Chi è Denis Mukwege, il premio Nobel che aiuta le donne vittime di stupro

20-06-2022
Nel 2008 l’Onu ha dichiarato ufficialmente lo stupro perpetrato in guerra come un reato bellico specifico, una violazione dei diritti umani universali riconosciuta e sanzionata a livello globale

La violenza sessuale viene utilizzata sistematicamente durante i conflitti come arma per indebolire le popolazioni nemiche. Denis Mukwege, medico congolese e premio Nobel per la pace nel 2018, aiuta da anni le donne vittime di stupro nel corso della guerra del Kivu, conflitto pluridecennale tra i più dimenticati oggi.

Diventare medico per aiutare le donne

Denis Mukwege è un medico che vive in Congo, dove le donne incinte hanno difficoltà ad accedere a cure adeguate. Per loro, partorire significa rischiare la vita. Sono queste le ragioni che hanno spinto Mukwege da giovane a partire per la Francia, dove si è specializzato in ginecologia e ostetricia.

Una volta tornato in Congo nel 1998, in piena guerra civile, fonda a Bukavu il Panzi Hospital, per offrire cure alle donne vittime di violenze sessuali.

Da oltre venticinque anni, infatti, il Congo è lacerato da una guerra civile intermittente che ha provocato almeno cinque milioni di morti. Nella provincia del Kivu, la più ricca di oro, cobalto, nichel, rame, petrolio e diamanti, numerose bande paramilitari agiscono senza controllo da parte delle autorità.

In questo contesto, gli stupri e le violenze ai danni delle donne sono numerosissime, e Mukwege aveva sentito di dover fare qualcosa. Da quel momento, si è impegnato senza sosta per i diritti delle donne vittime di violenza

Mukwege riceve il premio Nobel per la pace nel 2018.
Mukwege riceve il premio Nobel per la pace nel 2018.

Nel 2008 ha ricevuto il Premio Olof Palme e il Premio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, nel 2013 gli è stato conferito il Premio della fondazione Chirac e nel 2014 il Premio Sacharov del Parlamento europeo. Nel 2018 ha ricevuto il premio Nobel per la Pace insieme a Nadia Murad. Murad, giovane irachena yazida, è stata vittima delle violenze degli uomini dell'ISIS e si è rifiutata di tacere, accettando la vergogna e l’isolamento. Anzi, ha voluto raccontare la propria sofferenza e quella di tutte le donne che non possono farlo.

Sia lei che Mukwege hanno alzato la voce contro la violenza sessuale usata come arma sistematica di guerra

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Stupro: una violazione sistematica dei diritti umani

Operando come medico, Mukwege si è reso conto presto che quella che aveva davanti agli occhi era una sistematica violazione dei diritti umani. «Mi sono specializzato in ostetricia e ginecologia perché volevo dare la vita» ha detto il dott. Mukwege nel corso dell’intensissimo incontro pubblico del 2018 con la diaspora congolese in Italia

mai avrei pensato di vedere tali orrori, non ero preparato ad affrontare certe lesioni: si distrugge una persona, una comunità e una nazione intera

Dopo più di dieci anni di attività di cura delle vittime di stupro, infatti, il numero delle pazienti non accennava a diminuire, anzi cresceva. Medicare, dove possibile, i danni fisici degli stupri non era più sufficiente, e così Mukwege ha deciso di diventare la voce di queste persone, difendere i diritti e denunciare al mondo le atrocità che hanno subito.

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Infatti, oltre a dover sopportare i danni che spesso sono permanenti, le vittime vengono ripudiate e allontanate, giudicate colpevoli della violenza subita. Chi commette il crimine, invece, rimane quasi sempre impunito.

Lo stupro come arma di guerra

Gli stupri e le mutilazioni sono armi strategiche in tempi di guerra, con l’intenzione di colpire le donne per distruggere le famiglie e di conseguenza le strutture sociali ed economiche del luogo, oppure per diminuire la popolazione nemica. Oltre a rappresentare un crimine contro l’umanità, rappresentano uno strumento di offesa e umiliazione.

