Cos’è il “Climate Quitting” e perché influenzerà sempre di più il mondo del lavoro
Il primo tra i termini coniati per descrivere un fenomeno di massa nel mondo del lavoro è stato “Great Resignation”, ovvero la tendenza, da parte di un’intera generazione di lavoratori, a lasciare un impiego poco soddisfacente, non in linea con le proprie ambizioni e desideri, e a mettersi in cerca di nuove strade attraverso le dimissioni. Poi è stato il turno del “Quiet Quitting”, ovvero la decisione di adeguare il lavoro ai propri bisogni, e non il contrario: orari di lavoro rispettati, niente straordinari a tutti i costi, precedenza alla salute fisica e mentale rispetto alla carriera.
Adesso, nel mondo del lavoro, va delineandosi e affermandosi una nuova tendenza: quella del cosiddetto “Climate Quitting”, ovvero la scelta di dimettersi da aziende che non hanno a cuore le sorti del pianeta e non si curano dell’emergenza climatica e del riscaldamento globale.
Che cos’è il Climate Quitting
VEDI ANCHE CultureGli alberi possono essere (da soli) la soluzione al cambiamento climatico?Il Climate Quitting è, di fatto, quella tendenza crescente dei lavoratori a chiedere alle aziende per cui lavorano di intraprendere azioni concrete a salvaguardia del clima, e a licenziarsi in caso contrario. Alla base di questa visione c’è il rispetto dei cosiddetti criteri ESG, acronimo che sta per Environmental (ambiente), Social (società) e Governance. Tre pilastri che fanno riferimento, appunto, all’impegno ambientale, ai valori aziendali e alla trasparenza. Per i lavoratori di cui stiamo parlando, è fondamentale che i datori di lavoro li rispettino senza cadere nel cosiddetto “green washing”, ovvero quell’insieme di azioni e campagne finalizzate a dare al pubblico la parvenza dell’impegno ambientale senza però investirvi per davvero. Da qui la presa di posizione: il mancato rispetto di questi criteri comporta le dimissioni.
VEDI ANCHE CultureLa crisi climatica colpisce di più le donne: ecco perchéStando a una ricerca commissionata dall’azienda di consulenza KPMG, i criteri ESG stanno effettivamente influenzando in modo attivo le decisioni occupazionali di quasi la metà degli impiegati del Regno Unito, con i millennial e i lavoratori più giovani che guidano la tendenza crescente di lasciare il lavoro per mettersi alla ricerca di un ambiente più rispettoso dell’ambiente.
La Gen z è la più sensibile al tema. E agisce di conseguenza
L’azienda ha intervistato circa 6.000 lavoratori, e quasi uno su due (46%) ha manifestato il desiderio che l'azienda per cui lavora dimostri un impegno concreto nei confronti dei criteri ESG, mentre uno su cinque (20%) ha rifiutato un'offerta di lavoro quando gli impegni presi dall'azienda in questo senso non erano in linea con i loro valori.
VEDI ANCHE CultureUltima Generazione: “non vogliamo piacere a tutti, ma far riflettere sulla crisi ambientale”Senza grande sorpresa, la generazione più sensibile al rispetto di questi valori è la Gen Z, una generazione diventata adulta nel pieno del dibattito sulla crisi ambientale, quella dei “Friday for Future” e delle manifestazioni di piazza, dei contenuti social all’insegna della sensibilizzazione, quella che ha fatto della tutela ambientale e della protezione del pianeta una sorta di missione. Valori intrinseci che vanno perseguiti nella quotidianità e su tutti i livelli, e dunque non soltanto impegnandosi per non sprecare, non inquinare e per diffondere il messaggio dell’importanza di adottare questi comportamenti, ma anche scegliendo posti di lavoro in linea e aziende che hanno una particolare sensibilità verso il tema.
La stessa tendenza seguono, seppure più lentamente e con più “prudenza”, anche i Millennial: la generazione di lavoratori tra i 30 e i 40 anni, secondo i dati di numerosi studi, negli ultimi anni ha manifestato sempre maggiore interesse verso il riscaldamento globale e la necessità di agire per fermarne l’inarrestabile avanzata, con ricadute anche a livello lavorativo.
Esempio eclatante è stato quello di Caroline Dennett, che dopo 11 anni di lavoro alla Shell come consulente si è dimessa, pubblicamente, perché l’azienda «non tiene conto dei rischi dei cambiamenti climatici», ha detto in un video diffuso sui social, in cui di fatto accusa la multinazionale britannica del settore petrolifero ed energetico di fare, appunto, “green washing”, affermando di operare nel rispetto dell’ambiente ma andando in direzione opposta. È questo uno dei rischi, per le aziende che trascurano l’aspetto ambientale e non rispettano i valori che affermano di perseguire: non soltanto ritrovarsi senza dipendenti, ma essere pubblicamente “sbugiardate” grazie all’enorme cassa di risonanza rappresentata dai social network e dai nuovi canali di comunicazione.