Social freezing, perché non è solo una “tendenza” e quanto è realmente accessibile
Più conosciuta all’estero e meno in Italia, la pratica del social freezing è stata recentemente messa in risalto dalla modella Bianca Balti che ha annunciato sui social media di voler regalare alla figlia, all’età di 21 anni, la possibilità di crioconservare i suoi ovociti.
Già nel 2022 la modella aveva fatto sapere di aver fatto ricorso al social freezing per una delle sue due gravidanze, sottolineando che ogni donna deve essere del tutto libera di scegliere quando diventare madre. «Questo percorso ha rappresentato, per me, svincolare il mio sogno di maternità da un uomo e da una relazione. È stata la cosa più coraggiosa che abbia mai avuto il coraggio di fare per me stessa. Se non troverò il partner giusto lo farò da sola», aveva detto allora.
Un diritto che dovrebbe essere alla portata di tutte, soprattutto nel contesto demografico attuale caratterizzato da una natalità sempre più bassa e dall’aumento dell’età media in cui si diventa madri: se le donne sono ancora costrette a dover scegliere tra la carriera e la famiglia – pagando il prezzo di penalizzazioni concrete in entrambi i casi – diventa più difficile mettersi in ascolto dei propri desideri. Maternità compresa. Spesso, non se ne ha il tempo. Oltre a una scelta di autodeterminazione, il social freezing è assolutamente necessario in caso di problemi di salute che, senza il ricorso a questa pratica, potrebbero inficiare un’eventuale gravidanza o decretare la perdita stessa degli ovociti.
Una situazione che, come ha sottolineato la stessa Bianca Balti, limita la libertà delle donne: «Sarebbe fantastico se fosse gratuito per tutte» ha aggiunto la modella italiana nella diretta Instagram
In cosa consiste il “social freezing” e in cosa differisce rispetto al “medical freezing”
La crioconservazione o “social freezing” è un’alternativa alla fecondazione assistita. Serve a ridurre i rischi di infertilità legati all’età delle donne oppure per posticipare la gravidanza. La tecnica consiste nel prelevare gli ovociti dalla donna e congelarli per utilizzarli in seguito.
Il “medical freezing”, invece, si differenzia dal “social freezing” perché viene utilizzato per conservare gli ovociti di pazienti che devono affrontare terapie che possono compromettere la loro fertilità
In questi casi la crioconservazione consente non solo di non mettere a rischio la gravidanza, ma anche di conservare in buono stato di salute gli ovociti che altrimenti sarebbero gravemente danneggiati dopo le terapie.
Dopo una serie di accertamenti, viene eseguita una stimolazione ormonale per favorire la produzione di ovociti, seguita dal prelievo e dalla crioconservazione. Gli ovociti vengono conservati a basse temperature fino al momento della fecondazione e del trasferimento nell’utero. La qualità degli ovociti può rimanere intatta per molto tempo, anche oltre 15 anni: nonostante la possibilità di crioconservare gli ovociti, secondo la letteratura scientifica è consigliabile effettuare il prelievo prima dei 30 anni e il reimpianto non oltre i 35 anni per aumentare le probabilità di successo.
Nel 2012 l’American Society of Reproductive Medicine (Asrm) ha reso accessibile la crioconservazione alle pazienti oncologiche, dando loro l’opportunità di progettare una gravidanza dopo le cure antitumorali che mettono a serio rischio la gravidanza
Qualche anno dopo, nel 2014, l’Asrm ha dato il via alla libera crioconservazione degli ovociti per tutte le donne americane. Da allora la gravidanza tramite crioconservazione è diventata una scelta sempre più gettonata. In particolare, uno studio condotto dalla rivista Fertility e Sterility riporta che, tra lockdown e restrizioni, circa un terzo delle donne americane ha cambiato i propri piani riguardo la gravidanza e ha iniziato a considerare l’ipotesi di ricorrere a trattamenti di riproduzione assistita. In Italia, invece, le statistiche ufficiali sono ancora limitate e la procedura non è accessibile attraverso il Servizio Sanitario Nazionale se non per motivi oncologici.
