Una nuova minaccia per gli oceani: l’estrazione di metalli rari in acque profonde

Il processo di decarbonizzazione necessita di infrastrutture e tecnologie che fanno uso di metalli rari. Per questo assistiamo oggi a una vera e propria corsa all'approvigionamento di questi materiali. Una corsa che non fa certo bene all'ambiente. Vediamo perché

Siamo tutti a conoscenza del fatto che per evitare gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici abbiamo bisogno di emettere meno gas climalteranti come anidride carbonica, metano, protossido di azoto… ma come possiamo fare? La risposta è decarbonizzare! A questo punto però sorge nuova domanda, come? Molto semplice, attraverso le energie rinnovabili e l’elettrificazione!

Iniziare a produrre energia rinnovabile ed elettrificare significa però costruire delle infrastrutture e delle tecnologie che richiedono un uso massiccio di metalli rari come cobalto, manganese e nichel.

Al momento le principali fonti di terre rare e metalli sono miniere terrestri presenti in tutto il mondo e in particolare in India, Brasile, Africa, Russia e Cina. Tuttavia, tralasciando per un secondo il problema dello sfruttamento minorile e la violazione di alcuni tra i più noti diritti umani per la loro estrazione, queste risorse così preziose stanno per finire o comunque non sono sufficienti per far fronte alla loro crescente domanda!

Così, le grandi multinazionali che si occupano del loro approvvigionamento stanno puntando sui giacimenti oceanici presenti in acque profonde

E qui nasce il problema, dato che se da un lato puntiamo sulle rinnovabili e sull’elettrificazione, dall’altro, andando a estrarre minerali nell’oceano, rischiamo di reimmettere in atmosfera la CO2 e aggravare la crisi climatica. In altre parole, come sappiamo

gli oceani sono il più grande serbatoio di carbonio al mondo, e quando andiamo a disturbare il loro equilibrio con l’estrazione mineraria, contribuiamo di nuovo al suo rilascio e quindi ad aumentare il riscaldamento globale

A questo punto però come in un circolo vizioso, succede che più il mare si riscalda e meno è capace di assorbire altro carbonio!

A questo grande problema, si affianca quello della completa devastazione della biodiversità che non sarà possibile recuperare, dato che a tali profondità cibo ed energia sono limitati e la vita procede a un ritmo straordinariamente lento. Lo stesso David Attenborough, naturalista e divulgatore scientifico britannico, ha chiesto una moratoria su tutti i piani di estrazione mineraria negli oceani.

Ma come avviene l’estrazione?

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Questo processo si avvale dell’uso di Robot rover (simili a quelli atterrati su Marte!) che sono collegati da condutture a delle navi di superficie. Essi, muovendosi e strisciando sul fondale aspirano noduli di manganese e li pompano verso la nave madre. A quanto pare è proprio nelle profondità marine che si concentrano trilioni di questi noduli, i cui componenti saranno necessari per la produzione di auto elettriche, turbine eoliche e altri dispositivi.

Oceanografi, biologi ed esperti di tutto il mondo sono preoccupati, dato che oltre al degrado degli habitat non abbiamo alcuna conferma che iniziando le estrazioni in mare cesseranno quelle sulla terra altrettanto dannose per la biodiversità.

All’indomani dell’approvazione del trattato ONU sull’alto mare avvenuta solo il 4 marzo 2023, dopo anni di negoziati, una simile notizia sembra quasi un controsenso e lascia un retrogusto molto, molto amaro.

Chissà se questo farà sfumare l’obiettivo di rendere il 30% delle acque internazionali e aree marine protette entro il 2030…  


Federica Gasbarro collabora con The Wom in modo indipendente e non è in alcun modo collegata alle inserzioni pubblicitarie che possono apparire all'interno di questo contenuto.

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