Contro ogni forma di discriminazione: torna il festival DiverCity a Milano
Tre giorni di incontri e iniziative dedicati alla ricerca di percorsi comuni per superare tutte le forme di discriminazione e per parlare di cura e accoglienza, anche dal punto di vista degli spazi a essa dedicati.
Giunto alla sua quinta edizione, il Festival DiverCity, è un appuntamento atteso (e completamente gratuito) che nasce dalla volontà di condividere le esperienze vissute dai fondatori dell’omonima Associazione, che ha come obiettivo il superamento di ogni forma di discriminazione.
Una tre giorni di talk, workshop, performance artistiche e una mostra fotografica e di arti visive con lo scopo di far riflettere sui tanti temi legati alla diversità attraverso testimonianze e voci provenienti dal panorama internazionale e nazionale che hanno dichiarato il proprio impegno a supporto di campagne di sensibilizzazione per combattere ogni forma di discriminazione. Tra queste figure, la modella, attivista e influencer Bianca Balti e l’On. Marina Sereni, Vice Ministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale del Governo Draghi e Michelle Ngonmo, CEO di Afro Fashion.
Dal titolo “REST: Restare – Esistere – Restituire”, l’edizione 2022 di Festival DiverCity continua anche quest’anno la missione di “aprire le città alle risorse culturali generate dall’intersezione di diverse identità”,
come dichiara il suo fondatore Dr. Andi Nganso, medico varesino originario del Camerun con un passato nella Croce Rossa Italiana e nell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM).
REST come riposo, un privilegio concesso esclusivamente a coloro che sono al timone del sistema. Una condizione che, quindi, esclude i soggetti più vulnerabili della società come i soggetti afro-discendenti, le persone BIPOC (Black, Indigenous, People of color) e tutti coloro che vivono in condizione di fragilità o che subiscono una discriminazione di qualsiasi genere.
Ma REST significa anche “restare, esistere, restituire”, inteso come restituzione alle persone della propria dignità. Un modo per dire "ci siamo", come "siamo nella normalità", senza dare spazio a pregiudizi
Infine, REST è inteso come momento di riappropriazione, riparazione e restituzione. Un’occasione per iniziare una conversazione su un tema ancora poco esplorato nel nostro Paese.
Il Festival sarà anche occasione per discutere sui temi di cura e di accoglienza e di come dovrebbero essere strutturati gli spazi che ospitano i soggetti “vulnerabilizzati” con l’obiettivo di farli sentire a casa, in un ambiente confortevole dove trovare pace e riposo. Un porto sicuro dove non ci si sente diversi
Un interrogativo che può emergere da questa tre giorni è innanzitutto quello di chiedersi se da un punto di vista architettonico gli spazi destinati all’accoglienza siano davvero progettati per soddisfare questa necessità. E poi: la Pubblica Amministrazione è davvero pronta ad accogliere? O sono solo parole? Quali sono gli elementi di design e culturali con cui si definisce il profilo di nuove soggettività e nuovi bisogni di self care? Come si decolonizza il linguaggio e la rappresentazione nei media? A questi quesiti si cercherà di dare una risposta concreta e diretta durante la manifestazione.
Ai numerosi talk prenderanno parte esperti, giornalisti e molte altre voci del campo dell’attivismo, della cultura e delle istituzioni. Un momento di confronto che è stato anticipato da un’installazione durante We Will Design 2022, l'evento durante la Design Week (6-12 giugno) di BASE, che ha ritratto un progetto di accoglienza “ideale”.
Il Festival DiverCity è dunque un’opportunità per riunirsi, per guardarsi negli occhi, ascoltarsi e approfondire i temi legati alle diversità, ritornando a casa più ricchi e con nuove consapevolezze nella speranza che tutto possa evolversi con un esito più che positivo
Lo scopo è quello di mettere al centro dell’evento le esperienze vissute delle persone, analizzando il loro percorso di vita e le sfide che hanno dovuto affrontare nel loro cammino di vita. Condivisione, insomma, sarà la parola chiave di un evento unico nel suo genere.
Lo sa bene Nogaye Ndiaye, 23 anni e studentessa di giurisprudenza che crea contenuti anti razziali e messaggi positivi per la sua pagina @leregoledeldirittoperfetto. È anche volontaria presso l’Associazione “Avvocato di strada”, che si pone l’obiettivo di tutelare i diritti delle persone senza dimora. Conosciamola insieme.
Ciao Nogaye, innanzitutto come stai e ti va di raccontarci com'è iniziata la tua attività di divulgazione legata alle tematiche sui social?
