La Germania abolirà (finalmente) il divieto di dare informazioni sull’aborto istituito durante il nazismo
A quasi 90 anni dall’entrata in vigore, il governo tedesco ha fatto sapere di voler depenalizzare l’informazione sull’aborto, vietata ai medici dall’219a del codice penale.
una legge che risale al periodo nazista, e contro cui per anni si sono scagliate associazioni femministe e per i diritti delle donne
L’annuncio è arrivato dal ministero della Giustizia tedesco, Marco Buschmann, che a metà gennaio ha presentato un disegno di legge per porre fine a quella che ha definito «una situazione insostenibile» per i diritti delle donne. Ad appoggiarlo il nuovo governo tedesco capitanato dal socialdemocratico Olaf Scholz e sostenuto dai Verdi e dai Liberali dell’FDP, tutti concordi nel riconoscere che i medici debbano essere in grado di sostenere le donne nella loro scelta di portare avanti o interrompere una gravidanza, senza lo spauracchio di una denuncia a pendere sulle loro teste. E che gli stessi medici possano fornire informazioni sulle procedure e le metodologie di aborto, sia di persona sia tramite divulgazione di materiale prettamente informativo.
L’articolo 219a del codice penale tedesco
L’articolo 219a del codice penale tedesco relativa alla “pubblicità per l’interruzione di gravidanza” stabilisce che:
chiunque proponga “servizi, propri o di terzi, per effettuare o promuovere un aborto” o “mezzi, oggetti o procedure idonei all'interruzione della gravidanza” è punito con una pena detentiva sino a due anni o una sanzione pecuniaria
Sono esclusi i medici, le cliniche e gli ospedali che praticano interruzioni di gravidanza, che possono comunicarlo ma non spiegare come le pratiche vengono eseguite. Un compromesso cui si è arrivati soltanto nel 2019 (prima era vietato a tutti, senza eccezioni). Resta inoltre il fatto che in Germania, anche se l’aborto è consentito entro le 12 settimane dal concepimento, è comunque inserito nella sezione dei “reati contro la vita”, all’articolo 218, che lo consente oltre le 12 settimane in caso di stupro, pericolo di vita per la donna o malformazioni del feto.
Una sezione dell’articolo successivo si occupa invece di disciplinare e punire quella che viene definita “pubblicità sull’aborto”, vietandola appunto praticamente in ogni modalità.
Si tratta di una norma molto controversa, introdotta nel 1933 dal partito nazista nell’ambito di una campagna demografica per la protezione della cosiddetta “razza ariana” e oggi ancora usata in Germania da medici o cliniche che si rifiutano di fornire informazioni in merito alle procedure per interrompere una gravidanza
Con il risultato di rendere molto più difficile alle donne accedere in modo sicuro e legale all’aborto, e ostacolando il lavoro di quei professionisti che vogliono invece sostenere il diritto delle donne ad avere informazioni.
Buschmann è intervenuto sulla questione, in un periodo tra l’altro in cui diversi Paesi si sono mossi per depenalizzare l’aborto (l’ultimo, San Marino), e ha sottolineato che i medici «devono essere in grado di sostenere le donne in questa difficile situazione senza timore di essere perseguiti penalmente. Non è possibile - ha chiarito - che professionisti che sono particolarmente qualificati per fornire informazioni sull’esecuzione di tali procedure non siano autorizzati a farlo».
Il caso della dottoressa Kristina Hänel e la prima revisione
Nel 2017 il caso della dottoressa Kristina Hänel aveva portato a discutere del tema ai più alti livelli istituzionali e a una prima revisione del 219a.
La professionista era stata denunciata da un gruppo antiabortista per avere pubblicato sul proprio sito un documento in cui forniva informazioni sull’aborto
In conseguenza della denuncia era stata condannata dal tribunale di Gieβen, in Assia, proprio sulla base del 219a e di quella che era stata definita pubblicità sull’aborto.
Hänel era ricorsa in appello e lo aveva vinto, avviando una battaglia con i movimenti femministi culminata in parlamento. Il dibattito si era infiammato, con i partiti di sinistra e di centrosinistra del Bundestag favorevoli all’abolizione del 219a (o quantomeno a una sua modifica) e quelli conservatori, in primis l’Unione cristianodemocratica (CDU) dell’allora cancelliera Angela Merkel, fermamente contrari.
Nel febbraio del 2019 il governo tedesco aveva approvato una revisione dell’articolo 219a, riformulandolo in quella che è la sua attuale versione: i medici possono comunicare che l’aborto fa parte dei servizi offerti, ma non dare pubblicamente informazioni sulle pratiche in questione. Tre anni dopo, con diverse marce e manifestazioni di protesta e con il passaggio dei poteri dalla cancelliera tedesca Merkel a Olaf Scholz, il nuovo governo è pronto a rivedere ulteriormente l’articolo 219a che «lede il diritto della donna all'autodeterminazione sessuale, continua a creare incertezza giuridica per i medici e, d'altra parte, non è necessario per la protezione di vita non nata», come chiariscono i partner della coalizione.