Nella giornata contro la violenza sulle donne, due femminicidi simbolo arrivano nelle aule dei tribunali

Alessandro Impagnatiello ha ucciso Giulia Tramontano e il figlio non ancora nato con 27 coltellate, Filippo Turetta ha ucciso sempre a coltellate l'ex compagna Giulia Cecchettin. Il 25 novembre il primo è stato condannato all'ergastolo, per il secondo è stata chiesta la stessa pena

Nel giorno in cui si celebra la lotta e l’impegno quotidiano contro la violenza sulla donne, sono arrivate due notizie legate ad altrettanti casi simbolo di questa piaga, due femminicidi che hanno profondamente scosso le coscienze, quello di Giulia Tramontano e quello di Giulia Cecchettin.

Il 25 novembre infatti, nelle ore in cui a Milano Alessandro Impagagnatiello, ai tempi compagno di Giulia Tramontano e padre del bimbo che la ragazza portava in grembo, veniva condannato all’ergastolo per avere ucciso entrambi con 37 coltellate, a Venezia il pubblico ministero chiedeva la stessa pena per Filippo Turetta, accusato di avere ucciso l’ex fidanzata, la 22enne Giulia Cecchettin.

Il femminicidio di Giulia Tramontano e l’ergastolo per Impagnatiello

Impagnatiello, 31 anni, ex barman, è stato condannato (in primo grado) anche a tre mesi di isolamento diurno. Le accuse sono omicidio volontario pluriaggravato, interruzione di gravidanza non consensuale e occultamento di cadavere: per i giudici della Corte d’Assise di Milano ha ucciso Giulia Tramontano, 29 anni, con premeditazione e crudeltà. Le perizie psichiatriche hanno descritto un uomo «mentitore, narcisista, manipolatore, che ha detto tutto e il contrario di tutto», che «per mesi ha premeditato con lucidità il piano per ammazzare Giulia e il figlio», somministrando loro il veleno «per inscenare un suicidio».

Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini Impagnatiello, che stava portando avanti una relazione parallela con una collega di 23 anni, aveva provato ad avvelenare Giulia e il figlio non ancora nato, Thiago, con il veleno per topi e con il cloroformio. Le due donne si erano poi incontrate, scoprendo le bugie che lui stava raccontando a entrambe. Nei giorni successivi Impagnatiello - stando alla tesi dell’accusa - ha progettato il femminicidio, messo in atto il 27 maggio nell’appartamento di Senago, in provincia di Milano, in cui la coppia viveva: ha colpito Giulia con 27 fendenti, poi ha nascosto il corpo per quattro giorni prima di decidersi a confessare.

In aula, alla lettura della sentenza, tutti i familiari di Giulia si sono abbracciati, uniti nel profondo dolore, e sono scoppiati in lacrime. Da mesi ormai la famiglia invocava l’ergastolo per Impagnatiello, definendolo «l’unica pena giusta».

«Questo caos è l'opposto di quello che avrebbe voluto - ha detto la sorella di Giulia, Chiara - Lei entrava in punta di piedi nella vita delle persone, era rara: anche nel momento in cui il suo cuore era distrutto ha pensato a un'altra donna che poteva aver vissuto la stessa situazione. Era presente, ma mai rumorosa. Era silenziosa. Quando sei così sensibile in questo mondo violento, sei la preda per il leone. Giulia è tutto questo, un'anima gentile».

Mamma Loredana, distrutta, ha tenuto a chiarire che «non abbiamo mai parlato di vendetta, non esiste vendetta. Abbiamo perso una figlia, un nipote, abbiamo perso la nostra vita. Io non sono più una mamma, mio marito non è più un papà, i nostri figli saranno segnati a vita da questo dolore». Ancora più duro il commento del papà di Giulia, Franco: «Quello che abbiamo perso non lo riavremo mai. Oggi non abbiamo vinto, abbiamo perso in tutto».

Il femminicidio di Giulia Cecchettin e la richiesta dell’ergastolo

Giulia Cecchettin è stata invece uccisa l’11 novembre del 2023 dall’ex fidanzato, Filippo Turetta, accusato di omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà ed efferatezza, oltre che di sequestro di persona, occultamento di cadavere e stalking. Il pubblico ministero ha chiesto per lui il massimo della pena: ergastolo. A decidere saranno i giudici dopo avere ascoltato le arringhe dei difensori di Turetta, anche lui 22 anni.

Il femminicidio di Giulia Cecchettin è uno dei più discussi e seguiti degli ultimi anni. Giulia viveva con il padre Gino, la sorella Elena e il fratello Davide a Vigonovo, in Veneto. La mamma, Monica, è morta nel 2022. Turetta viveva invece nel paese di Torreglia. Lui e Cecchettin, entrambi studenti universitari di Ingegneria a Padova, avevano avuto una relazione che lei aveva deciso di interrompere anche alla luce di atteggiamenti e comportamenti evidentemente ossessivi e persecutori nei suoi confronti. Il 22enne inondava di messaggi e chiamate l’ex compagna, rivolgendosi anche alle sue amiche e ai suoi familiari quando non riceveva risposta, la controllava, pretendeva di passare con lei ogni minuto libero e di essere il suo unico punto di riferimento sociale e affettivo.

La tragedia si è consumata l’11 novembre 2023, giorno in cui Cecchettin ha incontrato Turetta. Un video testimonia come Giulia sia stata aggredita già in un parcheggio di Vigonovo, non distante dalla sua abitazione, e costretta a salire in macchina. Uccisa lo stesso giorno, il suo corpo era stato abbandonato nella zona tra il lago di Barcis e Piancavallo, in provincia di Pordenone, e ritrovato soltanto il 18 novembre. Inizialmente si pensava che i due fossero fuggiti insieme, ma con la scoperta del video gli inquirenti avevano capito di trovarsi davanti all’ennesimo femminicidio. Turetta era poi stato fermato in Germania dalla polizia tedesca dopo una settimana di fuga a bordo della sua auto, la stessa su cui aveva fatto salire Giulia e su cui si era allontanato poco dopo l’omicidio.

Per il pm, il femminicidio è stato un atto attentamente premeditato e pianificato (così come la fuga successiva) per avere il controllo finale e definitivo su Giulia, decisa a proseguire con la sua vita e la sua carriera lontana da quella relazione tossica e opprimente: «Il rapporto tra Giulia Cecchettin e l'imputato è stato caratterizzato da forte pressione, dal controllo sulla parte offesa, le frequentazioni, le amicizie, le uscite», ha detto il pm durante la requisitoria.

Il papà di Giulia, Gino Cecchettin, non era presente in aula. Pochi giorni fa ha presentato a Montecitorio la fondazione che porta il nome della figlia, sottolineando l’importanza di riuscire a creare qualcosa di buono, nobile e costruttivo da una tragedia di questa portata.

«Siamo qui per dare forma concreta a un sogno che ha un valore immenso, perché è nato da una tragedia immane, perché è così che spesso funziona la vita: ci prende per mano e ci porta a compiere i passi più luminosi, a scorgere una strada quando tutto sembra perduto - ha detto Gino Cecchettin - A volte, e non è retorica, quando si affrontano sofferenze tali, che potrebbero togliere qualsiasi speranza o prospettiva, la vita ancora ti sorprende offrendo uno scopo nuovo, un’opportunità di trasformare il dolore in significato, la perdita in impegno, l’oscurità in azione. Oggi sono qui per parlarvi proprio di questo: di uno scopo che ha trovato radici nel ricordo di Giulia e che oggi prende forma nella Fondazione Giulia Cecchettin».

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