Abbattere il gender pay gap nel calcio femminile: il (grande) esempio della nazionale danese

In Danimarca, i calciatori della nazionale hanno trovato un modo per garantire pari retribuzione tra la squadra maschile e femminile: rinunciare a negoziare un aumento salariale, obbligando però la Federazione (DBU) a garantire pari retribuzione tra loro e la Nazionale femminile. Un’azione che dimostra ulteriormente l’evidenza: il divario di genere a discapito delle donne riguarda anche il campo da calcio

Non un gesto di galanteria, ma una precisa presa di posizione che non ha precedenti nel mondo del calcio. La squadra maschile della Danimarca ha rifiutato l’aumento di stipendio proposto dalla federazione per solidarietà alle colleghe danesi donne, che da sempre richiedono giustamente un trattamento salariale equo tra uomini e donne, per far sì che la retribuzione di base per la partecipazione alla nazionale sia la stessa per calciatori e calciatrici. Un grande atto per abbattere il gender pay gap nel calcio danese.

Essere alleati, l’esempio della nazionale danese

L’obiettivo della nazionale danese non è stato quello di ridimensionare le condizioni della squadra maschile per allinearle a quelle femminili. Ma, al contrario, migliorare le condizioni e la paga delle donne al livello della squadra maschile.

Ad annunciare cosa è successo, il direttore del sindacato dei calciatori Spillerforeningen, Michael Sahl Hansen, che ha spiegato come la federazione danese (DBU) avesse già cercato di garantire la parità di retribuzione per entrambe le squadre, ma secondo modalità non ritenute corrette. Infatti, non è prendendo soldi dalla squadra maschile per pagare le colleghe che si creano condizioni paritarie. «La squadra maschile ha scelto di non richiedere alcun cambiamento nelle condizioni del loro nuovo accordo - ha spiegato Sahl Hansen - «È un passo straordinario per migliorare le condizioni delle squadre nazionali femminili. L’esempio concreto di come si possa essere buoni alleati giocando la stessa partita mantenendo le proprie specificità. «Invece di cercare miglioramenti per loro stessi», ha aggiunto Hansen, sottolineando che «i giocatori hanno pensato di supportare la squadra femminile».

Già prima dell’inizio delle negoziazioni, infatti, la federcalcio danese aveva chiesto di garantire la parità salariale tra le squadre nazionali maschili e femminili. In mancanza di fondi, per rispondere alla richiesta, si era pensata come soluzione quella di detrarli alla squadra maschile. «Non potevamo accettare un approccio simile», ha spiegato Sahl Hansen, «La squadra maschile era contrariata, così come quella femminile, che si sentiva a disagio all’idea che i soldi dovessero essere sottratti ai colleghi».

La negoziazione con il sindacato ha l'obiettivo non di peggiorare le condizioni salariali della squadra maschile, ma di alzare quelle della squadra femminile trovando un bilanciamento.

Il piano prevede il rifiuto dell'aumento salariale da parte dei giocatori maschili e la stessa retribuzione base per entrambe le squadre per la partecipazione ai match della nazionale

In più una diminuzione del 15% della copertura assicurativa della squadra maschile ha permesso di aumentare la copertura assicurativa della selezione femminile del 50%.

Le giocatrici, ha riportato Sahl Hansen, sono «felici che i giocatori maschili le stiano aiutando, tuttavia concordano sul fatto che i fondi non dovrebbero provenire dalla squadra maschile, ma dalla federazione. Sono ansiose di iniziare le negoziazioni con la federazione calcistica, previste per dopo l’estate di quest’anno».

Il gender pay gap nel calcio

In Italia, dal 1° luglio 2022,  il campionato femminile di Serie A è considerato professionistico, dalla Serie B in giù il movimento resta dilettantistico.

Prima della decisione della Federazione calcistica italiana (FIGC), tutto lo sport femminile italiano operava fuori dal professionismo e il calcio era inquadrato come dilettantistico. Di conseguenza i compensi di giocatrici e dipendenti delle squadre venivano elargiti sotto forma di rimborsi e accordi privati.

alle calciatrici è stato imposto un limite massimo dello stipendio di 30.658 euro lordi a stagione a cui si possono sommare indennità di trasferta, rimborsi forfettari e premi per un massimo di 61,97 euro al giorno per 5 giorni alla settimana

Con il riconoscimento del professionismo dovrebbero essere paritari anche i compensi ma di fatto non è così: la situazione per le calciatrici è ben lontana dai contratti milionari dei calciatori, supportati anche dagli introiti dei diritti tv e dagli sponsor.

Per individuare introiti da milioni alle calciatrici occorre guardare agli Stati Uniti, con Alex Morgan e Megan Rapinoe che guidano la classifica con oltre 7 milioni di dollari guadagnati nell’ultimo anno.  Negli States le atlete hanno ottenuto, attraverso una causa giudiziaria, il riconoscimento di una remunerazione pari a quella maschile in Nazionale.

Inoltre, alle calciatrici, “in servizio” e non, è stata riconosciuta una cifra complessiva di 24 milioni di dollari di risarcimento per la “discriminazione” subita in carriera. A pagare è la US Soccer, la federazione del calcio americana: la maggior parte della cifra “rivendicata” rappresenta lo stipendio arretrato, a dimostrazione che i compensi per le squadre maschili e femminili erano stati differenti per anni. Una strada che in Italia sembra ancora in salita e tutta da percorrere.

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