Social freezing, i motivi per cui è una scelta sempre più “gettonata”
La diffusione del social freezing va inquadrata nel contesto demografico attuale, in cui la libera scelta della maternità è fortemente vincolata da pressioni sociali e professionali che influenzano la vita delle donne.
Le donne devono ancora scegliere tra vita e lavoro, soprattutto perché il lavoro domestico è diviso ancora iniquamente e “madre” e “lavoratrice” continua a essere un aut aut
L’ultimo rapporto Istat sul lavoro e la conciliazione dei tempi di vita, ad esempio, evidenzia che l’indice di asimmetria nel lavoro familiare – che misura per le donne in coppia di età compresa tra i 25 e i 44 anni quanta parte del tempo dedicato al lavoro domestico da entrambi i partner occupati è svolto dalle donne – è pari al 61,8% nel 2021/2022.
L’impegno per la cura dei figli è solo per il 38,2% sulle spalle dei papà: gli uomini si occupano maggiormente della cura dei minori rispetto agli anni passati, ma le mansioni più complicate sono (ancora) svolte principalmente dalle donne. Una prospettiva certamente non rosea nella libera scelta della maternità senza rinunce lavorative.
Inoltre il rapporto Istat mette nero su bianco il gap occupazionale tra le donne di 25-49 anni con figli piccoli (0-5 anni) e le donne della stessa fascia di età ma senza figli: le prime hanno registrato un’occupazione del 55,5% contro il 76,6% delle donne senza figli. Si tratta di un divario importante, ancora più accentuato al Sud, che impone degli interventi strutturali.
Questo spiega gli indicatori demografici per l’anno 2023, pubblicati dall’Istat, che confermano il calo demografico in corso da anni e che l’anno scorso ha accelerato. Secondo i dati provvisori, i nati residenti in Italia sono stati 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (6,7 nel 2022). La diminuzione di nascite rispetto al 2022 è di 14 mila unità (-3,6%). Dunque i dati suggeriscono che, pur ipotizzando di desiderarli, per molte donne mancano le condizioni per mettere al mondo dei figli. E, anche quando le condizioni possono diventare più o meno “proficue” – la stabilizzazione lavorativa, ad esempio, arriva sempre più tardi – potrebbero “non essere in tempo”.
Per questo il social freezing non è una “tendenza”, ma quasi sempre una necessità dettata dai tempi ma soprattutto dalla rivendicazione di scegliere secondo i propri tempi
Una pratica realmente accessibile a tutte?
VEDI ANCHE LifestyleIl gender gap nella vita quotidiana, dal carico mentale alla sessualitàScegliere il proprio ed eventuale futuro genitoriale, in un contesto dove il tempo biologico e le pressioni sociali entrano in conflitto, è uno degli obiettivi a cui il social freezing risponde. Il suo costo, però, non lo rende accessibile a tutte e di fatto diventa una pratica esclusiva: come riporta Corriere, solo in Toscana, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e provincia di Trento (per le residenti) le strutture sanitarie pubbliche danno questa opportunità dietro pagamento.
Il prezzo va da 1.800 euro in Valle d’Aosta (più 450 per il congelamento del primo anno e 100 dal secondo) a 1.400 più il valore dei farmaci in Toscana (inclusa la conservazione fino a 40 anni) e in Trentino (100 euro per ogni anno di conservazione) e tra 1.500 e 2mila in Friuli (più 230 euro ogni 3 anni per il mantenimento).
In linea generale, il costo del social freezing può variare in funzione del centro a cui ci si rivolge: il prezzo dell'intera procedura - compresi esami e analisi preliminari, stimolazione ovarica e successivi controlli, quindi prelievo degli ovociti - può arrivare a raggiungere i 4.000 euro circa. A questi si devono poi sommare le quote annuali che dovranno essere versate per la conservazione degli ovuli congelati all'interno della criobanca. Una barriera d’accesso che rende non libera una scelta di libertà e che apre riflessioni più profonde su quanto “l’autodeterminazione” di una donna non sia necessariamente la possibilità di autodeterminazione di tutte.