Sessismo ambivalente: come riconoscerlo e non romanticizzarlo

Il sessismo, tradizionalmente, viene identificato secondo la definizione che ne fornisce la linguista femminista Deborah Cameron, ovvero «un atteggiamento pregiudiziale o un comportamento discriminatorio, basato sulla credenza che le donne siano inferiori agli uomini». Alla sua forma esplicita, se ne affianca un’altra più sottile: il sessismo ambivalente.

All’apparenza benevolo e innocuo, è in realtà mascherato, difficile da interpretare come paternalismo anche dalle donne stesse: perpetua la gerarchia di genere e sostiene il sistema ideologico basato sulla complementarietà, che relega le donne nei ruoli tradizionali e indebolisce le resistenze femminili.

Che cos’è il sessismo ambivalente

Negli ultimi decenni, il quadro teorico e concettuale della ricerca sul pregiudizio si è arricchito di nuovi modelli teorici e, la concezione classica del pregiudizio come sentimento negativo di aperta antipatia verso gruppi estranei, è stata affiancata da teorizzazioni su forme più sottili e nascoste assunte dal fenomeno nelle società contemporanee: il sessismo ne costituisce l’esempio più lampante, in cui tale complessità è particolarmente evidente.

La relazione tra uomini e donne, in quanto gruppi sociali, è infatti unica: non esistono altri gruppi la cui interdipendenza è caratterizzata da storiche differenze di potere, correlate a un così stretto grado di intimità fisica e psicologica. È proprio questa distintiva combinazione, in cui gli uomini controllano in misura prevalente le strutture sociali, politiche ed economiche, ma le donne godono di un potere rilevante all’interno delle relazioni interpersonali, a rendere così pervasiva l’ambivalenza nei rapporti di genere.

Per analizzare gli atteggiamenti verso uomini e donne e metterne in luce l’ambivalenza, la psicologa Susan Glick e lo psicologo Peter Fiske -  già nel 1996 – hanno messo a punto due scale di misurazione, ancora oggi straordinariamente attuali: il questionario di sessismo ambivalente, che misura atteggiamenti di sessismo ostile e benevolo, e il questionario di ambivalenza nei confronti degli uomini, che misura atteggiamenti di ostilità e benevolenza verso gli uomini.

Entrambe le scale sono state formulate tenendo conto dei tre ambiti che, secondo gli studi, sottendono le relazioni di genere: il predominio maschile, che si esprime nella struttura patriarcale dei rapporti sociali, la differenziazione di genere e l’eterosessualità

In particolare, secondo le ricerche di Glick e Fiske, l’ambivalenza del paternalismo si esprime attraverso due componenti: una ostile e una benevola. La prima, il paternalismo dominante, è basata sulla credenza che sia giusto che gli uomini abbiano più potere delle donne e sul corrispondente timore che le donne possano usurpare tale potere. Il paternalismo protettivo, invece, è basato sulla credenza che gli uomini abbiano il compito di proteggere le donne e di provvedere al loro benessere: da qui, il sessismo benevolo.

I questionari, somministrati a uomini e donne di Paesi diversi, hanno evidenziato risultati comuni: tra questi, la tendenza generale, per le donne, di rifiutare il sessismo ostile, ma di accettare, soprattutto nelle situazioni caratterizzate da maggior disparità tra i generi, un certo livello di sessismo benevolo.

Perché questo accade? A causa della proprietà distintiva del sessismo benevolo: presentarsi come un atteggiamento soggettivamente positivo, che comprende sentimenti di protezione e affetto, ma che in realtà è controllante e paternalistico verso le donne, apprezzate e valorizzate soltanto se permangono in ruoli tradizionali, subordinate agli uomini. 

