Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili: perché non bisogna (mai) smettere di parlarne
Duecento milioni di donne, 2 milioni delle quali bambine, hanno subito mutilazioni genitali femminili, e tra le vittime, 44 milioni sono bambine fino a 14 anni. I dati, agghiaccianti nella loro sterilità, riportati da ONU e Unicef, sono purtroppo di estrema attualità perché destinati ad aumentare.
A causa della pandemia di Covid-19, infatti, molte scuole nelle zone più povere del mondo stanno chiudendo e si stanno bloccando i programmi che aiutano a proteggere donne e bambine da queste pratiche, con la conseguenza che nei prossimi 10 anni i casi potrebbero aumentare di 2 milioni
Lo spaccato emerge in concomitanza del 6 febbraio, la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, universalmente riconosciute come una violazione dei diritti fondamentali di milioni di bambine, ragazze e donne: il diritto alla vita, alla parità di genere, alla non discriminazione, all’integrità fisica e mentale. E proprio in questa giornata è importante ricordare di cosa si parla quando ci si riferisce alle mutilazioni genitali femminili, quante bambine, ragazze e donne ancora ne sono vittime e che cosa si può fare per fermare questa pratica.
Cosa sono le mutilazioni genitali femminili
Le mutilazioni genitali femminili sono pratiche brutali che comportano la rimozione parziale o totale degli organi genitali esterni femminili per motivi non medici ma culturali, sociali e religiosi. Vengono eseguite solitamente da un “circoncisore tradizionale”, con lame e senza anestetico, in condizioni igienico-sanitarie praticamente inesistenti.
Sono praticate principalmente su bambine e adolescenti per ragioni collegate a ideali di moralità, bellezza e purezza che affondano le radici in un passato ormai molto lontano ma ancora terribilmente attuale in molti Paesi del mondo
L’enorme pressione sociale esercitata su bambine e ragazze (e sulle loro famiglie) in nome della tradizione porta intere comunità a “celebrare” quello che viene identificato come un passaggio necessario della vita di queste future donne, senza tenere conto del fatto che si tratta di interventi chirurgici che causano lesioni spesso irreparabili.
Chi vi viene sottoposto, oltre alla sofferenza intensa e al rischio di morire di emorragia, può sviluppare infezioni ugualmente mortali, infertilità, complicazioni durante il parto, difficoltà a urinare e dolore durante il rapporto sessuale. Per non parlare delle pesantissime ricadute psicologiche a breve e a lungo termine.
I numeri nel mondo e il ruolo della pandemia
A oggi la mutilazione genitale femminile viene praticata in circa 30 Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, ma anche in alcuni paesi dell’Asia e dell’America Latina e tra comunità provenienti da queste regioni.
È una pratica illegale nell’Unione Europea, duramente condannata dalle istituzioni e perseguita da alcuni stati membri anche quando viene eseguita fuori dal Paese. Si stima però che circa 600mila donne che vivono in Europa siano state vittime di questa pratica, e che altre 180mila siano a rischio in 13 paesi europei
Secondo le stime dell’Unicef in Italia il rischio concreto di essere vittima di mutilazioni genitali femminili riguarda ben 15.000 ragazze di età compresa tra 0 e 18 anni le cui famiglie provengono da paesi in cui si eseguono, principalmente Egitto e, in minor misura, da Senegal, Nigeria, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Etiopia e Guinea.
È vero che in molti Paesi dell'Africa la legge le considera un reato, ma - come sottolinea anche l'ONU - ad accompagnare la legge - soprattutto nel caso in cui vieti una pratica molto radicata - servono dei processi di formazione, sensibilizzazione ed empowerment, che riguardino non solo le comunità locali, ma anche tutti i settori coinvolti dal fenomeno: sociosanitario, educativo, legale e quello delle forze dell’ordine.
Il contrasto alla cultura della mutilazione genitale femminile e l’eliminazione di queste pratiche è inserita nell’agenda globale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile per il 2030 insieme al raggiungimento dell’eguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze.
