Erinni: arte e attivismo per superare le oppressioni di genere
L’ispirazione a cui l’associazione si rifà, ne rappresenta anche gli obiettivi: il nome Erinni fa riferimento alle omonime divinità del pantheon ellenico che puniscono la tracotanza dell’uomo e ristabiliscono gli equilibri e la giustizia sociale. Perciò, le Erinni travalicano i confini imposti loro dal patriarcato e assumono identità fluide che vanno oltre le barriere biologiche del corpo per includere protesi ed estensioni tecnologiche: sono entità feroci e mostruose ma anche benevole e capaci di generare visioni e curare relazioni per riportare l’equità e costruire una società basata sull'inclusività e l'uguaglianza.
Le Erinni: rivendicare il potere creativo della rabbia
Nell’agire delle Erinni, la rabbia diventa un sentimento propositivo e creativo: rifiuta il sistema di potere precostituito e diventa il mezzo attraverso cui riappropriarsi del femminile evolvendosi in agenti dirompenti.
Dal 2021, Arianna Forte, Daniela Cotimbo e Cinzia Forte incanalano questa energia nelle attività portate avanti dal collettivo curatoriale che hanno fondato e che raccontano a The Wom.
Chi sono e come nascono le Erinni?
Le Erinni sono Arianna Forte, Daniela Cotimbo e Cinzia Forte, le prime due sono curatrici artistiche mentre Cinzia è inserita nel mondo universitario a vari titoli e esperta in questioni e politiche di genere. Siamo tutte e tre delle ricercatrici indipendenti che hanno bisogno di esplorare i propri campi di interesse e ricerca in senso orizzontale e collettivo: decliniamo le nostre competenze comuni in campo curatoriale e artistico per indagare le ingiustizie legate a bias sistematici nella cultura e nei saperi scientifici e tecnologici. L’obiettivo che ci siamo poste è quello di progettare nuove visioni sociali, fondate sull’inclusività.
Come racconta il team di Erinni, le proposte elaborate dall’associazione mettono al centro l’arte in ogni sua dimensione, promuovendo pratiche artistiche contemporanee di donne e/o persone non binarie:
l’approccio distintivo è quello di indagine artistica e curatoriale, capace di mettere in relazione etiche e politiche di genere nell’ambito del contemporaneo e della media art
Beyond Binaries: il programma lanciato da Erinni per un’arte partecipativa e transfemminista
VEDI ANCHE Culture«Dipingo perché sono una donna»: Marlène Dumas in mostra a VeneziaBeyond Binaries è il programma lanciato da Erinni nell’ottica di intensificare il dialogo tra arte contemporanea e tematiche di genere in relazione ai territori, con uno sguardo partecipativo e attento allo sviluppo dei linguaggi mediali. Partendo dal quartiere romano di Torpignattara, dal 20 al 30 giugno, lə artistə Mara Oscar Cassiani, Ginevra Petrozzi, Giulia Tomasello e il collettivo Call Monica, in residenza nel quartiere per una settimana, hanno tenuto una serie di attività laboratoriali gratuite e aperte al territorio per coinvolgere la comunità di riferimento sui diversi temi proposti.
La designer e artista Ginevra Petrozzi, ad esempio, con il laboratorio Prophētai ha avviato una conversazione con le identità femminili del quartiere di Torpignattara, per generare insieme una riflessione su nuovi futuri possibili.
Mara Oscar Cassiani, invece, ha lavorato alla costruzione di nuove forme culturali che si contrappongono agli stereotipi di genere declinati al femminile, avvalendosi della cultura avatar: con il workshop Nuovo Habitat, ha proposto una preparazione rituale - spirituale e fisica- incentrata sulla figura di donna guerriera e cacciatrice.
Il laboratorio Chi è Louisa (?) guidato da Giulia Tomasello, interaction designer specializzata nelle tecnologie indossabili e biotecnologie applicate alla salute e benessere femminile, ha puntato ad esplorare come la salute intima sia vissuta dalle donne e dalle persone con vulva, evidenziando stereotipi e tabù nell'ottica di superarli.
Infine il workshop Politics of walking, condotto dal collettivo Call Monica, si è soffermato sull’azione del camminare nello spazio pubblico e, attraverso la pratica performativa, ha sviluppato un metodo di lavoro basato sull’attenzione e sulla relazione consapevole, adatto a indagare e decostruire il modo in cui i nostri corpi stanno nello spazio.
Temi traversali che le Erinni hanno tenuto insieme con obiettivi precisi.
Da dove nasce la scelta di conciliare i workshop pensati nell’ambito del programma Beyond Binaries con l’azione artistica?