Se «una moglie non dovrebbe avere più successo nella sua carriera di quello che ottiene suo marito» è una frase-esempio di sessismo ostile, «ogni donna dovrebbe avere un uomo che l'aiuti nei momenti difficili» è un’espressione ricorrente e calzante di sessismo benevolo: entrambe le forme, servono a giustificare e mantenere nel tempo il patriarcato e i ruoli di genere tradizionali.

Premiando le donne quando si conformano allo status quo patriarcale, anche il sessismo benevolo – oltre a quello ostile - danneggia la parità di genere.

Come riconoscere il sessismo, benevolo e non

Dalle relazioni personali, ai luoghi fisici – di lavoro e socialità – sino al linguaggio e alle sue declinazioni: il sessimo, in tutte le sue forme, è pervasivo e capillare. La presunta superiorità delle donne, esalata dal sessismo benevolo, è il primo segnale per riconoscerne la tossicità: l’ostentata esaltazione delle straordinarie capacità delle donne, altro non è che un tentativo di controllarle e relegarle al posto che la società androcentrica e patriarcale ha scelto per loro.

All’esaltazione, segue l’offerta di aiuto e protezione: le donne intese come categoria a sé, da tutelare in quanto tali. Il rischio intrinseco, nel promuovere un’immagine femminile limitata a quella di un essere da proteggere e aiutare, risiede nell’interiorizzazione di un’idea di sé debole, che trasmette dubbi sulle proprie competenze e capacità e può portare a realizzare performance inferiori alle possibilità: «sei proprio sicura di riuscire a farlo?».
Come scrive Giulia Blasi in Manuale per ragazze rivoluzionarie (Rizzoli, 2018):

il sessismo benevolo offre alle oppresse un motivo di rallegrarsi della propria oppressione: data una situazione di sudditanza, emarginazione o limitazione, rovesciarla per farla sembrare un privilegio

Ad esempio, Blasi cita una stima dell’ispettorato del Lavoro relativa al 2016 e coerente allo scenario attuale: circa 30.000 donne hanno abbandonato il lavoro per l’impossibilità di conciliare famiglia e impiego. Lo stesso è avvenuto durante il picco dell’emergenza pandemica ma, per il sessismo benevolo, «questo è un sacrificio minuscolo di fronte alle gioie della maternità e una prova di quanto le donne siano umanamente migliori e meglio attrezzate per accogliere la vita e prendersi cura dei loro piccoli. La mamma è sempre la mamma».

Un altro metodo ricorrente utilizzato dal sessismo benevolo è quello di lodare le donne per la loro sofferenza - badare alla casa, ai bambini, sopportare la fatica domestica – in nome del mito del multitasking: le donne sarebbero capaci di fare più cose contemporaneamente, mentre gli uomini no. Per questo, è a loro che tocca il carico mentale.

Sessismo benevolo: i tentativi di renderlo romantico

Nelle relazioni affettive e nell’approccio al sesso, il sessismo benevolo cresce e solidifica le sue radici: secoli di repressione della sessualità femminile hanno creato l’idea di una donna naturalmente portata alle emozioni, al trasporto, alla relazione, al desiderio univoco di famiglia e matrimonio.

Creature angeliche in grado di dominare istinti e desideri, capaci di assecondare l’istinto maschile che – per definizione – sarebbe irrefrenabile e più elementare: questo quadro - distorto - viene ribaltato in positivo facendo credere alle donne che siano loro quelle più evolute e capaci di controllarsi. Perciò, le donne che non lo sono, vengono denigrate e guardate con sospetto.

Gli uomini, invece, vengono deresponsabilizzati: se si alimenta l’idea che le donne siano migliori, pure e pulite, si accetta anche che gli uomini siano peggiori e «predatori per natura»

Il sessismo benevolo, fuori e dentro le relazioni, toglie alle donne la loro umanità e, come scrive Blasi, «il loro diritto alle emozioni negative sposta la loro esperienza su un piano di alterità, di differenza, di seperazione dal mondo, ma anche dai diritti di base»: per questo, riconsocerlo è il primo passo per liberarsene.

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