VEDI ANCHE CultureReinventare la narrazione dell’Africa: intervista a Sarah Kamsu, cofondatrice di @WeAfricansUnitedOggi sto molto bene. Tutto è partito da una poesia e tra poco capirai il perché. Ho aperto la mia pagina Instagram nell’agosto 2020. Inizialmente il mio canale Instagram era uno “studygram”: non mostravo neanche la mia faccia, ma solo le mie giornate di studio, in quanto sono una studentessa in Giurisprudenza. In quei mesi avevo ritrovato una mia vecchia poesia scritta da me 13enne dal titolo : “Black or white, unfortunately black” in cui raccontavo il dolore che provavo ogni volta che sentivo la parola N-Word. Nel momento in cui leggevo la poesia sono scoppiata a piangere perchè rivedevo la me di tredici anni e la me di ventitré anni, percependo l'assenza di cambiamento nel linguaggio razzista dei media italiani (la N-Word era stata pronunciata in televisione diverse volte nel corso di pochi giorni). In quel momento ho trovato il coraggio e ho letto la poesia sui miei canali social, mostrando per la prima volta anche il mio viso per dar voce e speranza alla bambina di 13 anni che aveva scritto quella poesia. Da quel giorno ho trovato una comunità bellissima di persone con cui condividere le nostre esperienze e crescere insieme attraverso la decostruzione e decolonizzazione delle nostri menti. Inoltre, sempre grazie a questo video che ho pubblicato, sono entrata a far parte della rete di attivisti di Milano “Cambierai” e sono grata di avere queste persone nella mia vita per cercare di cambiare le cose insieme.
Quanto è problematico trattare di un tema così delicato come il razzismo in Italia? È cambiato qualcosa negli ultimi anni?
Parlare di razzismo in Italia è ancora complicato. C’è l’idea costante che il razzismo esista solo negli Stati Uniti e non in Italia, invece ritengo che l’Italia sia un paese che non ha fatto i conti con un passato coloniale e vuole andare avanti con questa narrazione.
Grazie anche ai social qualcosa è cambiato: si è creata una rete capace di dar voce a persone come me che per troppo tempo sono state in silenzio, come conferma anche lo stesso motto di Cambierai: "le nostre voci contano".
Sicuramente c’è tanto lavoro da fare ma c’è la consapevolezza di non voler più rimanere in silenzio
Cosa vuol dire "white privilege"?
All’inizio del mio percorso, quando parlavo di White Privilege, citavo sempre Peggy McIntosh, una donna bianca, femminista, attivista anti razzista che ha scritto il saggio White Privilegie - Unpacking the invisible Knapsack. Lei si è accorta che le persone bianche avevano una sorta di zaino invisibile, all’interno del quale vi erano una serie di privilegi, benefits, strumenti che le persone non bianche non avevano. Il fatto che questo zaino fosse invisibile era proprio perché le persone bianche non si rendevano conto di questi privilegi. Un esempio? Non subire doppi controlli all’aeroporto, non subire discriminazioni nell’affittare una casa e tanti altri.
Io ho imparato a parlare di White Privilege come l’assenza di discriminazioni, non lo considero come un qualcosa in più. Quando si parla di White Privilege non si può non parlare della “White Fragility” , quel senso di disagio che una persona bianca può provare quando si parla di razzismo e privilegio
È estremamente difficile parlarne perché viene percepita come un’accusa quando invece è semplicemente un modo per descrivere qualcosa che esiste. L’unico modo per capire le discriminazioni che le persone non bianche subiscono in Italia è iniziare a decostruire il proprio privilegio.
Lotta al razzismo. È vero che gli adolescenti di oggi sono molto più sensibili degli adulti ?
Io non penso che si tratti di sensibilità, ma di differenza generazionale. I nostri genitori vivevano in una totale assenza di rappresentazione e tutela. La nostra generazione ha molti più strumenti e ha trovato nella comunità anche un senso di appartenenza e lotta comune. Un esempio tipico sono i social. Io penso a mia madre. Lei era impegnata a imparare la lingua, a trovare una casa, ad assicurare un futuro per noi figli.
Alla generazione dei nostri genitori mancavano gli strumenti ma non la sensibilità
Se potessi descrivere in due parole Il Festival DiverCity quali useresti?
Se potessi descriverlo in due parole direi aria fresca. Sì, perché il Festival è arrivato in un periodo in cui mi mancava l’aria, in cui mi sentivo peraltro estremamente sola. È una manifestazione sull'afrodiscendenza a Milano, in uno spazio sicuro in cui è finalmente possibile immaginarci forti, fieri e uniti per il cambiamento.
Un altro modo per descrivere il Festival è quello di uno spazio capace di rappresentare la bellezza ma anche capace di ascoltare e comprendere la stanchezza emotiva.
Andi Nganso direttore del festival DiverCity ha descritto il festival con queste parole che condivido appieno: “la coalizione di esperienze e di esistenze che racconta una parte di Paese che spesso non trova spazio ed espressione.” Credo che non esistano parole migliori per descrivere il Festival DiverCity.