Uno degli elementi a cui abbiamo voluto dare importanza nel progetto è proprio quello della dimensione partecipativa. Le attività dell3 artist3 coinvolte prevedono già nella loro concezione un contatto diretto con le persone e, nel definirsi del programma, questo scambio ha preso la forma laboratoriale. I workshop non sono finalizzati a conferire delle nozioni specifiche, né a raggiungere degli output definiti: rappresentano, invece, preziosi momenti di esplorazione e scambio di esperienze e riflessioni tra l3 partecipant3, l3 artiste e noi. La pratica artistica attraverso cui ciascun artista si è espressa, nella sua modalità relazionale, ha scaturito una fortissima carica emotiva e ha concretizzato la nostra volontà di creare occasioni di incontro/confronto attraverso pratiche Do It Together (DIT) che esprimono una orizzontalità del fare artistico, in opposizione a una visione dell’artista sul podio-verticale.
Qual è stato il criterio e il fil rouge che vi ha accompagnato nella scelta delle personalità da coinvolgere?
Abbiamo riflettuto a lungo sulle personalità da coinvolgere, che si adattassero al progetto sia per le ricerche che per le modalità e competenza di lavorare con le persone e con la comunità. Dato il background delle due curatrici, Arianna Forte e Daniela Cotimbo, e i propositi di Erinni in generale, abbiamo coinvolto artist3 per cui l’elemento di riflessione sulle politiche delle infrastrutture tecnologiche e del sapere scientifico è fortemente connesso con le questioni delle identità di genere. Giulia Tomasello e Ginevra Petrozzi sono due artiste che usano i metodi del design: la prima per affrontare i tabù relativi all’intimità femminile, la seconda per esplorare il sistema predittivo degli algoritmi, nello specifico quelli dei nostri smartphone, per generare delle narrazioni intime e personali su futuri possibili.
Le altr3 due artist3 invece vengono dal mondo della performance: Mara Oscar Cassiani accomuna pratiche di allenamento fisico con la cultura dell’internet e del gaming, per sfidare gli stereotipi sul femminile e fare emergere un sentimento di sorellanza; il collettivo Call Monica si interroga su come anche solo camminare nello spazio urbano sia un atto condizionato da convenzioni relative al genere e a stereotipi culturali.
In che modo gli argomenti e i temi di azione e riflessione dei diversi workshop dialogano tra loro?
La tipologia partecipativa attinge di per sé spesso a metodologie di progettazione comuni come ad esempio il design thinking o lo speculative design: si tratta di pratiche legate al coinvolgimento e a tirar fuori idee e visioni collettive, una dimensione che ha accomunato in particolare i laboratori di Ginevra Petrozzi e Giulia Tomasello. Quelli di Mara Oscar Cassiani e del collettivo Call Monica, invece, sono più legati al training fisico, sempre orientato al non giudizio e alla valorizzazione del corpo e al recupero degli spazi del vissuto. In tutte le esperienze, il tema transfemminista è emerso in maniera dirompente, come attivatore di un’energia in grado di risignificare qualsiasi ambito dell’esperienza.
Tra gli obiettivi di Beyon Binaries, quello di ridisegnare la città in ottica inclusiva. A riguardo, avete prodotto – insieme all’antropologa Silvia Antinori - un report sulle identità femminili del quartiere: qual è la domanda che ha indirizzato la ricerca e quali sono le evidenze emerse?
Il metodo e la forma del lavoro sono andati modificandosi e si sono sviluppati in itinere, l’idea finale è stata quella di produrre una sorta di piccolissima guida di orientamento alle soggettività del quartiere in chiave di genere che potesse rappresentare il più possibile in maniera corale alcune voci del territorio, individuando nuclei concettuali emersi come salienti e attorno ai quali addensare stralci di interviste estrapolati. Le evidenze emerse sono numerose e diversificate: le persone coinvolte si sono tutte immediatamente definite come abitanti del quartiere, riconoscendolo come territorio fortemente caratterizzato e caratterizzante. Molte di loro hanno esplicitato la reale intenzione di voler vivere il quartiere poiché lo riconoscono come il solo spazio in cui si attivano dinamiche di collettività orizzontale e mutuo aiuto tangibile. A settembre la seconda fase del progetto prevede una mostra collettiva presso AlbumArte — noto spazio espositivo indipendente romano — che raccoglierà gli esiti dell’esperienza laboratoriale.
Quali sono le vostre aspettative sulla mostra collettiva e i progetti futuri?
Per la mostra ci aspettiamo di riuscire a testimoniare, sotto forma di opere, oggetti e documenti, il percorso emotivo e affettivo che ha attraversato trasversalmente ogni aspetto dei laboratori, con l’obiettivo di raggiungere un pubblico più ampio e abbattere, anche solo per un momento, le barriere tra centro e periferia. Lo spazio che ci ospiterà, AlbumArte, è da tempo focalizzato su questo tipo di ricerca e siamo sicure che sarà un contenitore più che accogliente per un’esperienza come questa.
Sul futuro, ci impegneremo a elaborare un bilancio di questa esperienza e mettere assieme desideri, aspettative e prospettive personali di ognuna di noi: l’obiettivo è continuare ad affrontare la complessità del quotidiano parlando di temi transfemmisti a un pubblico sempre più vasto