Terapie di conversione per non eterosessuali: la Francia introduce il reato. E in Italia?
Un «segnale forte» per dimostrare che «condanniamo formalmente tutti coloro che considerano la non eterosessualità e il cambiamento di sesso o di genere una malattia»: così Laurence Vanceunebrock, deputata di La République en Marche, il partito del presidente Emmanuel Macron, ha commentato quello che per la comunità LGBTQ+ francese (e non solo) è un avvenimento fondamentale. E cioè l’approvazione in via definitiva di una legge che vieta le cosiddette “terapie di conversione”, ovvero le
pratiche che pretendono di “curare” l’orientamento sessuale delle persone non eterosessuali, bisessuali o transgender convertendole, appunto, in eterosessuali. Come? Con sedicenti sedute psicologiche o “terapie d’urto”, e in alcuni casi persino con ipnosi, elettrochoc e vere e proprie violenze
Il parlamento ha approvato la nuova legge il 25 gennaio con voto unanime da parte dei 142 deputati presenti. La proposta, firmata da Vanceunebrock, crea una nuova fattispecie di reato nel codice penale francese sanzionando le pratiche di conversione con la reclusione non inferiore a due anni e una multa di 30.000 euro. La pena può aumentare a tre anni di reclusione e a 45.000 euro di multa in caso di circostanze aggravanti.
«La legge che vieta le terapie di conversione viene adottata all'unanimità - ha annunciato il presidente Macron - Siamo orgogliosi, queste pratiche indegne non hanno posto nella Repubblica. Perché essere se stessi non è un crimine, perché non c'è niente da curare». Formalmente le “terapie di conversione” in Francia sono già punibili chiamando in causa diverse tipologie di reato, dalle molestie morali alla violenza passando per le pratica mediche illegali, ma non era mai stata prevista una fattispecie ad hoc.
Da qui la decisione di «mandare un segnale chiaro», come ha detto Elisabeth Moreno, ministra delegata per la Parità tra donne e uomini, per far sì che queste pratiche vengano del tutto abolite e che le vittime si sentano tutelate al punto da denunciarle immediatamente
Le terapie di conversione, torture e abusi promossi come cure
Le cosiddette “terapie di conversione” sono aspramente criticate dalla stragrande maggioranza della comunità medica e scientifica. Sono già state definite «immorali, non scientifiche, inefficaci e, in alcuni casi, equivalenti alla tortura» dall’Onu e dalle organizzazioni che si battono per i diritti umani. Eppure ancora oggi sono diffuse in almeno una settantina di Paesi al mondo, e condotte da sedicenti esperti che classificano la non eterosessualità e la discontinuità tra sesso e genere una malattia che può essere curata.
Come? Nel migliore dei casi con psicoterapia, nei peggiori con la somministrazione di farmaci o addirittura con l’elettrochoc, e ci sono anche agghiaccianti testimonianze di stupri, soprattutto sulle donne lesbiche, considerati “terapie d’urto” per “guarire dall’omosessualità”. E poi privazione del cibo, minacce, insulti, umiliazioni e altre violenze considerate “correttive”.
Spesso le vittime di queste terapie fanno parte di comunità religiose, come dimostra anche il ricorso a veri e propri “esorcismi”, e sono molto giovani
Messe in pratica fin dalla fine dell’Ottocento, hanno continuato a essere promosse anche dopo che la comunità scientifica ha ufficialmente eliminato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, prima dall’Associazione americana di psichiatria, nel 1973, poi nel 1990 dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Secondo il Consiglio internazionale per la riabilitazione delle vittime di tortura, chi mette in pratica queste “tecniche” sono solitamente professionisti della salute, organizzazioni religiose, curatori tradizionali spesso chiamati a intervenire dalle famiglie o dalle comunità in cui vive la persona che ne diventa vittima. E che si ritrova a fare i conti con pesantissime ricadute psicologiche, dalla perdita di autostima alla depressione passando per ansia, attacchi di panico, isolamento sociale, senso di colpa, vergogna, disfunzioni sessuali e pensieri suicidi.
I Paesi che le hanno vietate e la situazione in Italia
La Francia è uno degli ultimi Paesi a rendere le terapie di conversione ufficialmente illegali. A inizio gennaio è stato il turno del Canada, cui si aggiungono Malta, Brasile, Taiwan, Ecuador e Germania, che a maggio 2020 ha approvato una legge che prevede anche per chi pubblicizza queste pratiche un anno di carcere e una multa sino a 30.000 euro.
In Italia una legge che vieti formalmente le terapie non c’è. È partita però una mobilitazione dopo il caso della Germania, e il presidio Possibile LGBTI+ ha lanciato una campagna e una raccolta firme su AllOut per chiedere ai ministri Speranza, Elena Bonetti e Luciana Lamorgese di metterle ufficialmente al bando.
«Le terapie di conversione sono uno dei sintomi più evidenti della discriminazione che le soggettività LGBTI+ subiscono ogni giorno. Esse rappresentano delle pratiche barbare che possono includere ipnosi e elettroshock e sono finalizzate alla repressione dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere - si legge nella lettera aperta inviata ai ministri - Queste terapie lesive della dignità e dei diritti umani non hanno alcuna base scientifica e hanno un impatto sulla salute di chi li subisce aumentando i casi di ansia, depressione e suicidio specialmente tra i giovani. L’Italia non dispone di leggi che vietino tali pratiche, nonostante nelle scorse legislature siano state presentate proposte che andavano in questo senso. Dopo la Germania, anche nel nostro Paese serve una legge di questo tipo. Per questo ci appelliamo ai Ministri Speranza, Bonetti e Lamorgese per far approvare una norma che metta al bando le terapie riparative e ne vieti la loro promozione».
L’obiettivo della campagna è di raccogliere 20.000 firme. A oggi ne sono state raccolte poco meno di 19.000.