Good news/bad news: le notizie dal mondo sul fronte dei diritti civili di ottobre 2022

Nuovo appuntamento con la rubrica mensile dedicata ai diritti civili: questo mese si parla della tragica vicenda di Mahsa Amini in Iran, ma anche delle decisioni storiche, in altre parti del mondo, che rafforzano i diritti delle donne. Ecco una carrellata di notizie per capire cosa succede fuori dai confini del nostro piccolo, grande universo

Le proteste in Iran per la morte di Mahsa Amini e Hadith Najafi

Da giorni ormai in Iran (e nel resto del mondo, a macchia d’olio) proseguono le proteste per la morte di Mahsa Amini, la giovane di 22 anni originaria del Kurdistan iraniano morta il 16 settembre a Teheran, capitale dell’Iran, dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non avere indossato correttamente l' hijab, come prescritto dalle leggi iraniane.

La famiglia di Amini ha raccontato che Mahsa è stata presa in custodia dalla polizia religiosa e che dopo l’arresto, a causa delle percosse subite, sarebbe finita in coma e poi morta. Le forze di sicurezza iraniane hanno smentito, sostenendo di contro che Amini sarebbe entrata in coma “per un infarto”, durante un corso tenuto in carcere su come si indossi correttamente il velo e sulle leggi iraniane relative all’abbigliamento femminile. Nei giorni successivi alla sua morte migliaia di persone sono scese in strada a Teheran per protestare contro la morte di Amini, manifestazioni che secondo l'associazione per i diritti umani Hengaw Organization for Human Rights hanno portato all'arresto di oltre 500 persone. Proprio nel corso di una di queste manifestazioni è stata uccisa Hadith Najafi, giovane attivista diventata il simbolo delle proteste: famosissimo ormai il video in cui la si vede legarsi i capelli, privi di velo, prima di una manifestazione, un gesto che per milioni di donne in tutto il mondo è naturale e scontato e che in Iran può invece costare la vita. Najafi, 20 anni, è stata uccisa, stando alle notizie trapelate, a Karaj, raggiunta da sei proiettili sparati dalla polizia per sedare i manifestanti. La sua morte e quella di Amini sono diventate oggetto di centinaia di manifestazioni, proteste e tributi in tutto il mondo, Italia compresa. 

L’India legalizza l’aborto per tutte le donne

Decisione storica della Corte Suprema indiana, che con una sentenza ha legalizzato l’aborto fino a 24 settimane per tutte le donne, senza distinzione in base allo stato civile. In precedenza le donne sposate potevano ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza sino alle 24 settimane, mentre le donne non sposate potevano accedervi solo sino alle 20 settimane. Con la sentenza, che ha modificato il Medical Termination of Pregnancy Act, la legge che regola l'accesso all'aborto, il termine delle 24 settimane è stato esteso a tutte le donne senza distinzione relativa allo stato civile.  

«L’interpretazione della legge sull'interruzione di gravidanza deve riflettere le realtà sociali - ha spiegato la Corte Suprema - La decisione di avere o no un aborto deriva da complicate circostanze della vita, e solo la donna può scegliere, alle sue condizioni, senza interferenze o influenze esterne». Un provvedimento che getta almeno un po’ di luce in tempi buissimi sul fronte dell’aborto, soprattutto dopo l’annullamento della sentenza Roe vs Wade negli Stati Uniti.

Per il Canada rimuovere il preservativo senza consenso è reato

Un’altra Corte Suprema ha preso un’altra decisione storica: è quella del Canada, che ha stabilito che rimuovere il preservativo senza consenso e senza informare i partner durante l’atto sessuale è reato. Il cosiddetto “stealthing”, insomma, verrà punito dalla legge: «L’atto di fingere di usare un preservativo o di rimuoverne uno prima del rapporto sessuale senza il consenso del partner può violare i motivi legali del sesso consensuale», spiegano i giudici della Corte Suprema Canadese. 

La sentenza è relativa al caso di Ross McKenzie Kirkpatrick, accusato di violenza sessuale proprio per non avere indossato il preservativo durante un rapporto sessuale con una donna conosciuta online. La donna ha denunciato di avere chiarito immediatamente a Kirkpatrick di voler avere un rapporto soltanto con l’uso del preservativo, che è stato effettivamente indossato una prima volta. La seconda volta, però, l’uomo ha soltanto finto di metterlo, cosa di cui la partner si è accorta solo in seguito.

Bologna, via libera alle adozioni per le coppie gay e con il doppio cognome

Un’altra decisione storica in termini di diritti arriva da Bologna, dove il tribunale per i minorenni ha dato il via libera all’adozione di una bambina da parte di una coppia di donne, insieme da 11 anni. I giudici hanno spiegato che l’adozione della piccola da parte della compagna della madre biologica «risponde pienamente al superiore interesse della minore» e consente alla bambina di «godere della continuità affettiva, educativa ed emotiva di una famiglia solida e stabile, nella quale la stessa ha potuto costruire la propria identità». Alla piccola è stato anche riconosciuto il doppio cognome.

Il caso era scoppiato nel 2018, quando la coppia si è unita civilmente poco prima della nascita della figlia con procreazione eterologa da donatore. La piccola era stata iscritta all’anagrafe dall’ormai ex sindaco di Parma Federico Pizzarotti riportando entrambi i cognomi delle donne, ma quello della della compagna della madre biologica era stato cancellato due anni dopo in seguito a un ricorso della procura, che sosteneva che il bambino nato fuori dal matrimonio può essere riconosciuto da entrambi i genitori a patto che siano di sesso diverso.

I giudici del tribunale dei minorenni, cui la coppia si è rivolta, hanno invece stabilito che «la relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita costituisce a tutti gli effetti una famiglia», ribadendo come questo sia un «luogo in cui è possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore omoaffettività possa costituire un ostacolo formale».

Cuba legalizza i matrimoni tra persone dello stesso sesso

Domenica 25 Settembre, nel giorno in cui gli italiani andavano a votare il nuovo parlamento, a Cuba la popolazione votava per un referendum destinato a fare la storia: i cittadini cubani hanno detto “sì” all’approvazione del “Codice delle famiglie”, un pacchetto di leggi che include la legalizzazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso e dell’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

Si tratta di una decisione storica, appunto, soprattutto perché a Cuba l’omosessualità è legale solo dal 1979 e per decenni i membri della comunità LGBTQIA+ sono stati perseguitati, discriminati ed emarginati con trasferimenti forzati in veri e propri “campi di rieducazione”.  Il “Sì” ha vinto con quasi il 67%, nonostante la strenua opposizione dei gruppi religiosi e dell’opposizione di governo. 

“Il sì ha vinto, giustizia è stata fatta - è stato il commento del presidente cubano, Miguel Díaz-Canel - Approvare il Codice delle Famiglia significa rendere giustizia. Stiamo saldando un debito con diverse generazioni di uomini e donne cubani, i cui progetti familiari aspettano da anni questa legge. Da oggi, saremo una nazione migliore”.

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