Il potere rivoluzionario di una donna che ozia: perché il diritto al tempo libero è una questione femminista
Prendersi tempo per sé: un diritto costituzionale sancito dall’articolo 36 della Costituzione, secondo cui «Il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi». Tuttavia, il mercato del lavoro ha eroso nel tempo questo diritto (si pensi, ad esempio ai “contratti a chiamata” o ai lavori a termine) e per le donne che, oltre al lavoro retribuito, si occupano della maggior parte del lavoro non retribuito (il lavoro domestico e di cura) questo pesa di più. In Manifesto pisolini. Guida femminista sul diritto al riposo, l’autrice Virginia Caffaro afferma che per avere adeguato tempo da dedicare al riposo, servono condizioni di lavoro favorevoli: quelle che mancano soprattutto alle donne, il cui eventuale ozio è ancora visto come sovversivo. Per le donne prendersi tempo per sé è quasi sempre un “ritaglio” quasi mai una scelta legittimata e possibile.
Se le “ferie pagate” non considerano il lavoro di cura (non retribuito)
“Bank Holiday Act” è il nome del primo atto approvato in Inghilterra nel 1871 che sanciva quattro giorni di ferie per i dipendenti delle banche in Inghilterra, Galles e Irlanda. Questo modello, che non valeva però per tutte le categorie di lavoratori, fu esportato con successo in Canada e negli Usa.
La Francia è stato il primo paese a presentare una legge che assicurasse un periodo di ferie “pagate” a tutti i lavoratori: proposta nel 1925, è stata promulgata dal Front Populaire solo undici anni dopo, il 20 giugno 1936. Quell’anno è passato alla storia come “Anno I della felicità”: chi lavorava aveva diritto alle ferie pagate e a un biglietto ferroviario popolare per poter viaggiare.
Tuttavia, se il lavoro “salariato” va in vacanza, quello di cura no e ingombra il tempo libero delle donne che – pur lavorando durante l’anno – anche durante le loro ferie non sono libere dal dovere. Se il lavoro “in ufficio” pesa meno ad agosto, quello domestico e familiare si fa sentire più forte.
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I dati sulla disparità del carico di cura
Secondo Istat (dati 2018), le donne, infatti, impiegano tre ore in più degli uomini ogni giorno nella cura della casa e delle persone della famiglia. Il Gender equality index dell'istituto europeo per la parità di genere (Eige), nella sua ultima edizione, fa emergere che il 72% delle donne svolgono lavoro domestico su base quotidiana contro il 34 % degli uomini. Sebbene la cura non sia di per sé qualcosa da demonizzare – ma anzi sia la base di diverse rivendicazioni femministe che la mettono al centro – è nella sua libertà che avviene il cambio di paradigma: cucinare, dedicarsi alla casa o passare più tempo con i propri figli può essere piacevole per tante donne. Ma, approfondendo le attività dedicate alla cura, si evidenzia come tante di queste non contemplino alcuna gratificazione e siano soprattutto attività concrete (dalla manutenzione alla pulizia di casa, ad esempio) di cui invece gli uomini non si fanno carico per incompetenza strategica. Ne consegue che a pagarne il prezzo è soprattutto il carico mentale delle donne: più stressate anche in vacanza.
Inoltre, quando si parla di disuguaglianza, il denaro – insieme a proprietà e potere - diventano attori chiave della conversazione. Ma raramente si parla del valore del tempo, della sua proprietà, quantità e qualità intesa come risorsa. La libertà di avere tempo e di scegliere cosa farne rimane legata alla posizione sociale ed economica.
Non solo: il tempo libero si lega al tempo ma anche al permesso. A chi è concessa la pigrizia, l'ozio spensierato? Non alle donne, il cui tempo è occupato – dentro e fuori il lavoro – o sorvegliato. Se non dai doveri esterni, dal senso di colpa interiorizzato per cui l’ozio non è un diritto ma al massimo una concessione.
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Come stanno le donne al rientro delle vacanze?
Per le donne le vacanze non sono sempre rigeneranti: i carichi di lavoro e la distribuzione dei compiti in famiglia restano invariati anche nei periodi più caldi dell'anno, con il risultano che la maggior parte di loro (70%) riferisce di essere più stanca di quando era partita, contro il 57% degli uomini. A evidenziarlo è uno studio Ifop per Bons Plans Voyage New York citato da Elle France e realizzato su un campione di oltre 2.000 persone. Stando ai risultati del sondaggio, le donne sono più stressate nel 53% dei casi rispetto al 39% dei loro partner.
Anche in viaggio e in vacanza, sono le donne che nel 53% dei casi si occupano per la maggior parte delle faccende domestiche: il 69% riferisce di essersi occupata del bucato, mentre il 48% è stata ai fornelli per la propria famiglia
L'unica eccezione è la cottura della carne sul barbecue, che rimane un'attività decisamente una maschile. Le donne sono anche le responsabili della preparazione delle valigie (71%, rispetto al 12% dei padri), della manutenzione quotidiana del bucato (72%, rispetto al 13%) o della preparazione dei pasti al sacco per le attività all'aperto (53%, rispetto al 17%). A tutto ciò si aggiunge il carico mentale della gestione dei figli e dell'ansia da inizio anno scolastico che si fa sentire soprattutto tra le famiglie con possibilità più modeste: il 69% delle donne appartiene a nuclei di famiglia con redditi inferiori ai 1.000 euro netti al mese.
