Fare sistema per promuovere la cultura della parità: “ambassador” aziendali contro la violenza di genere
Le aziende rappresentano ecosistemi sociali che possono agire, oltre che internamente, anche verso l’esterno, facendo rete con altre imprese e sostenendo un cambiamento positivo sul territorio. Il Percorso Ambassador di Fondazione Libellula, nata con lo scopo di agire sul piano culturale per prevenire e contrastare la violenza di genere e ogni forma di discriminazione, lo testimonia: 156 Ambassador provenienti da 66 aziende hanno ricevuto un certificato che attesta il loro impegno attivo nel promuovere equità, rispetto e inclusività all’interno delle loro aziende.
Percorso Ambassador contro la violenza di genere, cosa prevede
Una rete di alleati e alleate interaziendale, attiva contro la violenza di genere, consapevole del fenomeno, portatrice di cambiamento: è questo che si propone di fare – e ha fatto - il Percorso Ambassador di Fondazione Libellula. Una visione che punta al lungo periodo, formando all’interno di aziende specifiche persone che possano, nel loro “ruolo” di Ambassador, farsi interpreti dei valori del rispetto tra uomini e donne; essere «antenne» di ascolto e osservazione rispetto a situazioni di potenziale difficoltà; diventare portatrici di idee, progetti, contenuti contro la violenza di genere e porsi come punto di confronto sul tema, sui modi in cui si può manifestare nelle relazioni, sulle risorse per uscirne.
Ben 156 le persone partecipanti, da 66 aziende del network di Fondazione Libellula (oltre 120 le aziende aderenti al network). Il percorso, avviatosi il 29 febbraio, riporta un risultato concreto: far dialogare le realtà aziendali con il mondo esterno.
I numeri rappresentano storie concrete e tracciano la rotta per il futuro, in linea con gli obiettivi di parità di genere indicati dall’Agenda 2030: «Dobbiamo aprire la strada ad una cultura aziendale sempre più inclusiva ed equa, lavorando sulla maggiore consapevolezza del ruolo centrale della donna all'interno della società – ha sottolineato Martina Semenzato, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio - Lavorare con il mondo del lavoro e delle imprese per favorire una maggiore leadership al femminile e parità di genere. Questo significa progresso sociale e culturale, le donne sono il motore fondamentale per una crescita economica che sia anche etica; questo significa combattere la disparità di genere e scardinare gli stereotipi di genere».
Il network di Ambassador creato da Fondazione Libellula può diventare anche il primo canale di aiuto e indirizzo verso le risorse dell’organizzazione e del territorio: «Tra un mese sarà il 25 novembre, la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e sono orgogliosa di dire che ci sono aziende che per tutto l’anno hanno fatto qualcosa di concreto per contrastare davvero questo fenomeno» ha spiegato Debora Moretti, Founder e Presidente di Fondazione Libellula.
Non girarsi dall’altra parte, porsi in ascolto e soprattutto agire: i racconti degli Ambassador indicano strumenti pratici e competenze fondamentali per riconoscere e contrastare la violenza di genere all’interno delle loro organizzazioni.
«Le persone che si sono conosciute nel corso dell’anno, laboratorio dopo laboratorio, continuano anche oggi a sentirsi per confrontarsi e scambiarsi best practice che poi propongono all’interno delle loro organizzazioni» sottolinea Moretti: una presa di responsabilità precisa che ha reso gli Ambassador voci capaci di far risuonare all’esterno progetti e iniziative concrete.
Perché occorre agire sui posti di lavoro: per le donne non sono sicuri
Sono quasi due milioni le donne molestate almeno una volta nella vita sul luogo di lavoro. I dati arrivano dall’ultimo report dell'Istat "Le molestie: vittime e contesto", relativo agli anni 2022-2023: i posti di lavoro non sono posti sicuri per le donne.
Il sondaggio Lei (Lavoro, equità, inclusione) sulle discriminazioni e molestie nel mondo del lavoro, condotto dalla Fondazione Libellula, lo conferma ulteriormente.
Partendo dalla testimonianza di oltre 4.300 lavoratrici, la survey riporta un dato estremamente parlante:
il 40% delle donne ha subito contatti fisici indesiderati sul posto di lavoro. Nel 2022 il dato si attestava al 22%, registrando un aumento significativo dell’81%
Quasi 7 donne su 10 affermano di aver ricevuto complimenti e allusioni o di essere state oggetto di battute sessiste. La situazione prescinde dal ruolo o dalla posizione “gerarchica” che si ricopre: il 77% delle manager e il 75% delle dirigenti ha sentito “spesso” o “a volte” commenti sul corpo che le hanno messe a disagio. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 44 anni.
La posizione di subalternità si riflette anche nella leadership: il 90% delle voci coinvolte nel sondaggio vede gli uomini in posizione di leadership in netta maggioranza.
L'82% vede gli uomini crescere professionalmente più velocemente mentre quasi 7 lavoratrici su 10 vedono rallentato il proprio percorso di crescita (o quello di altre donne) a causa della maternità o di altri ruoli di cura
Numeri che richiamano alla realtà in cui, la strada verso la parità di genere è in salita e tortuosa. Per questo, fare la differenza sul posto di lavoro, fa la differenza.
Violenza economica, il grande tema “sommerso”
«Senza reddito non puoi fuggire. Gli uomini esercitano il loro potere anche così: negando la possibilità alle donne di scegliere e di essere libere»: le parole della presidente della commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, Martina Semenzato, sottolineano anche «il tema focale della Commissione».
Subdola, difficile da riconoscere ma altrettanto pervasiva: la violenza economica è un tema sommerso eppure presente nella vita delle donne. Secondo i dati riportati dall’indagine e WeWorld con IPSOS, il 49% delle donne dichiara di aver subito violenza economica.
«Insistere nel valorizzare il lavoro femminile e gettare le basi per la loro indipendenza economica è fondamentale – ribadisce Semenzato - Fare rete è fondamentale, al contrasto alla violenza di genere e ai femminicidi».
Il femminicidio, infatti, è la punta dell’iceberg di quella che è la “spirale della violenza”: le intimidazioni diventano violenze psicologiche che culminano in aggressioni, condizioni di isolamento e tentativi di completo assoggettamento sociale ed economico. Fino ad arrivare all’annientamento fisico.
Intervenire sull’indipendenza economica significa interrompere la spirale: rompere il tabù dei soldi per le donne, così come lavorare sul loro empowerment professionale in diversi aspetti – dal ricoprire ruoli di leadership al chiedere un aumento – significa coltivare la cultura della parità. Quella in cui, a partire dal riconoscimento della loro differenze, le donne siano “pari”: non più vittime ma assolute protagoniste delle loro vite.