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Fare la calciatrice in Italia sarà (finalmente) una professione

19-05-2022
Con un ritardo di 124 anni rispetto ai colleghi uomini, dal primo luglio 2023 le calciatrici di Serie A diventeranno le prime atlete professioniste nella storia dello sport italiano. La decisione è stata presa lo scorso 26 aprile dal Consiglio Federale FIGC che, fino ad allora, escludeva esplicitamente le donne dal proprio regolamento sul professionismo sportivo. Quali i diritti in più per le atlete?

«Nuove norme per nuovo mondo»: ha annunciato così Sara Gama, capitana della Nazionale tricolore, il passaggio ufficiale di inquadramento del calcio femminile italiano da dilettantistico a professionistico. Dal primo luglio 2023, infatti, con un ritardo di 124 anni rispetto ai colleghi uomini, anche le calciatrici italiane di serie A verranno considerate atlete professioniste.

Siamo la prima federazione in Italia ad attuare questo importante percorso

ha dichiarato Gabriele Gravina, Presidente FIGC. La decisione è stata presa lo scorso 26 aprile dal Consiglio Federale che ha notificato il completamento delle modifiche normative in vista dell’inizio della prossima stagione sportiva. Il commento della Sottosegretaria allo sport Valentina Vezzali non si è fatto attendere:

Quali diritti in più per le calciatrici?

Come riporta l’Associazione Calcio Femminile Italiano, esercitare come calciatrice di serie A diventerà una vera e propria professione a norma di legge: a partire dal primo luglio 2023, le atlete in questione avranno diritto a un contratto che assicura loro compensi adeguati, il versamento dei contributi previdenziali e le varie tutele assicurative legate alla maternità, all’assistenza e alla previdenza.

Addio ai compensi elargiti sotto forma di rimborsi e accordi privati senza tutele

In attesa di definire il contratto collettivo che regolamenterà il trattamento economico e normativo dei rapporti, il salario minimo, per loro, è fissato a 26mila euro lordi all’anno, cifra di partenza riferita ai colleghi della Serie C maschile.

Le calciatrici di serie A oggi, infatti, guadagnano solo attraverso un rimborso forfettario annuale diviso in 10 mensilità per un importo massimo di 30.658 euro all’anno al quale si può aggiungere opzionalmente un bonus o un rimborso spese e indennità di trasferta pari a 77,47 euro al giorno. Questo senza alcun versamento di contributi previdenziali e, quindi, senza la possibilità di accedere al fondo pensionistico e alle tutele mediche di maternità o di assicurazione contro gli infortuni.

Quando uno sport in Italia diventa professionistico?

Il 6 novembre 2014 alla Camera dei Deputati è stata depositata una proposta di legge che richiedeva modifiche agli articoli 2 e 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91 sul professionismo sportivo in materia di applicazione del principio di parità tra i sessi nel settore. 

La legge è suddivisa in quattro capi e stabilisce, tra le altre cose, chi possa essere definito professionista sportivo. L'articolo 2, in particolare, recita che 

Sono sportivi professionisti, gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità 

nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica dalla professionistica”.

La legge indica esplicitamente quali sono le figure che possono essere considerate professionistiche, definite senza alcuna distinzione di sesso, ma è proprio l'ultima parte dell'articolo 2, nella quale si delega al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e alle singole federazioni sportive la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica, che si determina un profondo elemento discriminante che ha penalizzato le donne che praticano sport. 

Nel calcio la discriminazione è sempre stata evidente

Fino a qualche giorno fa, la FIGC aveva distinto nel suo regolamento le serie professionistiche dalle dilettantistiche escludendo dalle prime i dilettanti, il settore del calcio a 5 ed, esplicitamente, le donne.       

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In ambito europeo, però, con la risoluzione 5 giugno 2003 su Donne e sport che chiedeva agli Stati membri e all'Unione di assicurare alle donne e agli uomini pari condizioni di accesso alla pratica sportiva, il Parlamento Europeo sollecitava già la Commissione nel sostenere la promozione dello sport femminile nei programmi e nelle azioni comunitarie e proponeva di inserire nella strategia quadro comunitaria in materia di parità fra donne e uomini 2006-2010 un obiettivo operativo dedicato alla partecipazione delle donne alla pratica sportiva. 

La risoluzione intimava, inoltre, gli Stati membri e il movimento sportivo a sopprimere la distinzione fra pratiche maschili e femminili nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello. Alle federazioni nazionali, poi, chiedeva di garantire gli stessi diritti in termini di reddito, di condizioni di supporto e di allenamento, di accesso alle competizioni, di protezione sociale e di formazione professionale, nonché di reinserimento sociale attivo al termine delle carriere sportive. Infine, agli Stati membri e alle autorità di tutela la risoluzione domandava la propria autorizzazione e il sovvenzionamento delle associazioni sportive a disposizioni statutarie che garantissero una rappresentanza equilibrata delle donne e degli uomini a tutti i livelli e per tutte le cariche decisionali.

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