Riconoscere il lavoro di cura non retribuito e scarsamente retribuito, svolto principalmente da donne e ragazze, come una forma di lavoro o di produzione con un valore reale è il primo passo che Oxfam - confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale - indica per invertire la rotta: se le donne nel mondo coprono più dei tre quarti dell’intero lavoro di cura, sostiene Oxfam, va attuata insomma una decisa inversione di marcia in un quadro normativo che rispetti e promuova esigenze, ambizioni e talenti di ogni donna nell’arco del suo percorso di vita e di lavoro. Diritto al riposo compreso.
"Basanti: women at leisure", l'ozio come strumento di liberazione femminista
A chi è consentito l’ozio? È questa la domanda da cui è partita la femminista indiana Surabhi Yadav che, nella pagina Instagram intitolata Basanti: women at leisure, ha inaugurato l’omonimo progetto fotografico che ritrae donne che si divertono o che semplicemente non fanno niente.
La rappresentazione di donne che non sono occupate, né in lavori di cura né in quelli strettamente produttivi, sono dirompenti perché distruggono lo stereotipo della vocazione alla cura. Le donne che oziano, a differenza degli uomini, vengono considerate egoiste
Come ha raccontato in un’intervista a Vogue India, a Yadav l’idea del progetto è nata da una precisa “mancata” visione: «Non riuscivo a immaginare nessuna donna al di fuori del suo ambiente familiare o sociale, da sola, a suo agio, persa nei suoi pensieri o intenta a giocare senza abbandono. Non le ho viste crescere. Cosa succede nella mente delle donne quando "non fanno niente"? Quale parte della loro personalità si manifesta quando "sono semplicemente"? Come sono le identità delle donne tra "superdonna" e "oppressa"? Non lo sapevo».
Questa ricerca porta l’artista a sviluppare il progetto Basanti: Women At Leisure, con un nome non causale: «Si chiama Basanti in onore di mia madre, che significa primavera, un periodo che consente di prosperare. Penso che il tempo libero faccia esattamente questo».
Yadav ha iniziato la sua ricerca dalle donne che meno potevano permettersi il proprio “tempo libero”, scavando e decostruendo il loro senso di colpa: «Più prestavo attenzione alle donne che mi circondavano, più capivo quanto poco tempo avessero per rilassarsi, esplorare se stesse e stare in ozio. Per gli uomini, stare in ozio è una scelta. Un diritto che si guadagnano in quanto capofamiglia. Per le donne, in particolare le casalinghe, è un'accusa. Poiché il valore del lavoro è misurato in termini economici, il lavoro di prendersi cura e gestire la casa non è retribuito, non riconosciuto, sottovalutato e incessante. Per donne come mia madre, trovare del tempo senza sensi di colpa per non fare niente è estraneo ed essere in ozio equivale a non valere niente. Quindi lavorano, costantemente».
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Il messaggio del progetto fotografico
Viste insieme, le foto restituiscono perfettamente l’idea e la potenza del tempo per sé – libero dal lavoro - che le donne si prendono o, man mano, imparano a prendere: una giovane donna si rilassa a testa in giù su un albero con i suoi lunghi capelli sciolti; una madre, che ha perso la figlia, che riempie diari di parole per elaborare il suo dolore; una madre e una figlia che ridacchiano eccitate mentre giocano a un gioco di matematica da loro ideato; un gruppo di suore che si godono le onde su una spiaggia; una madre che dorme su una panchina a Jantar Mantar con il suo bambino al suo fianco.
Il tempo libero permette alle donne di conoscersi davvero, fuori dai ruoli imposti: «Dove andiamo quando non ci si aspetta che siamo da nessuna parte?» si chiede Surabhi Yadav
Rispondere, o andare alla ricerca di questa risposta, diventa a tutti gli effetti una pratica femminista:
il tempo libero non è solo una questione femminista, è uno strumento femminista per creare un nuovo mondo, prima dentro e poi oltre
«Vince le battaglie capitaliste, patriarcali e di casta rifiutandosi di combatterle. È una vittoria che sceglie il potere dentro invece del potere sopra» dice Yadav, che continua: «È questo rifiuto di combattere queste battaglie create dall'uomo che dimostra efficacemente che non vale la pena combatterle perché ci sono cose più importanti da fare come coccolare i propri cari, cantare canzoni in gruppo, sorseggiare il tè mentre si fissa il vuoto, elaborare il lutto per una perdita con tutte le proprie forze o apprezzare un bel tramonto con tutto il cuore».
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I nostri standard dovrebbero essere più alti, ci dicono le foto di queste donne, e hanno a che fare con qualcosa che richiede tempo indisturbato privo di sorveglianza per le donne per essere se stesse. Il tempo libero senza senso di colpa: sedersi su una sedia in veranda con i piedi sul tavolo, leggere un giornale, sorseggiare il caffè mattutino, autorealizzarsi senza riempire il tempo. Ma vivendolo.