La violenza sessuale è infatti sistematicamente usata come strategia militare e arma di sottomissione delle minoranze

Nel libro del 2002 Stupri di guerra, scritto dalla studiosa franco-algerina Karima Guenivet, si parla di violenze sessuali in Bosnia in un numero tra 20mila e 30mila tra il 1991 al 1992. In Ruanda, secondo i dati riportati, furono massacrati circa un milione di donne e bambini, soprattutto di etnia Tutsi, dopo la violenza sessuale. In Algeria, nel contesto della Jihad, la guerra santa contro gli infedeli, sarebbero state violentate dai terroristi miliziani oltre 2000 donne che rifiutavano il velo o erano parenti di uomini non islamisti.

Anche gli stupri operati nella regione del Kivu sono un evento vero e proprio, tutt’altro che accessorio alla guerra. Essi hanno, infatti, un metodo: sono compiuti sulle popolazioni di luoghi, villaggi e comunità precise, in massa, anche in una sola notte, e le ferite sono inferte sempre nello stesso modo, come si è potuto notare al Panzi Hospital.

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Rispetto a qualche anno fa, la situazione sembra essere migliorata: al Panzi, il numero totale di posti letto è ora di 350, di cui 200 dedicati alle vittime di violenza sessuale. In media, l’ospedale cura per violenze circa 1800 donne ogni anno, a fronte delle oltre 4000 del 2004. Tuttavia, questi numeri non rappresentano la totalità degli stupri di guerra commessi nella Repubblica Democratica del Congo. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2017 le giovani vittime di stupro sono state 15mila.

Gli stupri di guerra vengono commessi pubblicamente, devastando psicologicamente le donne, gli uomini presenti, mariti, padri, fratelli. Sono un atto di forza teso a destabilizzare la popolazione, a impedirle di resistere.

Anche la comunità viene distrutta: i figli degli stupri vengono respinti e crescono come figli del nemico, senza alcuna appartenenza al tessuto sociale che non li accetta

Attivista per i diritti umani: come Mukwege ha rotto il silenzio

Mukwege è stato capace di rompere il silenzio colpevole che versava su questi crimini, in primis da parte del governo congolese. Rischiando di diventare un personaggio scomodo e nonostante le minacce ricevute, decide di portare il fenomeno all’attenzione della comunità internazionale. Nel 2012, con un discorso tenuto alle Nazioni Unite, Mukwege ha denunciato i rapimenti e gli stupri di massa, accusando il governo di non fare abbastanza. Oggi, il medico è accompagnato da una scorta dell’ONU. Nel 2018, nel discorso tenuto per l’assegnazione del Nobel, Mukwege aveva detto:

Non sono solo i responsabili della violenza a essere responsabili dei loro crimini, ma anche quelli che scelgono di guardare dall'altra parte

Al giorno d’oggi, nessuno può più dire «Non lo sapevo». Per questo, ha pubblicato due libri: nel 2019 è uscito per i tipi di Garzanti Figlie ferite dell'Africa. La mia battaglia per salvare le donne dalla violenza; nel 2022 Mondadori ha pubblicato Il potere delle donne. Il viaggio di un medico attraverso il coraggio e la speranza. Entrambi rappresentano sia un omaggio alla forza delle donne raccontate, sia un modo come gli altri di portare avanti la battaglia per quella che viene definita da Mukwege stesso «Una delle cause più importanti degli ultimi cento anni».

L’obiettivo resta quello di rompere il silenzio su queste atrocità e testimoniare, ognuno come può: «La giustizia è affare di tutti», ripete Mukwege.

Proprio per questo, dal 2009 il Panzi Hospital fornisce anche assistenza legale a tutte le donne in cura, permettendo loro di fare causa contro i loro aggressori e di richiedere giustizia per avere indietro beni, case, terreni.

Ci sono tanti modi per combattere la violenza: oggi sono necessari tutti.

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