Questo corpo: perché la soluzione alla prova costume non è amarsi, ma liberarsi
Cos’è la prova costume
La prova costume è l’idea per cui durante l’estate si dovrebbe mostrare un corpo più conforme possibile allo standard di bellezza, che è il risultato della preparazione a quello standard durante i mesi invernali. Secondo questa narrazione, gli sforzi fatti durante l’anno con diete e palestra dovrebbero ripagarci con un fisico magro e tonico da sfoggiare con il caldo: se siamo statə pigrə e non ci siamo preparatə per tempo, veniamo invitatə, per tutti i mesi che precedono l’estate, a correre ai ripari per rimediare alla nostra indolenza.
A reggere l’impalcatura della prova costume è la cosiddetta diet culture, cioè l’insieme di credenze e valori che pongono l’attenzione sulla ricerca di uno stile di vita salutare, che avrebbe come conseguenza la bellezza
Un corpo conforme all’ideale di bellezza è un corpo sano? L’equivalenza non regge, soprattutto perché è la bellezza l’ideale perseguito a tutti i costi, non la salute.
Ecco spiegate diete lampo, allenamenti pesantissimi, o, al contrario, esercizi evitati per la paura di ingrossarsi, intere macrocategorie di nutrienti eliminate dalla propria alimentazione nel tentativo di perdere peso e raggiungere una determinata forma fisica.
Un solo ideale a fronte di tantissimi corpi, che condanna qualunque corpo non conforme, compresi quelli troppo magri
In più, la grassofobia radicata nella nostra società cela un giudizio morale, e ha contribuito a diffondere il medical fat bias:
le persone grasse, infatti, sono sottoposte a visite più brevi, sbrigative, a diagnosi poco accurate e grossolane oscurate dal generico consiglio di perdere peso, quest’ultimo considerato come causa primaria di qualunque altro sintomo.
Tantissime persone evitano di sottoporsi a visite mediche per evitare il giudizio sui loro corpi, e quelle che non rinunciano sono magari costrette a consultare più di unə specialista per ricevere una diagnosi accurata e non incorrere in ulteriori rischi per la salute.
Del resto, a guidare le diete lampo e altre pratiche pericolose c'è la cultura grassofobica e lo stigma nei confronti dei corpi non conformi. Non dobbiamo perdere chili, o “metterli sui punti giusti”, ma liberarci dal pregiudizio nei confronti dei corpi, dal disprezzo, dalla commiserazione.
Un monitoraggio continuo
La prova costume ha così successo perché noi per primə ci mettiamo alla prova: si tratta di un monitoraggio costante a cui sottoponiamo il nostro aspetto – ogni 30 secondi circa – ogni volta che ci chiediamo come verrà percepito dall’esterno. Lo facciamo nelle situazioni più disparate e soprattutto quelle in cui il nostro corpo è più esposto: durante il sesso e, ovviamente, in spiaggia.
Un giudizio ininterrotto che alimenta i processi di oggettivazione e auto-oggettivazione.
Oggettivando una persona non la consideriamo più nella sua totalità, ma come se fosse un corpo o, a volte, parte di esso. Nel caso delle persone socializzate come donne, l’oggettivazione è anche rivolta a noi stesse: fin da piccole, infatti, interiorizziamo questo tipo di sguardo, abituate all’idea di essere costantemente sottoposte all’osservazione e alla valutazione altrui.
Ovviamente, sottoponendo a continua sorveglianza il proprio corpo, aumenta anche l’ansia, e di conseguenza la vergogna se non si rispecchia uno standard di bellezza
La bellezza è, per questo tipo di sguardo interiorizzato, un valore e una responsabilità: il suo mancato raggiungimento è senza dubbio una colpa.
Possiamo evitare di amarci per forza?
Possiamo lentamente cambiare i termini in cui pensiamo al nostro corpo. Se riuscissimo a osservarlo da una prospettiva diversa rispetto a quella di un corpo che appare, che occupa spazio, che assume una forma, se, cioè, non lasciassimo che a determinare il nostro valore sia il nostro aspetto, riusciremmo a vedere il nostro come un corpo che fa, come il potente strumento che ci consente di compiere azioni sorprendenti e che, quindi, ci fa stare bene.
Non abbiamo il dovere di essere bellə; il diritto di stare bene sì, però
Proprio nel tentativo di cambiare prospettiva, si sente spesso parlare di necessità di amare i nostri corpi.
È il trabocchetto del self love: abbiamo odiato il nostro corpo perché non era abbastanza bello, e il rischio e di finire a odiare noi stessə perché non riusciamo ad amarlo
Quando cerchiamo di amare persino le cose che non ci piacciono, infatti, non operiamo alcuno spostamento del focus dal corpo e da come appare. Al contrario, potremmo sentirci frustratə dal non riuscire a performare questa ennesima istanza di controllo e a convincerci di rispecchiare comunque un certo ideale di bellezza nonostante il nostro corpo non sia conforme all’unico ideale proposto. Come si vede, la bellezza continua ad essere la cosa più importante.
Bodypositivity e bodyacceptance: cosa sono
Il vero obiettivo non è quello di rendere la bellezza democratica, quanto di intaccarne il valore. È quello che cerca di fare il movimento sociale per la bodypositivity, che contesta gli standard di bellezza e li considera niente più che un costrutto sociale.
Il movimento per la bodypositivity e la fatacceptance non si rivolge esclusivamente al singolo; il suo fine ultimo non è la nostra autostima, del resto, ma la liberazione dallo stigma sui corpi non conformi
Liberazione vuol dire anche abbandonare il (falso) mito della salute, per evitare di applicare un criterio abilista e un giudizio morale nei confronti delle persone con corpi non conformi, che diventano colpevoli di non adempiere al dovere di modificare la loro situazione.
Quello che possiamo fare, invece, è riconoscere i meccanismi di oggettivazione per cercare di invertirli: ogni volta che facciamo un commento su come appare un corpo, che sia positivo o negativo, ricordiamo a noi e a chi ci ascolta che siamo sotto osservazione. Evitarlo, invece, ci abitua a smetterla di esaminarci, e considerarci invece sotto prospettive diverse.