Un traguardo ambizioso e con tutta probabilità irraggiungibile nella sua interezza, ma la pandemia di Covid-19 ha peggiorato moltissimo la situazione bloccando uno dei principali strumenti a disposizione: l’istruzione e la scolarizzazione.
Il Parlamento europeo ha adottato norme e risoluzioni per combattere questa emergenza, raccomandando un’azione comune per sradicare la mutilazione genitale femminile. Nel febbraio del 2020 i deputati hanno votato una nuova risoluzione per chiedere alla Commissione europea di includere azioni per porre fine a queste pratiche nella nuova Strategia per la parità di genere dell’UE, e di fornire assistenza alle vittime.
Un anno prima, nel 2019, un gruppo di cinque studentesse keniane, The Restorers, ha sviluppato un’applicazione per aiutare le vittime e le potenziali vittime della mutilazione genitale femminile, arrivando nella rosa dei finalisti per il Premio Sacharov del Parlamento Europeo per la libertà di pensiero, incoraggiando i più giovani a fornire il loro contribuito alla lotta. Confermando così il ruolo fondamentale svolto dalle nuove generazioni nel cancellare secoli di stereotipi e pregiudizi sull’inferiorità della donna e la necessità di mantenerla “pura” per andare incontro alle aspettative degli uomini e della società. Quanto fatto sino a oggi però non è ancora sufficiente, soprattutto alla luce degli stravolgimenti degli ultimi due anni.
Che cosa si può (e si deve) fare in futuro
Se nel 2019 il sostegno a queste pratiche era in calo, e alcune indagini condotte dall’Unicef avevano dimostrato come le adolescenti tra i 15 e i 19 anni nei Paesi in cui le mutilazioni genitali femminili sono più diffuse fossero meno favorevoli alla pratica rispetto alle donne tra i 45 e i 49 anni, la pandemia ha cambiato le cose.
La rapida crescita demografica di questi paesi, che porta a un aumento della popolazione giovanile, può inoltre comportare una crescita nel numero di ragazze a rischio. E senza investimenti adeguati e un piano che coinvolga tutti, dalle istituzioni alle comunità,
il rischio è di assistere a un nuovo incremento non soltanto della pratica in sé, ma anche della convinzione che sia necessaria e imprescindibile nella vita di una giovane donna
Nel 2018 è stata inoltre lanciata la campagna #MeToofgm da parte di un gruppo di attiviste sopravvissute a mutilazioni genitali femminili che hanno invitato a prendere coscienza di un fenomeno dalle dimensioni ancora molto preoccupanti, del tutto assimilabile alla violenza e all'abuso sessuale.
«Le mutilazioni genitali femminili sono sintomo di patriarcato - ha spiegato in modo conciso ma efficace Leyla Hussein, attivista e co-fondatrice dell’associazione Magool - Non è una pratica, è un crimine e deve essere trattato come tale».
«Gli stessi interventi che porranno fine alle mutilazioni genitali femminili favoriranno anche il potere e l'azione delle ragazze e delle donne di esercitare i loro diritti umani, raggiungere il loro potenziale e contribuire pienamente alle loro comunità e al loro futuro - sottolineano la direttrice generale dell’Unicef, Henrietta Fore, e la direttrice generale del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, Natalia Kanem -
L’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili e l’uguaglianza di genere sono interdipendenti, obiettivi che si rafforzano reciprocamenteIn poche parole, se l'uguaglianza di genere diventasse realtà, non esisterebbero mutilazioni genitali femminili
Questo è il mondo che ci immaginiamo, e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile tracciano il percorso per arrivarci. Sappiamo ciò che funziona. Non tolleriamo scuse. Ne abbiamo abbastanza delle violenze sulle donne e sulle ragazze. È ora di unirci con strategie consolidate, finanziarle adeguatamente e agire».