Diritto alla cittadinanza, i giovani guidano la battaglia per il referendum: oltre la metà ha meno di 38 anni (ed è donna)

Ampiamente raggiunta la quantità di firme necessarie per avviare l'iter, e l'analisi delle sottoscrizioni evidenzia come siano le nuove generazioni a volere una rivoluzione. Ecco cosa prevede il quesito

Oltre 600mila firme raccolte in meno di un mese, la metà delle quali da parte di donne e uomini under 32: sono i giovani a guidare la battaglia per il diritto alla cittadinanza, le donne in primis, come dimostrano i dati raccolti dal Ministero della Giustizia. Il quorum delle 500.000 firme per chiedere il referendum che, in caso di vittoria del “sì”, consentirebbe di dimezzare i tempi entro cui gli stranieri maggiorenni potrebbero richiedere la naturalizzazione, è stato ampiamente raggiunto, e le prime analisi dei dati evidenziano come due firmatari su tre abbiano meno di 38 anni.

Riccardo Magi, segretario di +Europa, uno degli esponenti del comitato proponente del referendum, aveva confermato a fine settembre il deposito delle 637.487 firme dei cittadini che hanno sottoscritto la proposta,155mila delle quali raccolte in appena 24 ore. Merito anche della possibilità di firmare digitalmente e di una campagna che parla proprio alle generazioni più giovani: oltre 9mila persone hanno dato disponibilità a diventare attivisti digitali, e 25 artisti di fama nazionale hanno usato la loro voce per diffondere il messaggio.

Diritto alla cittadinanza: cosa dice ora la legge e come potrebbe diventare

Un passo indietro. Oggi la normativa in vigore stabilisce che la cittadinanza italiana possa essere concessa al cittadino straniero legalmente residente nel territorio della Repubblica da almeno 10 anni. Il referendum propone di dimezzare tale termine, riportandolo a 5 anni, com’era previsto dalla legislazione prima del 1992 e com’è stabilito in diversi altri Stati UE. La Germania, per esempio, all’inizio del 2024 ha approvato una legge che coincide con le richieste del referendum e che ha stabilito il termine di 5 anni di residenza per l’ottenimento della cittadinanza.

Ai fini della concessione della cittadinanza, oltre alla residenza ininterrotta in Italia (che il referendum propone appunto di ridurre a 5 anni) resterebbero invariati gli altri requisiti già stabiliti dalla normativa vigente e dalla giurisprudenza, tra cui la conoscenza della lingua italiana, il possesso di adeguate fonti economiche, l’idoneità professionale, l’ottemperanza agli obblighi tributari, l’assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica.

Secondo le stime, in Italia le persone in possesso di questi requisiti che potrebbero beneficiare direttamente o indirettamente (figli minori conviventi) dalla vittoria del “sì” al referendum sono circa 2,5 milioni

Il quesito proposto ai cittadini, se si arriverà al referendum, è il seguente: «Volete  voi  abrogare  l'art.  9,   comma   1,   lettera   b), limitatamente  alle  parole  "adottato  da  cittadino   italiano"  e "successivamente alla adozione"; nonché la lettera f), recante la  seguente  disposizione:  "f) allo straniero che  risiede  legalmente da  almeno  dieci  anni  nel territorio della Repubblica.",  della legge 5 febbraio 1992,  n.  91, recante nuove norme sulla cittadinanza"?»

I numeri della raccolta firme: guidano le donne

Venendo ai numeri, le firme sono state, come detto, 637.487, di cui 401.322 da parte di donne, 253.165 da parte di uomini. La stragrande maggioranza dei voti è arrivata dalla fascia di popolazione che ha tra i 23 e i 27 anni (quasi 96.000 donne, 40.700 uomini) e da quella che ha tra i 28 e i 32 anni. Secondo i dati del Ministero della Giustizia il 66% delle adesioni è arrivato da persone sotto i 38 anni, e le donne costituiscono il 63% dei sostenitori.

L’analisi delle firme a sostegno del referendum restituisce d’altronde uno spaccato della nostra società: a desiderare una modifica della normativa in materia di diritto di cittadinanza sono le nuove generazioni, i ventenni e i trentenni di seconda e terza generazione che vivono, studiano e lavorano in Italia senza tuttavia poter esercitare i loro diritti. Al loro fianco i coetanei che la cittadinanza l’hanno ottenuta con la nascita, che condividono con loro la quotidianità e si sentono uguali in tutto e per tutto a loro, ma li vedono bloccati ai margini. 

A livello geografico, in cima alla classifica delle firme spicca la Lombardia con 133.864 sottoscrizioni, seguita dal Lazio (74.077) e dall’Emilia Romagna (66.043). Agli ultimi tre posti (anche soltanto per questione di ampiezza territoriale) ci sono invece Valle D’Aosta con 1.322 firme, Molise con 1.861 e Basilicata con 4.335.

Referendum cittadinanza: quorum raggiunto, e ora che succede?

Il raggiungimento del quorum per le firme è solo il primo passo verso il referendum. Una volta depositate in Cassazione si deve attendere il giudizio della Corte Costituzionale sull'ammissibilità, dopodiché partirà la campagna referendaria, che dalla primavera 2025 condurrà sino al voto, previsto indicativamente tra maggio e giugno. 

Affinché il referendum sia valido inoltre dovrà raggiungere il quorum: oltre la metà degli aventi diritto dovrà andare a votare (più di 25,5 milioni di persone), e il risultato dipenderà ovviamente dalla maggioranza dei voti. La criticità principale è legata dunque all’astensionismo, un fenomeno che ha caratterizzato la gran parte delle chiamate alle urne degli ultimi anni. E va tenuto conto che i diretti interessati di fatto non potranno votare. Da loro è però arrivato l’appello accorato: Noura Ghazoui del Coordinamento Nazionale delle Nuove Generazioni Italiane, Daniela Ionita del Movimento Italiani Senza Cittadinanza e Deepika Salhan di DallaParteGiustadellaStoria hanno ricordato che «siamo italiane e italiani, ancora oggi, privi di un diritto che spetta anche a noi: quello di vederci riconosciuta la cittadinanza italiana. Quella che ci siamo cuciti addosso frequentando la scuola, quella che fa affiorare una gelosia paziente se qualcuno critica il nostro Paese, quella che ci rende accaniti tifosi quando a stare in campo è uno di noi con indosso la scritta “Italia”». 

«Fondamentalmente, l’Italia è casa nostra e nessuno può additarci di esser ospiti abusivi - concludono - Nessuno può guardare sotto la nostra pelle per dichiarare quanto siamo “diversi” da un’idea di italianità che guarda solo ed esclusivamente al passato. Noi siamo le figlie e i figli di una storia iniziata anni fa, ma che oggi non può continuare a ignorare la nostra presenza».

Riproduzione riservata