Penso, quindi, che, al giorno d’oggi, offrire modalità di lavoro flessibili sia diventato un passaggio obbligatorio per aziende che vogliono rimanere competitive nel proprio settore e che puntano ad attrarre risorse di talento. Gli imprenditori “vecchio stampo” che impongono la presenza in ufficio per intera o buona parte della settimana dovrebbero acquisire consapevolezza del fatto che la cultura del controllo tende a demotivare le persone e la perdita di motivazione e fiducia sono tra i peggiori nemici della produttività, oltre ad aumentare i tassi di turnover.
Che cosa si può fare, in concreto, per scardinare questa concezione?
Innanzitutto essere disposti e mettere in discussione la propria cultura organizzativa e incentrarla intorno ai valori della fiducia, della collaborazione e dell’orientamento agli obiettivi, piuttosto che sul tempo trascorso in ufficio. Un secondo passo è l’adozione di indicatori chiave di prestazione (KPI) che consentano di misurare gli output dei dipendenti, indipendentemente da dove lavorano: per un social media manager, per esempio, un KPI potrebbe essere il numero di follower acquisiti e il livello di engagement raggiunto delle pagine che gestisce, per un sales manager il numero di contratti conclusi e di nuovi clienti acquisiti e così via. Infine, sembrerà banale, occorre assicurarsi di avere la squadra giusta: sono necessarie le persone, non solo con le giuste competenze tecniche, ma anche con alti livelli di ownership e leadership, per guidare le risorse verso il successo e favorire un ambiente in cui i collaboratori sono motivati a lavorare per obiettivi. Il consiglio che vorrei dare, in definitiva, è “controllare di meno e abilitare all’azione di più”.