COP16 sulla biodiversità: perché è stata un fallimento (e quali sono le possibili ripercussioni)
Un buco nell'acqua: la conferenza COP16, che puntava a definire un piano di azione concreto per salvaguardare la biodiversità globale, ha segnato un’importante battuta d’arresto a causa del mancato accordo sui finanziamenti. Per questo è stata rimandata a data da destinarsi. Il timore ora è che tale risultato influenzerà negativamente anche la COP29 sul clima, che si aprirà l'11 novembre a Baku, in Azerbaijan, rendendo ancora più difficile il cammino per affrontare le crisi ambientali interconnesse che il mondo si trova ad affrontare quotidianamente. Ma perchè la biodiversità ci interessa tanto? E cosa è successo a Cali?
Perché è così importante salvaguardare la biodiversità
Ogni specie, dalle piante agli animali, dai microrganismi ai funghi, svolge un ruolo specifico e insostituibile nei processi naturali, come la produzione di ossigeno, la regolazione del clima, la fertilità del suolo, la purificazione dell’acqua e il controllo dei parassiti. In poche parole, questa ricchezza di forme di vita rende possibile la sopravvivenza della nostra stessa specie. Ogni volta che perdiamo una specie, perdiamo anche le potenziali soluzioni che essa potrebbe offrire: un particolare enzima capace di decomporre rifiuti, una nuova medicina, o un gene che potrebbe migliorare la resistenza delle coltivazioni al cambiamento climatico.
La storia della COP sulla biodiversità
La COP sulla biodiversità è stata istituita nel 1992, a seguito della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (nota anche come Summit della Terra) tenutasi a Rio de Janeiro, durante la quale venne firmata la Convenzione sulla Diversità Biologica. Da allora, questi incontri periodici hanno portato alla nascita di accordi significativi, tra cui quello del 2022, quando la conferenza si concluse con numerosi passi in avanti.
La COP16 che si è appena conclusa rappresentava una tappa fondamentale per consolidare e attuare il Global Biodiversity Framework (GBF), l’accordo Kunming-Montreal siglato appunto nel 2022. Questo quadro ambizioso prevede la protezione del 30% delle terre e dei mari entro il 2030, oltre alla riduzione dell’inquinamento e alla promozione dell'uso sostenibile delle risorse naturali. L’obiettivo della COP16 era accelerare l’implementazione di questo accordo, in particolare attraverso il rafforzamento dei meccanismi di finanziamento e monitoraggio. Con una partecipazione record di oltre 23.000 rappresentanti tra governi, ONG e settore privato, la conferenza ha visto sforzi significativi per cercare soluzioni, ma le divergenze finanziarie hanno finito per bloccarne i progressi.
Le cause del fallimento della COP16
La richiesta dei Paesi in via di sviluppo – in gran parte situati nel Sud globale, dove si concentra la maggiore biodiversità – era chiara: un fondo ingente per sostenere gli sforzi di conservazione. Tuttavia, i paesi ricchi, rappresentati principalmente dall’Unione Europea, Giappone e Canada, si sono mostrati riluttanti ad aumentare i propri contributi. Nel 2022 erano stati fissati a 30 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, mentre il Global Biodiversity Framework Fund (GBFF), fondo finanziario internazionale creato con l’obiettivo principale di raccogliere e distribuire le risorse economiche, ha raccolto finora solo circa 250 milioni di dollari – una somma del tutto insufficiente.
Dopo lunghe trattative e sessioni notturne, la presidenza colombiana, guidata dal Ministro dell’Ambiente Susana Muhamad, ha dichiarato la sospensione dei lavori. Muhamad ha sottolineato che l’assenza di un accordo finanziario adeguato rischia di rallentare l’intero processo globale, rendendo più difficili gli obiettivi del GBF. Così, la chiusura formale della COP16 è stata rinviata a una data futura, lasciando aperta la questione dei finanziamenti.
Le possibili ripercussioni
Il fallimento della COP16 potrebbe avere ripercussioni significative anche sulla COP29 sul clima, prevista tra pochi giorni a Baku. Durante i negoziati di COP16, i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo hanno evidenziato disaccordi strutturali su come e quando trasferire risorse finanziarie per affrontare le crisi ambientali evidenziando delle difficoltà significative, che rendono poco ottimista il risultato di COP29 dove le necessità di finanziamento per il clima richiedono investimenti decuplicati.
Tra le questioni importanti che invece sono state discusse con successo, abbiamo il potenziamento del monitoraggio per il raggiungimento dell’Obiettivo 30×30, il 30% delle aree marine e terrestri da proteggere entro il 2030, e la creazione di sistemi di rendicontazione più trasparenti. Tuttavia, l’assenza di una base finanziaria solida rende difficile l’implementazione concreta di queste misure.
In conclusione, la COP16 sulla biodiversità doveva essere un evento chiave per mettere in moto il Global Biodiversity Framework e raggiungere obiettivi fondamentali per la salvaguardia degli ecosistemi. Tuttavia, la mancanza di un accordo finanziario tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo ha dimostrato come la frattura Nord-Sud continui a rappresentare una sfida cruciale per i negoziati ambientali. Ora l’attenzione si sposta su Baku, dove le Parti dovranno confrontarsi ancora una volta sul tema dei finanziamenti, ma questa volta con un peso maggiore, considerato il fallimento di Cali. Come molti esperti sottolineano, un ulteriore stallo non farà che rendere più difficile affrontare la crisi climatica e quella relativa alla biodiversità, ormai universalmente riconosciute come due facce della stessa medaglia.
Federica Gasbarro collabora con The Wom in modo indipendente e non è in alcun modo collegata alle inserzioni pubblicitarie che possono apparire all'interno di questo contenuto.