I falsi miti sulla “Festa della donna” (che non è una festa)
La giornata dell’8 marzo raccoglie il testimone di centinaia e migliaia di donne che hanno manifestato prima di noi per ottenere i diritti civili, sociali ed economici di cui oggi godiamo. Per perpetrare il loro ruolo e farci protagoniste di nuove lotte, smontare tutti i falsi miti che ruotano intorno a questa giornata è un primo passo.
Le battaglie da cui l’8 marzo nasce sono rivendicazioni di diritti e uguaglianza: le donne, ben lontane dall’essere “dolcemente complicate”, che rivendicano le stesse possibilità. Non in nome di una superiorità “in quanto donna”, migliore, più fragile, più intelligente, più sensibile, ma per la rivendicazione di essere uguali nei diritti.
Cosa abbiamo da festeggiare? Molto poco. Cosa abbiamo per cui lottare? Moltissimo
Genesi dell’8 marzo: le operaie morte in un incendio non c’entrano nulla
“La Giornata della donna si festeggia oggi perché alcune operaie sono morte in un incendio l’8 marzo di molti anni fa”: questa è la narrazione – falsa – stratificata negli anni e con cui ormai abbiamo familiarità. Più che a una ricostruzione storica, somiglia più a un “mito fondativo”: non a caso, le informazioni a riguardo sono vaghe e piene di incertezze. Quante sarebbero le donne morte? E dove? A Boston o a New York? L’incendio le ha uccise in un calzaturificio o in una filanda? E c’era davvero un albero di mimosa nel cortile?
La realtà è un’altra: la Giornata Internazionale della Donna non ricorda le operaie vittime di un incendio in una fabbrica tessile, ma fu istituita durante la Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste nel 1921
La sua origine deriva da un’altra data: il 28 febbraio 1909, giornata in cui il partito socialista americano organizzò negli Stati Uniti una manifestazione in favore del diritto delle donne al voto. Quella del febbraio 1909 non fu la prima delle manifestazioni per i diritti delle donne e il suffragio universale: già dalla metà dell’800, in varie parti del mondo ci si batteva con i movimenti della Suffragette (in Nuova Zelanda il voto femminile esiste dal 1893). La data dell’8 marzo arriva ufficialmente dalla Russia:
in quel giorno del 1917, le donne di San Pietroburgo scesero in piazza per chiedere la fine della prima guerra mondiale e protestarono contro lo Zar
Le delegate della Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste scelsero questa come data per la Giornata Internazionale dell’Operaia. L’8 marzo è la data ufficiale anche per scelta dell’Onu: l’Organizzazione per le Nazioni Unite ha celebrato nel 1975 l’Anno internazionale della donna.
In Italia la prima celebrazione è del 1922, ma si rafforzò nel 1945 quando l’Unione Donne in Italia la ricordò nelle zone dell’Italia già liberate dal fascismo
La mimosa è un simbolo, non un semplice omaggio
La mimosa è un simbolo potente che rende democratica la lotta: non c’era nessun albero di mimosa accanto alla fabbrica tessile che comunemente si pensa abbia dato vita alla Giornata Internazionale della Donna. Le femministe italiane che organizzarono la prima manifestazione dell’otto marzo adottarono la mimosa perché è un fiore che fiorisce in abbondanza in questa stagione ma soprattutto, perché è disponibile senza pagare, quindi senza discriminazioni. Acquistarlo, regalarlo come dono o addirittura pretenderlo significa svuotarne il significato.
Furono Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei (la più giovane eletta nell'Assemblea Costituente) a proporre la mimosa: tre donne comuniste che avevano partecipato alla Resistenza. Come racconta la scrittrice Carolina Capria nel suo spazio social L'ha scritto una femmina, per far passare la proposta Teresa Mattei arrivò a inventare che secondo una leggenda cinese la mimosa era il simbolo della femminilità.
Una storia che funzionò perfettamente e che fece preferire la mimosa alla costosa orchidea. Se Teresa Mattei si era battuta tanto perché venisse adottata la mimosa, era perché si trattava di un fiore povero, che tutti avrebbero potuto recuperare in campagna e donare: averla addosso significava combattere.
Le donne se la scambiavano per celebrare le conquiste, ma anche per stringere un'alleanza di intenzioni. Un fiore per dire “sono qui e non arretro”. Non è una festa, ma un momento di manifestazione
Non è una festa, ma un momento di manifestazione
L’otto marzo si accorda bene con il verbo “lotto”, capace di restituire il vero senso di questa giornata. Non una festa, ma l’occasione per incontrarsi e manifestare insieme: la prima manifestazione italiana dell’8 marzo avviene nel 1972 e venne organizzata in un clima di grande trasformazione nei gruppi femministi italiani. La più significativa fu la fondazione nel 1971 di Lotta femminista, più celebre con il nome di Movimento femminista romano, che contribuì significativamente alla discussione sui temi dell’aborto, della contraccezione e della liberazione. Per iniziativa loro, del Movimento di liberazione della donna, di Rivolta femminile e Udi, più di 20mila donne si radunarono a Campo de’ Fiori a Roma
La piazza venne circondata dagli agenti di polizia, molti uomini si avvicinarono alle contestatrici urlando: “A casa! Le donne devono stare a casa!”, “Dai bambine, ora tornate sul marciapiede”
Le donne esponevano cartelli provocatori per l’epoca. Mariasilvia Spolato, considerata la prima attivista ad aver fatto coming out pubblicamente e fondatrice del Fronte di liberazione omosessuale, venne fotografata da Panorama con in mano un cartello con la scritta “Liberazione omosessuale”, fatto che le costò il licenziamento dal posto di lavoro come insegnante e l’allontanamento dalla sua famiglia.
Le attiviste vennero caricate dalla polizia mentre rispondevano verbalmente alle provocazioni dei contestatori. La manifestazione fu contestata anche dagli uomini di sinistra, che si trovarono per la prima volta attaccati dalle loro stesse mogli, fidanzate, sorelle o madri. “Nella famiglia, l’uomo è il borghese e la donna il proletario!”, recitava un famoso slogan:
Presto, i movimenti femministi si staccheranno dai gruppi comunisti e autonomi, accusandoli di non dare importanza alle loro lotte. Dopo l’8 marzo 1972, il femminismo italiano non fu più lo stesso
Non uno sciopero qualsiasi
L’8 marzo, l’Italia e il mondo scioperano. Non si tratta di uno sciopero qualsiasi, ma dello sciopero globale delle donne. L’Italia aderisce tramite il movimento Non Una Di Meno per protestare non solo contro la violenza fisica sulle donne, ma contro la violenza di genere tout court: violenza domestica, violenza politica, discriminazione, gender gap, mancanza di diritti di riproduzione, di politiche sociali assenti, omofobia e transfobia, razzismo, rappresentazioni sessiste del corpo femminile.
Lo sciopero non è riservato solo alle donne, ma si amplia a tutti coloro che combattono la misoginia e sostengono l’autodeterminazione di tutte le donne.
Come si legge nell’appello di Non Una Di Meno:
L’8M può essere un grande momento per far sentire la nostra rabbia, i nostri bisogni, le nostre richieste. Insieme a quelli di tante e tantə che in tutto il mondo, quello stesso giorno, sciopereranno e scenderanno nelle piazze insieme a noi
“Con amore e rabbia”: così si conclude l’invito a partecipare allo sciopero dell’8 marzo.
Una giornata per riflettere, ricordare e lottare. Non per lasciarsi andare alla retorica vittimistica che riduce le donne a “dolcemente complicate”