Tabù House, il progetto che racconta il rapporto tra società e corpo

Tabù House, ovvero la casa dei tabù: il punto di partenza del progetto curato da un gruppo di studentesse del corso Event Management dello IED di Roma è la percezione che si ha del proprio corpo e della propria sessualità. Sia in relazione con se stessi che con gli altri. Articolato come un percorso narrativo, Tabù House si rivolge alle nuove generazioni per riflettere e dialogare, in modo ironico e divertente, sui tabù sessuali

Viviamo in una società apparentemente priva di inibizioni e pregiudizi nei confronti della sessualità. Ma quantə giovani effettivamente vivono senza tabù? Quantə di loro sono veramente informatə e consapevolə?

Tabù House è un percorso narrativo che parte dal concetto di corpo come casa. Tutto è partito da un processo di brainstorming, il tema era generale: la sessualità. A spiegare a The Wom la struttura del percorso è Fatima Aatar, responsabile dell’ufficio stampa del progetto e tra le organizzatrici del correlato evento che ha avuto luogo a palazzo Velli a Roma lo scorso mese.

L’idea e la struttura di Tabù House

Come racconta Aatar, «Ci siamo resi conto che in questo periodo storico da un lato si parla molto di sessualità, dall'altro lato però abbiamo ancora dei retaggi patriarcali di una sessualità vista in un certo modo. Quindi non si parla di educazione sessuale, non si parla di educazione all'affettività. Partendo da questo presupposto abbiamo capito che sulla sessualità ci sono ancora dei tabù: dal tabù delle mestruazioni a quello dell'utilizzo del preservativo fino della salute sessuale. Poi è nata l'idea di una casa».

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La casa è un luogo familiare in cui ci si sente al sicuro, dove si può essere se stessi e liberi da ogni giudizio, ma allo stesso tempo il luogo della prima educazione che inevitabilmente influisce nella costruzione di determinati modi di vedere il mondo e dove si radicano i pregiudizi.

La casa è luogo fisico dove nascono i tabù, dove riceviamo la nostra prima educazione, e quindi dove vengono o non vengono instillati i tabù; dipende da che tipo di educazione riceviamo ma anche dal modo in cui viviamo il nostro corpo, la nostra sessualità e intimità

Così unendo il concept del tabù e quello della casa nasce l’idea di dividere la casa dei tabù in diverse stanze. Qui entra in scena Nicoletta Landi, antropologa, ricercatrice e formatrice su temi legati all’educazione e salute sessuale. Landi ha preso parte al progetto come consulente scientifica e afferma:

L’obiettivo non era abbattere i tabù, ma metterli in scena, farli abitare, farli esplorare da parte del pubblico in modo che potessero riflettere e metterli in discussione

Il progetto prende forma: le tre stanze di Tabù House

«Abbiamo delineato gli argomenti tabù: le mestruazioni, l'utilizzo del preservativo, la salute sessuale, il piacere, i sex toys e abbiamo creato un percorso», dice Fatima Aatar. Poi continua: «dai tabù sulla percezione del nostro corpo, quindi quelli che riguardano l'anatomia del nostro corpo, siamo passati ai tabù che invece riguardano la nostra mente, quindi il piacere e infine i tabù che riguardano la nostra relazione con altri corpi. Poi sono arrivate le stanze, ciascuna stanza della nostra casa rappresenta qualcosa». Nicoletta Landi aggiunge:

Hanno voluto mettere insieme due aspetti: un evento fruibile, artistico, divertente, ma anche un obiettivo più alto quello di promuovere una cultura del consenso e della sessualità consapevole

Fatima Aatar con il suo racconto ci porta direttamente dentro la casa: il bagno è la prima stanza, «rappresenta la conoscenza del nostro corpo perché è il luogo dove siamo la maggior parte del tempo nudi, dove ci osserviamo. Qui il tabù delle mestruazioni».

La stanza successiva è la camera da letto collegata al piacere, «dove viviamo, non solo l'atto sessuale, ma anche la masturbazione, dove conosciamo noi stessi. L’idea della stanza da letto rimanda a una concezione intima, lì dormiamo e riflettiamo».

