Antonella Veltri, presidente di D.i.Re: «La violenza sulle donne è una scelta: servono responsabilità e presa di coscienza collettive»
«C’è bisogno di una presa di coscienza e di una consapevolezza profonda che vada oltre l’indignazione del momento. La violenza maschile sulle donne va estirpata alla radice: è fondamentale agire in prevenzione, non solo in punizione». Parole di Antonella Veltri, presidente di D.i.Re - Donne in Rete contro la violenza, l’associazione che raccoglie il maggior numero di centri antiviolenza in Italia. Veltri e la sua organizzazione convivono quotidianamente con la violenza di genere: la osservano, la studiano e la analizzano nel tentativo di smantellarla alla base. E ogni anno, con l’avvicinarsi del 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il messaggio rimane lo stesso: è necessario un cambiamento strutturale e sociale.
Abbiamo chiesto ad Antonella Veltri di raccontarci i contenuti di una nuova, importante campagna.
Intervista a Antonella Veltri, presidente di D.i.Re
Quest’anno avete deciso di lanciare una campagna che si appella alla responsabilità. Il claim è “La violenza è una scelta. Fermarla una responsabilità”. Qual è la genesi di questo messaggio?
La campagna è nata dal desiderio di cambiare prospettiva rispetto al fenomeno della violenza maschile contro le donne. Fino a oggi lo sguardo è sempre stato rivolto alle donne, sia in ambito sociale sia in quello istituzionale e mediatico. Ci siamo interrogate sulle domande che troppo spesso vengono rivolte alle vittime: “Perché non hai reagito? Perché sei rimasta in silenzio? Perché non hai denunciato?”. Ogni giorno assistiamo a forme di vittimizzazione secondaria che le donne subiscono mentre vivono la violenza, in tutte le sue sfaccettature.
Abbiamo quindi deciso di ribaltare il paradigma, facendo appello a una responsabilità collettiva. La riflessione deve partire dagli uomini che agiscono violenza e attraversare l’intera società civile, fino a coinvolgere le istituzioni
La domanda non deve più essere: “Perché la donna non ha reagito?”, ma: “Perché l’uomo ha scelto di agire violenza? Perché chi ha visto non ha parlato?”.
Avete trovato una risposta a queste domande?
Sì, ed è questa: serve una presa di coscienza diffusa. Solo affrontando e combattendo gli stereotipi si possono ottenere risultati concreti. Le donne continuano a essere relegate a ruoli di cura, che sottraggono loro energie e tempo per affermarsi nella dimensione pubblica. È necessaria un’azione collettiva e concreta: l’intera società ha la responsabilità di agire. Per questo abbiamo introdotto un nuovo strumento, una chat anonima sul nostro sito, dove le donne possono parlare in modo protetto con attiviste e volontarie formate.
Nel 2023, i femminicidi di Giulia Tramontano e Giulia Cecchettin hanno suscitato grande indignazione sociale. Possiamo considerarli uno spartiacque?
Dal punto di vista mediatico, il femminicidio di Giulia Cecchettin e le dichiarazioni della sorella Elena hanno acceso i riflettori sul fenomeno, ma temo si sia trattato di una consapevolezza superficiale. In alcuni casi si è persino banalizzato il significato profondo di questa tragedia. Un anno dopo, ci ritroviamo di fronte a un nuovo caso eclatante: Aurora Tila, assassinata a soli 13 anni. Questo ci mostra che gli episodi di violenza stanno coinvolgendo sempre più giovani, uomini e donne. Da qui nasce l’urgenza di una vera consapevolezza, capace di indagare le radici profonde della violenza maschile contro le donne.
Eventi così mediatici possono contribuire a una maggiore consapevolezza?
In parte sì, ma c’è anche il rischio di banalizzazione. Si tende a inserire la violenza contro le donne in un calderone più ampio di “violenza generica” diffusa nella società. Questo approccio non permette interventi mirati su un fenomeno che ha radici specifiche e profonde.
L’età delle vittime sembra abbassarsi sempre di più. È un fenomeno nuovo o solo più visibile oggi?
L’abbassamento dell’età è reale. Episodi come quello di Aurora Tila e Sara Centelleghe, uccisa a 18 anni dal vicino di casa, ne sono una tragica conferma. Tuttavia, anche in passato questi casi finivano per essere assimilati a episodi generici di violenza. Grazie al lavoro dei centri antiviolenza, stiamo analizzando i dati del 2024 per comprendere meglio questa tendenza. È certo, però, che molte ragazze trovano difficile rivolgersi ai centri antiviolenza. Per questo insistiamo sulla chat anonima, uno strumento che permette di affrontare dubbi e paure in un contesto sicuro.
Che tipo di violenza denunciano oggi le donne?
La violenza psicologica è al centro di tutto: è quella che emerge per prima e che ha effetti immediati. Tuttavia, la violenza di genere è quasi sempre multifattoriale, comprendendo anche forme economiche e fisiche. Quando le donne si rivolgono ai centri antiviolenza, spesso non hanno una chiara percezione di ciò che stanno vivendo. Serve il supporto delle operatrici per identificare il problema e avviare un percorso. Denunciare richiede molto coraggio e forza: il percorso legale è lungo e complesso, e le donne hanno bisogno di sostegno costante.
Esistono oggi strumenti davvero efficaci per contrastare la violenza sulle donne?
Dal punto di vista legislativo, l’Italia ha un sistema ben articolato, riconosciuto anche a livello europeo. Il problema è l’applicazione delle leggi:
non servono nuove norme, ma una corretta implementazione di quelle esistenti. È fondamentale investire sulla prevenzione, come indicato dalla Convenzione di Istanbul. Purtroppo, oggi si interviene solo con iniziative sporadiche
Dopo la morte di Giulia Cecchettin, si è parlato molto di educazione nelle scuole, ma cosa è stato fatto concretamente? Interventi sporadici, di cui non conosciamo nemmeno i risultati. Serve un’azione sistemica, con programmi strutturati e a lungo termine. Trasformare una società che tollera la violenza sulle donne richiede pianificazione e un impegno costante. Al momento, prevale una preoccupante inerzia istituzionale.