Violenza di genere: qual è lo stato di salute delle leggi in Italia?
«In Italia abbiamo una buona serie di norme che ci consentono di intervenire sia sul piano giudiziario-penale che su quello civile» esordisce il dottor Fabio Roia, magistrato dal 1986, che ricopre le funzioni di Presidente di sezione presso il Tribunale di Milano nella sezione misure di prevenzione.
In effetti, come spiega il magistrato, le leggi ci sono. Nel corso degli anni l’apparato normativo si è gradualmente ampliato cercando di rispondere a quella necessità di tutela delle donne e dei loro diritti che non potevano essere negati.
Sebbene con gradualità, sono state introdotte delle leggi che hanno permesso di contrastare la violenza di genere
Le prime leggi e la tutela delle donne
È il caso della legge del 15 febbraio 1996, n. 66 che prevede che «chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni». Un primo passo a cui seguirà nel 2001 la legge che prende il nome di "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari" (Legge n. 154 del 5 Aprile 2001).
La legge 154 del 2001 va al nocciolo della questione e si focalizza sui luoghi dove solitamente la violenza viene agita: la famiglia. La casa che dovrebbe rappresentare un posto sicuro, invece, diventa il luogo da cui fuggire.
Le misure prevedono l’allontanamento dalla casa familiare, ossia il «giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare», oppure prescrivere «di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice» stesso. Inoltre, può anche vietare l’avvicinamento «a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa».
La violenza contro le donne è una questione internazionale
Bisogna aspettare il 2013 per uno dei passi più importanti in materia, ossia la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta della violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne,
si legge all’articolo 3 della Convenzione. Ma non si ferma qui. Questo strumento giuridico internazionale riserva uno spazio importante alla prevenzione e alla protezione delle vittime.
Come precisa anche il dottor Roia,
bisogna rompere alcuni pregiudizi e stereotipi che derivano dal contesto sociale. Ancora oggi nei palazzi di giustizia non si crede sufficientemente alle donne
Poi aggiunge «molte volte si pensa che la donna che subisce violenza abbia agito lei stessa come fattore di provocazione e quindi si tende a minimizzare o a giustificare le azioni dell'uomo violento, quando invece questo uomo agisce violenza per una questione di natura culturale legata a una concezione patriarcale di predominio maschile sulla donna».
La formazione è fondamentale
È del 2013 anche la legge 15 ottobre 2013, n.119 «recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere». Questa legge, oltre a parlare di prevenzione del fenomeno della violenza di genere sul territorio nazionale, aggiorna la normativa che riguarda il reato di stalking (già introdotto nel 2009) con l’introduzione «dell’aggravante quando il fatto è commesso attraverso strumenti informatici e telematici».
È prevista, secondo la legge, anche la necessità di un’adeguata formazione.
Infatti, come si legge, serve
prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività
«Si sta facendo molta formazione, sia per quanto riguarda gli operatori di polizia giudiziaria, che per la magistratura e anche per l'avvocatura. Ma il processo di specializzazione è lento», dice il dottor Roia. Poi cita dei dati del consiglio superiore della Magistratura:
A novembre 2021 in Italia ci sono il 90% delle Procure della Repubblica con almeno un pubblico ministero specializzato, però nell'ambito della giudicante questo dato, che è un dato buono, si abbassa al 24%
Questo dato restituisce il quadro della situazione italiana, che emerge anche dai report della "Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere", presieduta dalla senatrice Valeria Valente: un numero sempre più elevato di pubblici ministeri sono specializzati nella trattazione di questi casi, ma non è lo stesso per i giudici.
Secondo Roia, «L'obiettivo è far sì che anche i giudici acquisiscano quelle competenze necessarie per capire le dinamiche che coinvolgono una donna che subisce violenza che è una vittima-testimone particolare e come tale deve essere approcciata in maniera diversa rispetto alle altre vittime».
Il Codice Rosso e i tempi di intervento
Il tempo gioca un ruolo chiave nel contrasto alla violenza. Più l’intervento è tempestivo, meno la donna vittima di violenza è esposta al rischio. Sull’aspetto di ottimizzazione dei tempi un ruolo fondamentale lo svolge il Codice Rosso, introdotto nel 2019. Nello specifico il Codice Rosso prevede che, il pubblico ministero, dopo essere stato tempestivamente informato della denuncia ed entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, riascolti la donna che ha sporto denuncia.
In realtà, i tre giorni previsti possono costituire comunque una lunga attesa, pertanto, come specifica il dottor Roia, «Qui entra in gioco la professionalità. Un operatore capace riesce a fare quella che si chiama tecnicamente valutazione del rischio, o meglio valutazione della gravità del caso e quindi fa una scelta dei criteri di priorità nella trattazione del caso».
Bisogna scegliere, capire dove c'è una maggiore esposizione al rischio di progressione di violenza e trattare con immediatezza quel tipo di caso, attuando tutte le misure che l'ordinamento mette a disposizione
“Libere dalla violenza, congelate dalla politica”
L’ultima campagna di Actionaid "Libere dalla violenza, congelate dalla politica" si rivolge al governo chiedendo degli strumenti concreti di supporto alle donne che escono dalla violenza. Ma mancano le risorse per fornire alle donne un reddito, un lavoro dignitoso e una casa sicura.
La violenza contro le donne è un fattore di inciviltà e non può e non deve avere una connotazione poltica, deve interessare tutti. È una battaglia di civiltà comune a 360°,
aggiunge il dottor Roia. Poi conclude dicendo che le associazioni che supportano le donne e i centri antiviolenza costituiscono «uno snodo fondamentale insostituibile dell'accoglienza della donna, perché la denuncia non è la fine di un percorso, ma è purtroppo l'inizio. Le operatrici dei centri non decidono al posto della donna, ma la devono supportare subito dopo la fase della denuncia anche nel medio e lungo periodo».