Il percorso si conclude con la living room, quindi cucina e salone. «Sono le stanze dove viviamo la convivialità, dove viviamo la relazione con le altre persone e quindi l'abbiamo collegata ai tabù delle relazioni con la società e con gli altri. Qui prendono vita i concetti di mascolinità tossica, consenso, il consenso sotto stato di alterazione, il consenso digitale e il sexting».

Tabù House, un progetto corale

Attraverso linguaggi artistici e audiovisivi, diverse professionalità hanno collaborato nella realizzazione del progetto.

Partendo da Oriana Schiavone, graphic designer, che si è occupata della creazione di un’identità visuale con logo, banner e illustrazioni che come spiega «erano presenti nelle diverse stanze e affiancavano le spiegazioni relative ai tabù rappresentati all'interno delle varie stanze».

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La prima tappa ha visto protagonista il lavoro di Rita Castiello, artista e pittrice: «il mio tema erano le mestruazioni». Spiegando il suo percorso creativo la pittrice afferma: «partendo dal concetto e dalla figura della donna in generale, sono poi passata a una ricostruzione storica per capire, anche, come veniva visto nell'antichità questo tabù». La sessione di livepainting di Rita Castiello dialogava sia con gli allestimenti che ricreavano un vero e proprio bagno con la tecnica dell’home staging (che consiste nella ricostruiscono dei mobili in cartone, ma con una resa realistica) sia con un’installazione di assorbenti ecosostenibili «in cui con dei fiori di vari colori del flusso mestruale, rappresentavano la diversità del flusso mestruale».

La scoperta del piacere è la chiave della camera da letto. Qui una performance di ballo coreografata da Valerio Ceccarelli ed eseguita dalla danzatrice Caterina Cianchetta ha rappresentato l’autoerotismo. «Era fondamentale affrontare questo tema senza nessun tipo di pregiudizio, restituendo un'immagine, un'estetica il più elegante possibile. Il tema non doveva essere esagerato. Questo è stato complesso», ammette Valerio Ceccarelli.

La complicità tra coreografo e danzatrice  è stata tangibile nella resa della performance che come spiegano all’unisono era «una combinazione di danza e teatro riproposta in loop per tutta la durata dell’evento». Infatti, la danzatrice era l’abitante della stanza e incurante del pubblico era ora impegnata nello svolgere una normale routine quotidiana. Poi metteva in scena una lotta con un pigiama che «rappresentava appunto tutto ciò che la società tende a coprire». La lotta con questo pigiama subentrava dopo la parte di performance legata al piacere e alla scoperta della propria sessualità e intimità.

Stefano Riggi, fondatore e direttore creativo di Bonfire - Storytelling Agency, ha partecipato a Tabù House supportando la costruzione dell'ambiente sonoro per alcuni allestimenti, «i suoni si sono sviluppati come fossero i suoni di una casa e accompagnati da suoni più musicali che fossero molto simili di stanza in stanza per permettere alle persone di entrare in un ambiente che non fosse solo visivo», spiega Stefano Riggi. Inoltre, Riggi ha creato una delle installazioni dell’ultima stanza, la living room, dedicata al corpo in relazione all’alterità.

Un video scritto e montato da Stefano Riggi ha portato al centro il tema della mascolinità tossica. Il soggetto è una lettera scritta da un ragazzo di 28 anni che in passato ha donato il suo sperma e si ritrova a chiedersi chi sarà questa vita che verrà messa al mondo attraverso la sua donazione. Accanto a un'installazione, nella cucina si cercava di fare il punto sulla necessità di una cultura del consenso: qui il pubblico interagisce con “gli ingredienti” del sexting sicuro.

Il pubblico come fruitore attivo

«Mi sono sentito parte dell’evento», dice Stefano Pellegrini, uno tra i circa 470 spettatori che hanno visitato Tabù House. Grazie alla commistione di diversi linguaggi è stato possibile per le eprsone diventare parte integrante e co-autori dell’evento, attraverso un’esperienza che fa nascere domande, fa riflettere e può mettere in discussione idee e preconcetti.

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